domenica 29 giugno 2025

L'Alba della Barca di San Pietro

"... Sicché, per qualsivoglia delle antiche Vie di Roma, e Porte della Città, per cui debba venire dalla sua Patria il divoto Pellegrino, riconosca pure di dover camminare c con molta divozione calcare le memorie, ed i sepolcri de’ Santi Martiri, ed il terreno santificato col loro sangue, ed arricchito colle loro venerabili ceneri, ed ossa. E da ciò egli potrà in qualche maniera, comprendere la santità molto grande di Roma, e maggiormente accendersi di singolarissima divozione verso de’ SS. Apostoli Pietro, e Paolo, il sangue de’ quali fu quel seme celeste, che germogliò in tante migliaja di Martiri, ì quali compongono l'onorifico diadema ornato di altrettante preziosissime gemme, che la coronano Reina vera di tutto il Mondo Cattolico, giusta il sentimento del Pontefice S. Leone ( Ser. de SS. Petr. et Paul. ) Duo ista praeclara Divini seminis germina, in quantam sobolem germinarint. Beatorum millia Martyrum protestantur, qui Apostolicorum aemuli trìumphorum Urbem nostram, et longe lateque rutilantibus populis ambierant; et quasi ex multarum honore gemmarum, conservato uno diademate coronarunt.*
Giunto poscia, che sarà il Pellegrino a vista della Porta, e Mura di Roma, di questa santa nuova Gerusalemme, bagiando divotamente le soglie della medesima Porta, e le Croci, che ne' stipiti di essa trovansi affisse, potrà entrare con somma allegrezza cantando l'Inno Te Deum Laudamus etc."

Duo ista praeclara Divini seminis germina...* = Questi due illustri germogli del Divino seme (cioè Pietro e Paolo) hanno generato una discendenza così numerosa che lo testimoniano le migliaia di Martiri beati, che, emuli dei trionfi degli Apostoli, hanno circondato la nostra città (Roma) e i popoli brillanti che si estendono lontano e ovunque; e come a comporre una corona fatta di molte gemme preziose, hanno mantenuto un solo diadema, uniti nell'onore. - Liberamente tradotto da Me Medesima

Preparazione istorica e devota al giubileo universale dell'Anno Santo  cogli atti di pietà  che si sogliono praticare  nel viaggio di Roma  e delle sante basiliche - 1824
Giovanni Marangoni 

Barca di San Pietro

Barca di San Pietro 29 giugno 2023

Che dite; proviamo a entrare nell'anno Giubilare del 1825 per il quale Giovanni Marangoni nel 1824 ha preparato una guida storica dedicata ai pellegrini?
Se potessimo scivolare tra le pieghe del tempo per ritrovarci in una sera d’estate del 1825, nel cuore della campagna romana profumata dal fieno e dal fumo della legna, alla vigilia della festa dei Santi Pietro e Paolo, nel pieno dell'Anno Giubilare, vedremmo le donne che ripetono antichi gesti tramandati di generazione in generazione come il farsi il segno della croce prima di versare l'albume di un uovo in fiaschi di vetro trasparente riempiti di acqua sorgiva e poggiati sui davanzali o sui muri dei cortili punteggiati dalle lucciole. "Stanotte San Pietro soffierà sulle nostre barche" direbbero circondate dai bambini che corrono scalzi e, incantati dai filamenti galleggianti, si accovacciano accanto agli uomini rientrati dai campi con la pelle bruciata dal sole, a cui chiedono curiosi: "Quando si muove la barca?" E noi, rapiti dalla loro saggezza, guarderemmo gli anziani che gli accarezzano la testa e li mandano a dormire frenando così la loro impazienza: “La barca parla solo all’alba. Ma chi la guarda troppo, la confonde.”
Il canto del gallo accompagnato dal suono di una campana lontana ci sveglierebbe nel giorno dei due santi apostoli patroni di Roma, uno pescatore e l'altro pellegrino, uno guida e l'altro voce. Nel cortile troveremmo i contadini vestiti a festa che avvolti dalla fede e dalla speranza, per osservare se San Pietro ha aperto o chiuso le vele, volgono gli occhi sui fiaschi bagnati dalla rugiada scintillante alla luce dell’alba. Seguendo la processione solenne li accompagneremmo nella chiesa addobbata con spighe di grano, erbe e fiori selvatici e insieme ai pellegrini giunti a Roma per l'occasione parteciperemmo alla messa giubilare, richiamo al perdono, alla rinascita, al rimettersi in cammino e ascolteremmo l'omelia del prete: "Fratelli e sorelle, oggi celebriamo due colonne della Chiesa: Pietro, il pescatore impetuoso che divenne roccia, e Paolo, il persecutore che divenne instancabile annunciatore del Vangelo. Le letture ci parlano di liberazione e missione, di fragilità umana e fiducia nella grazia.
Questa mattina, prima di uscire di casa, forse ognuno di voi ha guardato il proprio fiasco d’acqua lasciato durante la notte sotto le stelle, un gesto semplice, che cerca un segno, una direzione, come chi cerca il vento prima di aprire le vele.
Quella piccola barca disegnata dall’albume non deve essere però superstizione che spaventa, che mette all'angolo il libero arbitrio e offende la fiducia nelle nostre capacità di affrontare l'ignoto e le intemperie, le sue vele siano pure simbolo della nostra vita quando è fragile, quando è ben distesa, quando il vento non la prende, ma alla luce della fede si facciano memoria viva.
Il Vangelo di oggi ci ricorda che Cristo ha affidato a Pietro le chiavi del Regno, ma Pietro non era perfetto: dubitava, affondava, rinnegava; è diventato roccia proprio perché ha riconosciuto la sua debolezza. E anche Paolo, con le sue catene e le sue ferite, proclama che la forza del Signore si manifesta nella debolezza.
E cosa ci insegna la liturgia oggi? Ci insegna che la fede non sta solo nell’altare o nel canto, ma a volte si trova anche in un fiasco d’acqua lasciato di notte sotto le stelle. Che i segni non sono solo nei miracoli eclatanti, ma anche nei gesti ripetuti con fedeltà e speranza. Chi ha visto la barca ben formata non deve vantarsi: è invito alla gratitudine. Chi non l’ha vista, non disperi: è invito alla perseveranza, perché l’acqua torbida si rischiara, e il vento soffia quando meno lo aspettiamo. Sia fatta la volontà di Dio e che lo Spirito Santo soffi su tutte le vostre vele. Amen... ".
Rientrati nelle case coloniche banchetteremmo con i contadini, li osserveremmo mentre si accorgono che le Barche di San Pietro si sono dissolte nella loro natura effimera, sorridono rincuorati dalle parole del parroco, certi che Dio non abbandona. E noi, esperienti dell'attesa di un'alba condivisa che si sa aspettare, comprenderemmo che a volte la fede passa anche attraverso un albume lasciato nella notte a raccogliere la rugiada benedetta da un santo, non per predire il futuro ma per restare in ascolto; la Barca di San Pietro parte dalla terra arida e in un abbraccio porta la nostra voce insicura a Dio per rafforzarla.

Sciarada Sciaranti

Lieta Festa di San Pietro e Paolo e un pensiero sentito verso chi  ogni giorno porta sulle spalle il peso di una guerra che dilania corpo e anima, con l'augurio che arrivi presto il tempo in cui ci si possa guardare tutti negli occhi con la voglia di riconoscersi come esseri umani... imperfetti.

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P.S. Ricordatevi che scripta manent, verba volant, interpretatio incerta ad venti flatum frangitur - gli scritti restano, le parole volano, l’interpretazione incerta s'infrange al soffio del vento. Per scoprire l'origine del rito cristiano della Barca di San Pietro  potete leggere la Barca di San Pietro, segue il link sotto.

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martedì 24 giugno 2025

Erba medica regina delle foraggere

Il Sole al solstizio d’estate ha oltrepassato la soglia per toccare il punto più alto della volta celeste, ha posto un segno impercettibile, e senza posa ha iniziato a retrocedere per celebrare la discesa con la Festa di San Giovanni Battista snodo cosmico tra ciò che è stato e ciò che inizia a essere. Per lui, precursore che non trattiene la gloria, ma la indica oltre sé, il cielo canta con la voce dell'estate e la terra sussurra complice con i lievi riti cristiani e con i gesti familiari, falò purificatori che consumano le erbe vetuste per restituirle ai campi, e rugiada silente sacramento che battezza e benedice le nuove raccolte in mazzetti per suggellare il patto d'amore delle comari e dei compari. (Vedi Il Comparatico di San Giovanni).
Per conoscere l'ultima delle erbe di San Giovanni di quest'anno, attraverso un viaggio immaginario vi porto nella Media del IV secolo a.C., terra del sole alto, dei venti asciutti, degli altopiani fertili e dei cieli immensi; ci troviamo nell'epoca dell’Impero achemenide, le cicale cantano incessanti tra le pietre calde, mentre l’aria porta l’aroma resinoso della salvia selvatica e il profumo lieve di terra riarsa. Le ombre sono corte, l’orizzonte terso, e le vallate aperte si dispiegano in campi ordinati, irrigati con sapienza tramite i canali scavati dagli agricoltori; li raggiungiamo percorrendo una pista polverosa per vedere da vicino la یونجه/Yonjeh che nel suo pieno splendore estivo ondeggia alla luce come un mare silenzioso, resiste alla siccità, rigenera il suolo e dona più di quanto richiede, è la regina delle foraggere coltivata per nutrire i cavalli dell’esercito imperiale, vigorosi e insostituibili in battaglia.

"L'erba medica è straniera anche per i Greci, dal momento che fu portata dalla Media durante le invasioni persiane guidate da Dario. Tuttavia, essa è da citare fra le prime per questa sua notevolissima qualità: da una sola semina si raccoglie il frutto per più di trent'anni. È simile al trifoglio nel gambo e nelle foglie ed è nodosa. Quanto più lo stelo si allunga, tanto più strette sono le foglie. Anfiloco ha scritto un libro sull'erba medica e il citiso. Il terreno in cui si vuole seminarla, liberato da pietre e da erbacce, viene smosso in autunno, poi, quando è stato arato ed erpicato, viene ripassato con l'erpice altre due volte a distanza di cinque giorni e dopo che si è concimata la terra. Infatti l'erba medica ha bisogno di un terreno asciutto e pieno di succhi, oppure irriguo. Dopo aver così preparato il terreno, si semina a maggio, perché altrimenti patisce le gelate. Bisogna seminare fitto, in modo che tutto il terreno sia coperto e non vi sia spazio per le erbe che nascono in mezzo. Questo risultato si ottiene con 3 moggi per iugero. Bisogna preoccuparsi che il sole non la bruci, e deve essere immediatamente coperta di terra. Se il suolo è umido ed erboso, viene vinta e degenera trasformandosi in prato. Pertanto, appena raggiunge l'altezza di un pollice, bisogna liberarla di tutte le erbe, a mano piuttosto che con un sarchiello. La si taglia quando comincia a fiorire e tutte le volte che rifà il fiore: ciò accade sei volte l'anno e, in ogni caso, non meno di quattro. Bisogna impedirle di maturare fino a dar seme, dal momento che fino a tre anni essa è più utile come erba da pascolo. Di primavera va sarchiata e liberata dalle altre erbe; dopo tre anni bisogna raderla al suolo con le marre. In questo modo le altre erbe muoiono, senza che essa ne risenta danno, poiché ha radici profonde. Se le erbe avessero il sopravvento, l'unico rimedio è arare rivoltando spesso le zolle, finché tutte le altre radici non muoiono. Non bisogna saziare il bestiame d’erba medica, perché non si debba poi ricorrere ai salassi. È più utile verde; quando secca si fa legnosa e da ultimo si riduce ad una inutile polvere. Del citiso, cui pure si dà il primo posto fra le piante da foraggio, abbiamo parlato dettagliatamente a proposito degli arbusti. Adesso dovremo concludere l'esame di tutte le granaglie, dedicando anche una sezione ai mali da cui sono affette."

Storia Naturale – Libro XVIII
Plinio il Vecchio
Traduzione Franca Ela Consolino

Medicago Sativa - Erba Medica

Con la conquista di Alessandro Magno della Persia nel IV secolo a.C. la Yonjeh raggiunge la Grecia dove viene chiamata μηδική/mediké - pianta della Media, i romani latinizzano il nome greco in medica e nel 1753 Carl Linnaeus lo traduce in Medicago per indicare il genere a cui aggiunge l’epiteto specifico sativa dal latino satum - seminato.

"È la medica nel suo nascere, nelle frondi, & nel fusto simile al trifoglio de i prati, ma nel crescere si gli ritirano le frondi, & diventano più strette, restando però i fusti simili à quelle del trifoglio. Produce i baccelli à modo di cornetti; ne i quali è il seme di grandezza d’una lenticchia.
Seccasi questo, & per la soavità del suo sapore li mescola co'l sale, che cotidianamente s’adopera nei condimenti. Applicato verde sopra à quelle cose, che hanno di bisogno d’essere infrigidite, vi giova. Usasi l’herba per cibo del bestiame in luogo di gramigna.
 
La Medica (secondo che riferisce Plinio al XVI. capitoli del XVIII. libro) fu così chiamata per essere ella già stata portata in Italia di Media. Et come che ella fusse già volgare, & si seminasse per tutta Italia per li bestiami; nondimeno à tempi nostri par che si fa ella del tutto fuggita da noi, quantunque sieno alcuni moderni semplicisti, che pensino d'haverla rintracciata. Fummene gli anni passati da alcuni miei amici mandato il seme, ma seminato non nacque, anchora che vi ponessi molta diligenza. & però noti ne posso per hora fare altrimenti giuditio & se ben dipoi me ne sono fatte mandare diverse piante dalli amici, poscia che mi pareva che in poche note si rassomigliassero alla medica non l’ho hauto ardire di meter qui le figure loro. Questa (secondo che riferisce pur Plinio, et de gli altri de gli antichi) seminata una sola volta, dura di rigermogliare fino à trenta anni. Enne copiosa (per quanto riferiscono alcuni) à i tempi nostri molto la Spegna, dove con grande arte la coltivano per il bestiame: & chiamala gli Spagnuoli Afalfa, ritenendone quasi il vocabolo Arabico, quantunque corrotto. Imperoche, come si vede in Avicenna al capit. Cot, si chiama questa herba anchora dagli Arabi Alfafafat. Il Buello dice, che quantunque ella non nasca in Italia, che nasce nondimeno per se stessa copiosamente in Francia, & che la chiamano i lavoratori Trifoglio maggiore. Chiamano i Greci la Medica, μηδική: i Latini, Medica: gl’Arabi (come di sopra s'è detto) Cot, & Al-fáṣfaṣa: li Spagnoli, Afalfe, Eruaye, e Alfalfa."

Dioscoride a cura di Pietro Andrea Mattioli

Medicago Sativa - Erba Medica

Con la caduta dell’Impero Romano la coltivazione dell’erba medica viene quasi dimenticata in gran parte dell’Europa occidentale.
Solo nel Medioevo, a partire dal 711 d.C., con la dominazione araba della Spagna, il suo uso è reintrodotto e valorizzato, nel IX secolo trova spazio nei giardini dei monasteri dove i monaci, custodi della sapienza botanica medievale, l'affiancano alle erbe officinali; nel X secolo Ibn Sīnā - Avicenna inizia a studiarne le proprietà depurative, nutritive e toniche, nel suo Canone della medicina la consiglia per rinforzare l’organismo, stimolare l’appetito e favorire la convalescenza, utile per riequilibrare i fluidi corporei. Attraverso di lui l'uso si diffonde nella Scuola Salernitana ed ecco che si afferma come rimedio fitoterapico, i fiori e le foglie in infuso o in impacchi contro i dolori articolari, le irritazioni cutanee e per le cicatrizzazioni.

"Nomi. Gre. medika. Lat. Medica. Faenum burgun diense. Ital. Medica.Forma. È la medica nel suo nascere, nelle frondi, & nel fusto simile al trifoglio de i prati, ma nel crescere si gli ritirano le frondi, & diventano più strette, restando però i fusti simili à quelle del trifoglio. Produce i baccelli à modo di cornetti; ne i quali è il seme di grandezza d’una lenticchia, ma tondo. Il Molto Illustre & Reverendissimo Monsignor Carlo Arcivescovo Montigli Vescovo di Viterbo mio Compare, & benefattore, ha portato questo seme, nel territorio di Roma, come il Signor Conte Fabio Nipote di S.S. Molto Illustre & Reverendissimo. l’introdusse in Parigi, indi fi lparse per la Lombardia.
Loco. È cominciata la medica, à ritrovarsi in Italia, dove si semina per il bestiame.' Ama luoghi umidi, & netti, & seminasi d’Aprile, & di Maggio.
Qualità. L’herba verde è rifregerativa.
Virtù. Ingrassa pascendola il bestiame: Ma non è da darla in troppa quantità, percioche generando sangue soverchio strangola il bestiame. Ad ingrassare i cavalli non si ritruova cosa migliore della Medica. L’herba applicata fresca mitiga l’infìammagioni. Fatti del seme un’olio, il qual giova al tremore de i nervi, & del seme si mette nelle bevande, che le fà saporite."

Herbario Novo
Castore Durante

Medicago sativa - Erba medica

L'erba medica raggiunge un'altezza che varia dai 30 ai 100 centimetri, è originaria della Media, appartiene alla famiglia delle Fabaceae e il suo genere è composto da circa 80 specie; alfalfa in spagnolo e in inglese, luzerne in tedesco e in francese, conosciuta popolarmente come erba Spagna, fieno di Borgogna, regina delle foraggere; ha gli steli eretti, sottili e cavi all'interno, le foglie verde intenso, ellittiche o oblunghe con i margini dentati, sono trifogliate, la centrale è picciolata e le laterali sessili; i fiori blu violacei virano verso il lilla o il porpora, sono contenuti da 10 a 20 in infiorescenze a racemo; i frutti sono dei legumi spiralati che contengono dai due ai sei semi giallo-bruno, piccoli e lisci.

"Erta medica, Medica, Erba Spagna, Fieno di Borgogna, Herba Medica major, erectior, J. Bauh. Tourn.
Medicago saliva, Linn. fr . Luzerne, Tresle, ou Foin de Bourgogne.
L’erba medica, di cui si numerano fino a 240. specie, ha i fiori leguminosi disposti in spiga, ai quali succede un frutto o siliqua composta di due lame da una parte incavate e divise in molte cellule. Il totale di questa siliqua gira in una come spirale simigliante ad una scala a lumaca o ad un cava stracci. I semi sono fatti a foggia d’un rognone; il colore dei fieri varia secondo le specie: havvene di porporini, dei violacei, 'dei gialli e dei mischi; le foglie sono dentate ovali e disposte a 3. a 3. sovra il medesimo picciuolo. Noi non parleremo d’altra specie che di quella che serve usualmente per pascolo dei bestiami. Questa è l’erba medica maggiore più diritta, coi fiori purpurea o violacei; produce per ordinario una dura e grossa radica vivacissima la quale profondasi nella terra e caccia ben poche radici laterali, alla sommità superiore della radice formasi come un capo d’onde ne sortono 2. o più tronchi che s’innalzano a ragione della grassezza del suolo 22. 3. o 4. piedi; tondi son questi tronchi i quali si dividono in vari rami all’ origine dei quali e per tutto il lungo nascono le foglie le quali sono il pascolo più delicato dei bestiami. Questa pianta ha un gusto erbaceo e alquanto di gusto di crescione e talora ha un sapor ferruginoso. La premura che si ha di seminare quest’erba si è perchè essa è un eccellente foraggio per li bestiami, il quale però deve usarsi con precauzione mercecchè egli diventerebbe nocivo agli animali. Il dare l’erba medica solitaria ai buoi o alle vacche spezialmente digiuni è un metterli a pericolo di restar soffocati in pochi minuti. Il troppo uso di questo foraggio talora cagiona ad essi de’dolori e li fa gonfiare. Dunque per servirsene con profitto e senza pericolo per le bestie a corno deve mescolarsi con egual dose di paglia. Verde si dà alle bestie di primavera quanto prima si possa: questa le purga naturalmente e le dispone ad ingrassarsi. Contuttociò deve aversi attenzione di non abbandonare il prato alla discrezione delle bestie, massimamente ne’ primi giorni, perocché troppo avidamente mangiandone corrono pericolo di gonfiarsi ed ammalarsi. Conviene dunque di mettere questo foraggio nella rastrelliera piuttostochè lasciarle pascolare sul prato. Con questo metodo si risparmiano anche le piante stesse risparmiando alle medesime Tessere calpestate. Nell’inverno questo foraggio secco contribuisce moltissimo a ristabilire il bestiame stracco, ad ingrassare il magro ed a promovcre il latte alle vacche. Per esperienza si sa che elleno ben si mantengono tatto l’inverno con erba medica mescolata di paglia, onde alla primavera non hanno bisogno d’altro rimedio che di questa pianta verde, purché s’inviino al campo subito che egli è spogliato di neve. In tal tempo si danno ad essi delle foglie di vite secca raccolte sul finir della vendemmia prima che ingialliscano o messe ben calcate in vasi riempiti poscia di acqua calda. Queste così accomodate si conservano l'inverno intere. Vi son di quelli che conservano alla foggia stessa i teneri getti dell'olmo per darsi poi alle vacche in tempo d’inverno. Quanto ai cavalli l’erba medica supplisce loro per fieno ed anche per avena. Quella del primo taglio in 8. o 10. giorni basta per rimettere un cavallo quando ne mangi in abbondanza. Si è notato che un cavallo dopo aver mangiato una certa quantità d’erba medica piglia circa una mezz’ora di riposo; quindi ritorna, con un ardor tutto nuovo a mangiarne. Se ad un cavallo pascolato di fieno o mantenuto a fieno volete togliere l’avena somministrateli una buona misura di quest’erba. Calcoli assai vcrisimili stabiliscono come cosa certa che un solo jugero d’erba medica rende più di foraggio che non ne rendono sei jugeri di prato buono. Se crediamo a Columella gran partitante dell’erba medica e che ne trattò bene, un jugero di terreno messo a erba medica è più che sufficiente a nudrir 3. cavalli per un anno intero. In questo fatto sembravi un poco di esagerazione. Ciò che è vero ed accertato da un numero d’esperienze, un jugero di erba medica ben tenuto può produrne egualmente da 6. a 10. carri di fieno, che è quanto un cavallo può consumare in un anno; quando per l’ordinario 3. jugeri o siano 12. pertiche si assegnano per mantenimento d’un cavallo' sì in grano che in fieno. E Miller attesta di aver sentito da persone degne di fede che tre aere di erba medica sole aveano nodrito dal fin d’aprile fino al cominciamento d’ottobre 10. cavalli che lavoravano abitualmente. Se vogliasi aumentare la ricolta dell’erba medica deve adacquarsi ogni inverno con Sgocciolo di letamaio ed ogni 3. anni ingrassarsi come i prati. L’erba medica è ancora assai buona per allevare poliedri, vitelli, agnelli e capretti, essa fortifica considerabilmente i giovani animali, li rende vivaci e li mette in istato di ben resistere ad un freddo rigoroso. Il nascere in abbondanza quest’ erba e lo spuntare prima d’ogn’altra fa comprendere quanto sia utile la di lei cultura. Può essa servire di cibo anche agli uomini. Le cime di erba medica tagliate la primavera ed accomodate come gli spinaci sono una vivanda non ispregievole.

Dizionario universale economico rustico
 
Contiene alcaloidi come stachidrina; aminoacidi come arginina, lisina, metionina; carboidrati come amido, cellulosa, glucosio; cumarine come melilotoside; flavonoidi come apigenina e quercetina; lipidi come acidi grassi omega-3 e omega-6; proteine come legumina e RuBisCO; sali minerali come calcio, ferro, magnesio, potassio; saponine come medicosaponine; terpenoidi come beta-carotene; vitamine A - gruppo B - C - D - E - K; ha proprietà antibatteriche, antiemorragiche, antinfiammatorie antiossidanti, antipiretiche, antireumatiche, antispasmodiche, antivirali, cardiotoniche, depurative, digestive, emetiche, funghicide, ipocolesterolemizzanti, rimineralizzantei toniche, vitaminizzanti.
Sconsigliato l'uso ai diabetici, alle donne in gravidanza e in allattamento, a chi soffre di problemi gastrintestinali, e a chi segue una terapia con anticoagulanti orali, con farmaci immunosoppressori, con ormoni.

Nel linguaggio dei fiori, l'erba medica rappresenta il nutrimento, la prosperità, e il sostegno, un rametto puù andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di San Giovanni, entrambi i numeri sono sacri.

Lieta Festa di San Giovanni e grazie a tutti coloro che ancora una volta mi hanno seguito in questo cammino erboristico!

N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.


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Acqua d'inverno

sabato 21 giugno 2025

Madre Terra al solstizio d'estate

Varrone nel suo Dell'Agricoltura spiega che il tempo è di due maniere, uno segue il ciclo annuale del sole e l'altro il ciclo della luna. Il ciclo solare è diviso in quattro stagioni di tre mesi ciascuna e dopo la primavera:

"Nell’ estate bisogna far le raccolte;"

Dell'agricoltura - libri tre
Marcus Terentius Varro
Traduzione Gian Grolamo Pagani

Solstizio d'estate

Con questa frase semplice, diretta e essenziale, ci restituisce un’immagine nitida del mondo agricolo romano. L’estate, nel calendario contadino, era il tempo in cui l'uva iniziava a riempirsi e il lavoro della semina si traduceva finalmente in grano, farro, fieno, frutti, cibo per l’inverno e sostegno per le famiglie. Non era una pausa o un lusso, ci si svegliava all’alba e ogni sforzo, ogni cura, ogni attesa si traduceva in qualcosa da raccogliere al ritmo del canto delle cicale, si tornava a casa al tramonto avvolti dalla polvere dei campi, carichi di fatica con le mani sporche e stanche, ma soddisfatti e riconoscenti.
E il solstizio d’estate, quando il giorno è più lungo e il sole per un singolo istante è al suo culmine, segna il passaggio astronomico in cui il tempo non si accelera né si ferma, ma si compie; misura di ciò che è cresciuto e di ciò che deve essere conservato; è il racconto della relazione simbiotica che coinvolge l'uomo e Madre Terra  in un patto silenzioso custode delle loro reciproche promesse.

Lieto solstizio e felice estate!

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Acqua d'inverno

mercoledì 18 giugno 2025

Si spezza e non si piega l'erica arborea

 "I Greci chiamano « erica» un arbusto non molto diverso dalla calluna, ma nel colore ed in certa misura nelle foglie somigliante al rosmarino. Dicono che combatte il veleno dei serpenti."


Storia Naturale – Libro XXIV
Plinio il Vecchio
Traduzione Marco Fantuzzi

L'erica arborea; dal greco ἐρείκη/ereíkē latinizzato in erīca, probabilmente deriva del verbo ἐρείκω/ereiko - fenderefrangerespezzare, per la facilità con cui si spezzano i suoi rami e per la sua proprietà fitoterapica che rompe i calcoli ai reni e alla vescica; più il latino arbor - albero per l'aspetto morfologico; cresce tra le rocce assolate della macchia mediterranea, lenta e tenace, con rami sottili e fiori bianchi che da Sud a Nord, legati al contesto climatico, accompagnano gradatamente i passaggi stagionali.
I suoi rami diventano scope nel mondo contadino come lo diventano quelli della calluna vulgaris, di cui vi ho parlato in Il brugo in brughieracugina e non sorella dell'erica arborea, appartenente alla stessa famiglia ma non allo stesso genere. 
Raccolta in fascine, nelle zone rurali della Calabria, della Liguria, della Sardegna e della Toscana, viene usata ogni 17 gennaio, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, per accendere i grandi falò da cui sale in cielo un fumo profumato atto a purificare, a proteggere il bestiame, e a salutare l’inverno.
La sua radice forniva carbone ai fabbri e con il suo legno duro e resistente al fuoco si intagliano pipe e utensili. Il nettare dei suoi fiori invece permette alle api di produrre un ottimo miele scuro e aromatico.
In Irlanda e in Scozia viene inserita nei bouquet delle spose come portafortuna perché si racconta che Malvina, figlia del bardo celtico Ossian, sposò il valoroso guerriero Oscar che morì in battaglia e il messaggero che le diede il triste annuncio le portò un mazzo di erica viola, ultimo dono del suo amato. Sconvolta dal dolore, Malvina pianse sulle scogliere e quando le sue lacrime toccarono i fiori, questi si tinsero di bianco. Da allora, si crede che l’erica bianca porti fortuna a chi la trova, perché nasce dal dolore trasformato in amore eterno.
La storia di Malvina e dell’erica bianca nasce in epoca romantica, tra la fine del Settecento e l’Ottocento, è legata al ciclo poetico attribuito a Ossian, un presunto bardo celtico le cui opere furono in realtà composte nel XVIII secolo dal poeta scozzese James Macpherson che pubblicò i “Canti di Ossian” spacciandoli per traduzioni di antichi testi gaelici mentre erano un parto della sua creazione letteraria.

"... Oscar si distinse per molte gloriose azioni, da lui fatte ora seguendo il padre, ed ora comandando da se. Fu egli che diede una rotta a Carausio, che, ribellatosi dagl'imperatori romani, s'era impadronito della Brettagna. Sposò egli Malvina, figlia di Toscar, famoso guerriero caledonio, ma non n'ebbe prole. Morì Oscar nel fiore della sua età, e della sua gloria, essendo stato ucciso proditoriamente da Cairbar, signor di Atha, che nell'ultima spedizione di Fingal in Irlanda, sotto colore di generosità, l'aveva invitato al convito. Quest'acerba morte fu un colpo fatale al cuore di Ossian; ed è spesso il soggetto de' suoi lamenti poetici. Non fu meno dolorosa la morte di Oscar alla sua sposa Malvina, da cui era teneramente amato, e che nel resto della sua vira non fece che piangerlo; avendo per pio conforto il trattenersi con Ossian ..."

Canti di Ossian - 1760
James Macpherson
Traduzione Melchiorre Cesarotti

L'Erica arborea, può raggiungere un'altezza che varia tra i 60 cm e i 6 metri, originaria dell'area mediterranea si estende dall'Africa settentrionale e centro-orientale, all'Europa meridionale e alle Isole Canarie, appartiene alla famiglia delle Ericaceae e il suo genere comprende circa 600 specie di cui 8 spontanee in Italia; brezo arbóreo in spagnolo; tree heath in inglese; baumheide in tedesco; bruyère arborescente in francese; popolarmente conosciuta come brentòlo, grecchia, scopin; ciocco, Radica, scopa in Calabria; bruciafiamme in Campania; erica da carbone, scopa selvatica nel Lazio; radica, scopa, scopone da bosco in Liguria; iddòstra, kastannàrgiu màsciu, mascu, scopa, tùvara in Sardegna; scopa scopa da bachi, scopa maggiore, scopone in Toscana; erica maggiore, scopina in Umbria; ha il fusto marrone chiaro, eretto e ramificato, è a maturità legnoso con corteccia; le foglie verde scuro dalla consistenza coriacea e sempreverdi, piccole e aghiformi sono disposte da tre a quattro in verticilli; i fiori bianco rosati, piccoli, peduncolati e campanulati sono riuniti in infiorescenze a grappolo; i semi sono contenuti in piccole capsule e vengono dispersi dal vento per la loro leggerezza.

Erica arborea

"La erica è uno arbuscello ramuscoloso, simile al tamarigio, ma molto piu picciolo. Vituperasi il mele, che fanno le api, che si pascono del suo fiore. Le frondi sue, & similmente i fiori medicano, applicati à modo dimpiastro, le morsure de i serpenti.

E l'Erica, arbuscello proprio dell'Asia, & della Grecia. Et secondo che dicono gli scrìttori, fiorisce ella due volte l'anno: onde si dice, che di tutte le piante salvatiche è l'Erica, la prima, & l'ultima, che fiorisca. Scrissene Plinio al IX. capo del XIIII. libro, con queste parole: Chiamano Erica i Greci uno arboscello non molto differente dal tamarigio, di colore di rosmarino, & quasi disimili foglie. Scrivono esser questa valorosa molto contra i serpenti. Queste sono parole di Plinio, le quali non sono però di tanta chiarezza, che si possa dirittamente affermare, qual pianta sia in Italia, che legitimamente ne rappresenti l’Erica, & massimamente essendo ella descritt a da tutti con la medesima brevità. Quantunque questa, di cui è qui la figura, altro non mi paia rappresentare, che l'istessa Erica. Ella è veramente pianta fruticola, di colore di rosmarino, con foglie quasi similì al tamarigio, à cui la raffomiglia Dioscoride. Fiorisce appo questo due volte l’anno, la primavera ciò è, & l'autunno: il che è propria natura dell'Erica se si dee prestar fede a gli scrittori di questa facultà. Oltre di ciò si vede, che le api si pascono de suoi fiori tutto il tempo dell'autunno: imperoche le durano ifiori fino al principio del verno. Onde chiamarono gli antichi il mele, che fanno le api in questo tempo, ragionevolmente Ericeo, come testifica Plinio, il quale dice, che si fa dopo le prime pioggie dell'autunno, quando l'Erica sola fiorisce nelle selve. Più oltre, scrivendo Dioscoride nel terzo libro, che il Cori produce le foglie simili all'Erica, ma minori, & vedendosi, che quella del tutto se gli rassomiglia, tanto più ne inchina l'animo a credere, che ella sia l'Erica descritta da Dioscoride. Da queste ragioni adunque persuaso, ho stimato non esser fuor di proposito di porre qui questa pianta per l’Erica. Questa nasce copiosissima intorno à Goritia, & specialmente per tutta quella campagna, che tira dalla villa di Santo Andrea per andare à Merni verso il fiume di Vipao. I paesani chiamano questa pianta Grione. Ma in Toscana cresce molto più grande, & se ne fanno le scope da spazzare le case: & però volgarmente si chiama l'Erica, Scopa. Marcello interprete di Dioseoridefi crede ingannandosi di gran lunga , che Errore di Marcello interprete di Dioscoride si crede ingannandosi di gran lunga, l'Erica sia una spetie di ginestra. Un'altra Erica, la quale non manco forse, se non più della sopradetta, si confa con la descrittione, e, mi ha nuovamente mandata l'eccellentissimo medico messer Gabriel Falloppia Modenese da Padova, ove con sommo honore egli bora legge publicamente l'anatomia, & la materia de semplici. Di questa anchora diamo hor qui la pittura, accioche ogniuno resti di noi meglio sodisfatto, & possa appigliarsi a quella, che più gli piacerà.
Ne mi par di restar di dire che nasce una pianta ne i Monti di Boemia, à i confini di Silesia, & di Lufatia, ove nascono i fonti che fanno il Fiume chiamato Albis, la quale si diffonde per largo spatio per terra, folta & bassa: le cui foglie sono quasi simili all'Erica della prima spetie più volgare: ma produce con tutto ciò anchora le bacche così grosse, come quelle del Ginepro, ma tenere, & dentro molli & viscose di colore come è quello delle prune scorticate. Ha i rami legnosi che nel rosso bruneggiano, vencidi, & arrendevoli. I fiori non vidi io già mai, ma solamente vidi & rìcolsi la pianta con il frutto nella fine del mese d'agosto: & per non saperne altro nome non ho saputo chiamarla altrimenti, che Erica baccifera. Et honne anchor qui posto la figura per metterla anchora in consideratione delli altri Semplicisti. Scrisse dell'Erica brevemente Galeno al VI. delle facultà de semplici, così dicendo: L’Erica ha virùu di digerire per traspiratione. nel che è veramente l'uso delle frondi, & del fiore. Chiamano i Greci la Erica, ἐρείκη: ì Latini Erica: gli Spaguoli Queiro: i Tedeschi Heyden: i Francesi Bruyere."

Dioscoride a cura di Pietro Andrea Mattioli

Contiene carboidrati come cellulosa, amido e glucosio; fenoli tra cui flavonoidi come apigenina, kaempferolo, quercetina; e tannini come tannini condensati; glucosidi come glucosidi fenolici; lipidi come acidi grassi insaturi e steroli vegetali; proantocianidoli come proantocianidine; proteine come enzimi e proteine strutturali; sali minerali come calcio, magnesio, potassio; terpeni come monoterpeni e sesquiterpeni; vitamina C; e ha proprietà antinfiammatorie, astringenti, antiossidanti, antisettiche, diuretiche.

Erica arborea

"... Erica, designata col suo nome de’ giorni di lavoro, si chiamerebbe, nè più nè meno, una Scopa. Umile, modesta, gentile, se ne sta contenta alla mezzana statura d’un arboscello, e mette fuori lungo i rami, a migliaia di migliaia, certe foglioline corte, sottili, riunite a mazzetti come aghi acuminati, ora intere, ora dentate, articolate sul fusto, e verdeggianti perennemente sulla pianta. Da quella specie di roveto spuntano certi fiorellini pusilli, divisi in cinque o sei lembi sul calice allungato, quasi campanule microscopiche o glossinie rimpiccolite, tinti de’ più vivaci colori, ora sparsi qua e là sul cespuglio, ora disposti a spiga o a ciuffetto, ora rizzati per l’insù, ora penduli dalla cima del ramo, ma sempre graziosi, e variati di forma e di sfumatura. Quest’Erica vive nei boschi, quella si piace nel folto delle siepi, quell’ altra cresce intorno a’ luoghi abitati, l'Uva d’orso si arrampica sui dirupi, l'Airella cerca il silenzio della selva, l'Andromeda pende sul nudo sasso nelle piagge deserte della Lapponia.
Ho fatto amicizia colle Eriche che hanno sempre una fisonomia allegra e spigliata, un’aria di malizietta impertinente e di procacità disinvolta, che mette di buon umore solamente a guardarle. Si ficcano dappertutto, e sanno tutti i segreti e tutti gli scandalucci del mondo vegetabile, e me ne hanno raccontate delle belle sul conto delle piante grasse; che stanno laggiù sotto la parete del tepidario de’ Nepenti!..."

La festa dei fiori, ricordo dell'Esposizione Internazionale d'Orticultura in Firenze -1874
Pietro Francesco Leopoldo Coccoluto Ferrigni 

Nel linguaggio dei fiori, l’erica bianca rappresenta la buona sorte, la protezione, la purificazione e la serenità, un rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di San Giovanni entrambi i numeri sono sacri.


N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

Per chi è interessato
Brucia con le coccole il legno di ginepro
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