mercoledì 30 marzo 2022

Tamamo no Mae e la Sessho seki

Tamamo no Mae - 1891 - Yoshitoshi

Tamamo no Mae - 1891 - Yoshitoshi

Tamamo no Mae nella sua documentazione più antica nasce 3.500 anni fa nell'antica Cina e nel corso dei successivi cento anni, diviene una potente maga abile nel cambiare aspetto e nell'arte della manipolazione che utilizza per danneggiare l'umanità.
Durante la dinastia Shang indossa gli abiti di Da Ji, concubina del re Zhou di Shang, e con la sua capacità di disseminare sventura attraverso l'istigazione alla tortura e alla depravazione causa la distruzione della dinastia; dovrebbe essere giustiziata ma con l'astuzia che la contraddistingue si salva e intorno al 1046 a.C. la ritroviamo in India nel ruolo della seducente Lady Kayo che conquista Kalmashapada, sovrano del regno di Magadha conosciuto in Giappone come Hanzoku, e lo induce a cannibalizzare i suoi figli, massacrare i suoi sacerdoti, decapitare mille uomini innocenti e commettere altri orrori indicibili. Le risorse del suo regno incominciano a scarseggiare e Kalmashapada si avvicina al buddismo sottraendosi così al potere di Tamamo no Mae/Lady Kayo che nel 779 a.C. torna in Cina assumendo le sembianze di Bao Si; con la sua bellezza affascina re You della dinastia Zhou, riesce a diventare una delle sue consorti e lo spinge a deporre la regina Shen per prenderne il posto, il re commette ogni atrocità per compiacere Tamamo no Mae/Bao Si e finisce coll'essere ucciso mentre lei sfugge all'esecuzione scomparendo.
Ricompare nel 700, si chiama Wakamo, ha 16 anni, intenerisce Abe no Nakamaro, Kibi no Makibi, e Ganjin, tre degli inviati giapponesi della dinastia Tang che la portano in Giappone.
Facciamo un salto di oltre 300 anni, raggiungiamo il 1090 e incontriamo Tamamo no Mae nel corpo della neonata Mizukume che viene trovata per strada da una coppia che l'adotta; a 7 anni la piccola recita delle poesie dedicate all'imperatore e rimane a corte al suo servizio, la sua bellezza cresce con lei, così come la sua intelligenza che si manifesta nell'apprendimento encomiabile della danza, della letteratura, della musica, della poesia, e della storia. Quando compie 18 anni ha già conquistato il cuore di tutto il Giappone e per festeggiarla a corte si organizza una rappresentazione poetica che si svolge durante una tempesta, il vento spegne tutte le candele, nel buio i presenti si accorgono che il corpo di Mikuzume emana una luce splendente e ritengono che sia lo spirito reincarnato di una persona buona, l'imperatore Toba rimane affascinato, si invaghisce di lei, la chiama 玉藻前/Tamamo no Mae - la signora Gioiello luminoso e la sposa. L'imperatore si ammala e nessuno riesce a guarirlo per cui viene convocato 安倍泰成/Abe no Yasunari, un 陰陽師/Onmyôji - Maestro yin-e-yang che attraverso le preghiere e la divinazione scopre che la responsabile del maleficio è Tamamo no Mae,

Onmyōji impegnato nella divinazione con aste di conteggio dal libro Tamamo no Mae di Nara - Primo periodo Edo

Onmyōji impegnato nella divinazione con aste di conteggio dal libro Tamamo no Mae di Nara - Primo periodo Edo

organizza un Taizan Fukun no Sai, rituale d'invocazione del re della montagna Taizan e dei giudici del Meido/Purgatorio e dell'Jigoku/Inferno per fare una supplica di lunga vita che protegga l'imperatore e scacci gli spiriti maligni. Abe no Yasunari, per dimostrare che Tamamo no Mae è una 妖怪/Yōkai ovvero la manifestazione di un essere malvagio, /maleficio, kai/manifestazione inquietante, la invita a partecipare al rituale, lei si vede costretta ad accettare, ma durante la cerimonia scompare svelando la sua natura di potente 九尾の狐/Kyūbi no KitsuneVolpe a nove code*.

Tamamo no Mae - 1865 - Utagawa Kunisada

Tamamo no Mae - 1865 - Utagawa Kunisada

Tamamo no Mae, scene - Disegno preparatorio 1850 - Anonimo

Tamamo no Mae, scene - Disegno preparatorio 1850 - Anonimo
 Partendo da destra: Tamamo no Mae nel giardino della dimora imperiale inchioda un fantoccio di paglia a un albero per maledire l'imperatore, al centro un samurai  osserva Tamamo no Mae e a sinistra Tamamo no Mae viene uccisa 
 
80.000 mila uomini dopo esser stati purificati vengono mobilitati per trovare Tamamo no Mae e si dirigono verso la provincia di Nasuno no Shimotsuke dove sono spariti donne e bambini, durante la caccia Miuranosuke, uno dei più grandi guerrieri, di notte sogna una bella ragazza che gli chiede aiuto, ma non cade nell'inganno perché capisce che si tratta di una trappola di Tamamo no Mae, si intestardisce ancora di più e con Kazusanosuke, suo pari nell'arte della guerra, scova Tamamo no Mae, Miuranosuke scocca due frecce contro di lei mentre Kazusanosuke la colpisce con la lama, così finalmente Tamamo no Mae muore,

Miuranosuke uccide Tamamo no mae - 1820 - Yashima Gakutei

Miuranosuke uccide Tamamo no mae - 1820 - Yashima Gakutei

ma gli eventi funesti non finiscono poiché l'imperatore Toba muore, stessa fine fa il suo erede Konoe e per il successore al trono scoppia anche la guerra civile, nella famiglia reggente dei Fujiwara, Fujiwara no Tadamichi sostiene Go-Shirakawa e Fujiwara no Yorinaga è fedele a Sutoku che con i suoi guerrieri viene poi sconfitto dagli uomini delle famiglie di Minamoto no Yoshitomo e di Taira no Kiyomori che appoggiano Go-Shirakawa. Da ciò si deduce che lo spirito malefico di Tamamo no Mae è ancora vivo e contenuto all'interno della 殺生石/Sessho-seki - Pietra assassina nata dal suo corpo e mortale per chiunque la tocchi. In una delle varianti la storia continua con l'intervento del monaco buddista Genno che purifica la pietra, insegna a Tamamo no Mae i principi del buddismo e la libera dopo aver ottenuto il suo pentimento. 

Sessho seki  - Nasu prefettura di Tochigi - Giappone

Sessho seki  - Nasu prefettura di Tochigi - Giappone

Nonostante il lieto fine la tradizione della pietra che uccide si è mantenuta e i giapponesi folkloristicamente l'hanno identificata nelle montagne vulcaniche di Nasu, un'area nota per le sorgenti termali nella prefettura di Tochigi a un centinaio di chilometri a nord di Tokyo e dichiarata dal 1957 di interesse storico.
La Sessho-seki, che già da tempo mostrava segni di una crepatura, il 5 Marzo 2022 si è spaccata alimentando le credenze popolari che ritengono Tamamo no Mae di nuovo libera di spargere la malvagità tra gli uomini.

Sessho seki  - Nasu prefettura di Tochigi - Giappone - Dettaglio della spaccatura

Sessho seki  - Nasu prefettura di Tochigi - Giappone - Dettaglio della spaccatura

La storia di Tamamo no Mae è una delle 350 raccolte nei 御伽草子/Otogizōshi - Libri di compagnia scritti da anonimo e redatti durante l'epoca Muromachi tra il 1392 e 1573, fungono da congiunzione tra la letteratura di corte del periodo Heian risalente al 794 - 1160 e i libri del periodo Edo tra il 1600 e il 1868, i 仮名草子/Kanazōshi - Libri scritti in kana e gli 浮世草子/Ukiyozōshi - Libri del mondo fluttuante.
Gli otogizōshi venivano probabilmente recitati seguendo le illustrazioni in stile Nara-ehon che rappresenta un collegamento tra i dipinti dei rotoli d'epoca Heian e i libri xilografati d'epoca Edo.

Ora, al di là della superstizione che lascia il tempo che trova, è curioso notare che il presagio nefasto si sia manifestato in uno Stato che conosce bene gli effetti devastanti della bomba atomica.


九尾の狐Kyūbi no Kitsune - Volpe a nove code= Il numero delle code, in una /Kitsune - Volpe, indica la sua anzianità simbolo di grande saggezza e la sua potenza che è all'apice quando conquista l'ultima coda, la nona che le permette di ottenere un manto bianco o d'oro e la capacità di sentire tutto ciò che accade in ogni angolo del mondo.

venerdì 25 marzo 2022

Illumina le genti

Vergine Maria
Illumina le genti
La follia regna

Sciarada Sciaranti

Affresco dell'Annunciazione - XI secolo - Cattedrale di Santa Sofia - Kiev

Affresco dell'Annunciazione - XI secolo - Cattedrale di Santa Sofia - Kiev

Affresco dell'Annunciazione - Grabriele dettaglio - XI secolo - Cattedrale di Santa Sofia - Kiev

Affresco dell'Annunciazione - Grabriele dettaglio del nastro che lega i capelli - XI secolo - Cattedrale di Santa Sofia - Kiev 

Guardate un po' la coincidenza: il nastro dei capelli dell'arcangelo Gabriele, mosso dal soffio dello Spirito Santo che scende sulla Vergine Maria, ha la stessa forma di quella Z che, secondo ciò che afferma il ministero della Difesa russo, sui carri armati,  i tank russi, simboleggia il motto " Za pobedu - Per la vittoria "

domenica 20 marzo 2022

L'equinozio di primavera dei girasoli

" Prendi questi semi e mettili nelle tue tasche, così almeno i girasoli cresceranno quando morirai "

Donna ucraina a un soldato russo

I dirigenti della base missilistica di Pervomaysk nel 1996 piantarono dei semi di girasole per celebrare l'operazione di disarmo nucleare con l'abbandono di quello che era l'arsenale nucleare, terzo al mondo per importanza, rimasto sul territorio ucraino dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991.
Nel linguaggio dei fiori il girasole rappresenta l'orgoglio e se agli ucraini racconta la storia della loro indipendenza dalla Russia, all'Occidente mostra la forza, la tenacia e l'unità di un grande popolo.

Oggi alle 16.33, ora italiana, entriamo nella stagione primaverile ed è in primavera che si piantano i semi di girasole

Semi di girasole

Sai, scriverti una lettera
Non è una cosa facile
Sai, mi sento così fragile
Le bombe non ti ascoltano

Ma questa guerra non mi cambierà mai

Dove si va? Come si fa?
A stringere la vita, intanto fuori scoppia la notte
Dove si va? Come si fa?
Se vivere da queste parti è come tirare a sorte

Sai, il tempo è scivolato via
Ma non è stato tutto inutile
Io saprò vederti crescere
È una promessa che non mancherò
E poi, ancora un altro giorno nascerà per noi

Noi

Dove si va? Come si fa?
A stringere la vita, intanto fuori scoppia la notte
Dove si va? Come si fa?
Se vivere da queste parti è come tirare a sorte

E non riesco più a sorprendermi
Della pazzia che danza intorno a me
E penso che dovrei difendermi
Ma è più difficile combattere
Se il pianto di una madre no, non può salvare la notte

La notte

Dove si va? Come si fa?
A stringere la vita, intanto fuori scoppia la notte
Dove si va? Come si fa?
Se vivere da queste parti è come tirare a sorte

Sai, scrivere una lettera
Non è mai stato facile

Dove si va
Nomadi

martedì 8 marzo 2022

Scomoda e indipendente

Anna Stepanovna Politkovskaja viene uccisa  a Mosca nell'ascensore di casa sua il 7 ottobre del 2006, giorno del cinquataquattresimo compleanno del primo ministro russo. 
Uno dei quattro proiettili sparati da una semiautomatica Makarov la colpisce alla testa e non le lascia scampo. Aveva quarantotto anni.
Anna nasce a New York nel 1958 da due diplomatici sovietici di origine ucraina che all'epoca svolgevano il proprio lavoro presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel 1979 sposa Aleksandr Politkvoskij e nel 1982 inizia la sua carriera.
Era una donna scomoda, una giornalista indipendente che raccontava i fatti senza filtri, si occupava della difesa dei diritti umani e nel 2001 le fu assegnato il Global award di Amnesty International.
Il 9 giugno del 2014 il tribunale di Mosca riconosce come autori materiali del suo omicidio cinque uomini, Rustam Makhmudovm, l'assassino, viene condannato all'ergastolo, suo zio Lom-Ali Gaitukajev, l’organizzatore dell'attentato, è condannato all'ergastolo, Sergei Khadzhikurbanov, ex dirigente della polizia di Mosca, è un complice ed è condannato a 20 anni di reclusione, Dzhabrail Makhmudov è un complice ed è condannato a 14 anni e suo fratello Ibragim complice a 12 anni.
Loro erano i sicari ma il mandante a oggi è ancora libero.


Anna Stepanovna Politkovskaja

Anna Stepanovna Politkovskaja


L'otto marzo celebriamo la Giornata Internazionale della Donna e Anna a questo proposito nel suo Diario Russo scriveva:

8 marzo 2004

Festa della donna. Come vuole la tradizione, Putin ha invitato al Cremlino le donne che lavorano. Una trattorista, una scienziata, un’attrice e un’insegnante. Discorsi ispirati, una coppa di champagne, le telecamere.

È fatta. Oggi è il termine ultimo per ritirare la propria candidatura. Nessun altro lo ha fatto, sulle schede sono rimasti in sei: Malyškin, Putin, Mironov, Chakamada, Glaz’ev, Charitonov. La televisione dà grande risalto al voto anticipato degli allevatori di renne e delle più remote località di confine.

8 marzo 2005

Nel villaggio di Tolstoj-Jurt, in Cecenia, è stato ucciso Aslan Maschadov, leader della resistenza cecena e presidente dell’Ičkerija (eletto nel 1997).
È tutto il giorno che la televisione mostra il primo piano del suo cadavere nudo. La Cecenia ha avuto un fremito: persino i detrattori di Maschadov hanno detto che è stato un gesto abominevole da parte di Mosca.
Sia come sia, l’era Maschadov è finita. Quale comincerà?
Il nuovo Maschadov sarà Basaev. Addio tregua e addio negoziati.
La Cecenia aveva quattro presidenti. A oggi, primavera del 2005, tre sono morti, e non di morte naturale, mentre la legittimità del quarto – Alu Alchanov – è questione assai controversa. La mappa dell’Europa moderna non conosce altra zona con un tale groviglio politico-militare e con tanti spargimenti di sangue.
Quel che conta per la storia, però, è che, come migliaia di altri ceceni (uomini e donne), Maschadov è morto per la delazione di un suo compatriota. Una delazione che è frutto delle torture, il metodo prediletto per interrogatori e indagini nell’epoca delle due guerre cecene. Anche in questo senso Maschadov ha condiviso le sorti della sua gente, che poi è il sogno di chiunque avanzi pretese di leadership. Dunque Maschadov verrà ricordato. Come martire, probabilmente, e a prescindere da altre sue azioni.
A chi conviene la sua morte? Maschadov è stato ucciso durante la tregua unilaterale da lui stesso ordinata, che probabilmente non ha avuto il successo sperato, ma che resterà nella storia come l’unica della seconda guerra cecena. Di fatto era un segno di buona volontà, una mano tesa al Cremlino per dare inizio alle trattative sul cessate il fuoco, la smilitarizzazione e la mutua estradizione dei criminali di guerra.
L’eliminazione di Maschadov in questo preciso istante significa che la tregua è finita. Scordatevela. Basta. E dite addio anche ai negoziati. Care le mie madri dei soldati, non servite più. E nemmeno voi, madri normali. Ci serve solo gente che combatte. La pace in Cecenia si allontana verso un orizzonte remotissimo. Il perché (oltre al Cremlino, che è alla radice di tutti i perché) è la situazione interna alla resistenza cecena: Maschadov era pressoché l’unico che riusciva a trattenere – a stento, con le ultime forze che gli restavano – gli estremisti più radicali, convinti che la Russia vada combattuta con ogni possibile mezzo, compresa Beslan.
Ora non c’è più nessuno che tiri il freno. Mentre c’è chi schiaccia sull’acceleratore. Il ruolo di leader della resistenza (indipendentemente da chi verrà eletto dal Comitato per la difesa dell’Ičkerija, in clandestinità) toccherà al principale oppositore di Maschadov e della sua moderazione. Il suo nome è Šamil Basaev. Possiamo dunque constatare che il risultato dell’eliminazione di Maschadov da parte dei reparti speciali dell’FSB della Federazione Russa (come ufficialmente dichiarato) è il passaggio delle redini della resistenza a Basaev, a cui la legittimità interessa poco o niente. Sarà lui il nuovo «Maschadov», ma sempre e solo tra virgolette. Perché se Maschadov si batteva per avere un posto al tavolo dei negoziati, Basaev se lo conquisterà da solo, quel posto. E senza nemmeno negoziare.
Dunque con la morte di Maschadov in Cecenia ci saranno due figure equivalenti per crudeltà, abiezione e oscurantismo medioevale: Basaev e Kadyrov junior. Gli altri (tutti noi) finiranno tra questi due fuochi.
Che cosa significa? Significa attentati. Kamikaze di entrambi i sessi. La clandestinità islamica che si chiude nei bunker. Le prigioni di Kadyrov e i bunker di Basaev. Noi che scongiuriamo i nostri figli di non prendere la metropolitana. Perché se noi ammazziamo i loro figli, loro ammazzeranno i nostri...
Dietro Kadyrov c’è Putin. Dietro Putin ci sono troppe cose, troppe per prenderle tutte in considerazione.
Dietro Basaev ci sono davvero gli «arabi», come amano definirli i federali (ceceni e non ceceni) per darsi un tono?
Dietro Basaev ci sono i mercenari, sì, ma non sono loro a fare il bello e il cattivo tempo. Dietro Basaev, è essenziale, c’è la resistenza più estremista. Alimentata in primo luogo dalla gioventù cecena che non conosce altro modo per scampare alle umiliazioni di cui è vittima, e che è stata a troppi funerali di innocenti.
Altra condizione ottimale per la proliferazione dell’estremismo è la clandestinità islamica. Che aumenta con il perdurare della guerra. E per tutti i jamaat distrutti se ne formeranno di nuovi. Così è stato in Cecenia e così è nelle repubbliche confinanti del Caucaso del Nord. La clandestinità islamica è una realtà. E quanto più l’opinione pubblica si imbeve di umori anticaucasici e antislamici (e la «saggia» guida del Cremlino fa sì che aumentino progressivamente), quanto più stupide sono le scelte dell’FSB per screditare l’Islam, tanto più la clandestinità si rinforza. A voler ridurre ciò che è accaduto negli anni passati a una formula, ne deriva che il potere ha usato la Cecenia per mostrare quanto fosse pericoloso alzare la cresta, ma ha finito per dimostrare il contrario: negli ultimi cinque e passa anni una giovane generazione di musulmani per nascita ha raggiunto l’età della ragione, non è più disposta a passare per gente di serie B e trova la salvezza in un Islam che si chiude al mondo.
In questo modo l’era Maschadov – ex comunista ed ex colonnello sovietico avvicinatosi all’Islam solo di recente – e la stupida lotta senza quartiere contro la sua persona hanno fatto sì che la nuova generazione non desideri abbracciare l’Islam moderato. Vogliono essere estremisti contro quel potere che toglie di mezzo i moderati.
La loro bandiera è Basaev. Maschadov è stato a lungo una pietra d’inciampo per la clandestinità. Ora la pietra è stata rimossa. La strada è libera. E a Basaev fa molto comodo. Ha avuto quel che sognava da una decina d’anni. E poco importa che non abbia la legittimità politica di Maschadov. Non sono cose che gli interessano. Gli interessa preparare un attentato contro la Russia che faccia più vittime possibile. Per Basaev la morte di Maschadov a Tolstoj-Jurt è la riprova di un suo slogan di vecchia data: con la Russia non si tratta, con la Russia si combatte, e senza esclusione di colpi.
A fine giornata le televisioni di Stato hanno mandato in onda Kadyrov junior, il folle: ha detto che l’omicidio di Maschadov è stato un regalo per la Festa della donna...
Certe affermazioni non meritano commenti.

Diario Russo
Anna Stepanovna Politkovskaja
A cura di Claudia Zonghetti

Il mio abbraccio a tutte le Donne e a tutti gli Uomini degni di questo nome

sabato 5 marzo 2022

Pier Paolo Pasolini, cento anni dalla sua nascita

Intellettuale, cineasta, scrittore, poeta, musicista, pittore, contestatore controcorrente sempre dalla parte degli ultimi, nato a Bologna il 5 marzo 1922, ucciso a 53 anni il 2 novembre del 1975 all'idroscalo di Ostia.
Oggi cento anni dalla sua nascita.

Pier Paolo Pasolini in un ricordo di Dacia Maraini:


Caro Pier Paolo,

stanotte ti ho sognato. Avevi il solito sorriso dolce e mi dicevi: «Sono qua!». Poi ti toglievi una specie di gilet color malva e aggiungevi: «Fa caldo».
Stavo per abbracciarti, felice di rivederti, quando sei scomparso. Per terra era rimasto il tuo gilet color magenta. Ho fatto per raccoglierlo, ma anche quello è sparito. Al suo posto ho visto un geco spaventato che correva verso la parete.
È cosí strano che dopo tanti anni, nel sonno, io trovi ancora il modo di ricordarti e di vederti. Sei sempre il giovane cinquantenne che ho frequentato negli anni Sessanta e Settanta: il corpo agile, sportivo, la faccia seria, non imbronciata, ma pensosa, lo sguardo sognante, il passo deciso e sempre pronto a correre.
Anche stanotte eri in piedi, pronto a scattare, e avevi uno sguardo mite, interrogativo. Lo sguardo che mi era familiare e che amavo. Curioso come le amicizie a volte si dipanino attraverso gli sguardi. Quante cose contengono quelle due pupille pronte a ingoiare il tempo. Ora vivi, infatti, solo nei miei occhi interni e ti muovi dentro lo straordinario spazio che lo sguardo degli occhi chiusi comprende.
Tante volte sparivi mentre eri vivo, quando camminavamo insieme, o mentre pranzavamo in una bettola africana. Avevi questa capacità di evadere dalla compagnia, soprattutto quando era troppo numerosa.
«Dov’è Pier Paolo? Era qui un momento fa».
E ci mettevamo a cercarti. Ma ecco che, in capo a qualche minuto, tu riapparivi, gioioso anche se stanco, e riprendevi a pescare distrattamente nel tuo piatto, o a bere quel latte che ti avevano ordinato dopo la crisi di ulcera, al posto del vino.
Quanti bicchieri di latte ti ho visto sorseggiare. Non so se ti piacesse il latte. Facevi una piccola smorfia quando posavi il bicchiere e spesso ti rimanevano due piccoli baffi bianchi all’angolo delle labbra. Ti avevano proibito i sughi, i fritti, le spezie, gli alcolici e tu ti adeguavi con una pazienza che in altri campi non avevi.
Tua madre, diligentemente, cucinava per te il pesce bollito, la carne ai ferri, le verdure al vapore. E se era stanca, c’era Graziella, la generosa e accudente giovane cugina che preparava amorevolmente i cibi adatti al tuo stomaco recalcitrante.
Quando abbiamo messo su casa insieme a Sabaudia, spesso ero io a cucinare per le nostre cene. Venivi volentieri da noi, percorrendo la lunga terrazza che avevamo in comune. Alberto sceglieva il pesce nel pomeriggio, dopo una mattinata di scrittura, e io lo mettevo in pentola. Cercavo di rendertelo un poco saporito col cumino, col limone spremuto, ma tu non ti lamentavi mai. A me piaceva cucinare e a te sederti a tavola con noi.
Parlavi poco, sei sempre stato di poche parole, ma i tuoi silenzi non erano stranianti, erano un modo tutto tuo di concentrarti su un pensiero comune che si esprimeva in una affettuosità condivisa. In compenso ti piaceva che Alberto parlasse anche per te. Ti piaceva ascoltarlo quando raccontava le sue peripezie letterarie o di vita. Alberto era uno straordinario raccontatore di storie e pendevamo tutti dalle sue labbra quando imboccava la strada dei boschi narrativi.
A un certo punto della serata, sparivi. Ma quando non eravamo in viaggio, non ci preoccupavamo. Sapevamo che prendevi la tua veloce automobile e andavi in cerca di quel ragazzino che eri stato e che ti sfuggiva da sempre.

Caro Pier Paolo
Dacia Maraini

Pier Paolo Pasolini

" ... Tu non ridi: e dai tigli e altre piante dimenticate
porti le forme di una nuova storia che vivi seriamente,
come un’ape infelice, col cuore indollato.

Queste forme son morte. La loro vita consiste
in una calma frenesia fatica che inganna il tempo.
Perché, quel giorno, dovra pur tornare.

La vita delle forme morte: un azzurro sorprendente,
un arancione umilmente misto al giallo degli oggetti utili
(ch’io parlo d’un pittore,
e con la testa, morta, ragiono, ragiono).

L’utilizzazione dell’energia atomica tara i manufatti:
che volano come tappeti tarlati
o angeli schiacciati con le budella e il sangue
resi poi preziosi dai magici fissatori d’antan.

Dietro la pupilla supplice della madre c’era un diaframma:
e l’ape volata dentro la vita della madre, beata,
tornando indietro, nella sua catabasi, si batte il capo.
So che, intanto, i tigli tornano inauditi a profumare.

Quel giorno, dicevo, dovra pur tornare, o venire.

Riempi il tempo che ce ne separa, senza rimpiangere
i sanguigni vincastri, nell’ombra serale o coi tuoni,
intorno ai rettangoli di grano verde;
non rimpiangi, ma riempi il tempo che ci separa

Con calma, ripeto. Con la calma di chi dice
buon giorno buona sera, buon giorno sera al vicino;
non importa se estinto.

Fila, baco.

Con calma; con la mano che pare non avere nervi!
con la mano che pare non avere nervi!
con la mano che pare non avere nervi!

La mano di una rana sacra; di una lumaca
solidale con la luna, le acque, e la spirale
dei bassorilievi nel tufo; dell’Ibo commestibile;
dell’antico malato di Hiroscima ... "

I reca*
Pier Paolo Pasolini

I reca*= I fiumi in croato




E con immenso affetto abbraccio Danila, Tiziano, Bruno e tutta la famiglia di Tomaso Scarpel che alle 6.00 di ieri mattina ci ha lasciati.

Tomaso Scarpel

Sarai sempre nel mio cuore

" Sono nato l’ 8 settembre 1930, da genitori poveri, ma con tanto orgoglio. Mio padre era del 1892 e mia madre del 1898. Io ero il penultimo di cinque figli.
Mio padre non aveva altra soluzione che cercare lavoro all’estero e quindi, tutti gli anni, in primavera, partiva per cercare lavoro in Francia, in Germania, o in qualche località italiana dove ce ne fosse.
Quando avevo cinque o sei anni, vedevo mio padre che alla fine di febbraio preparava le valigie, mentre mia madre, con le lacrime agli occhi, gli raccomandava di stare attento, perché di solito i suoi lavori comportavano un certo pericolo. Era manovale, ma avrebbe potuto trovarsi in situazioni rischiose quando lavorava nelle gallerie che potevano anche franare all’improvviso. Ricordo che, quando lo accompagnavo alla corriera, lo vedevo nascondere il suo dolore per il fatto di lasciare la famiglia.
Nella piazza dove sostava la corriera non era solo lui a partire; ce n’erano molti altri, tutti con lo stesso problema: la sopravvivenza delle loro famiglie. La nostra era una zona di forte emigrazione e l’ ottanta per cento degli uomini espatriava per trovare un lavoro stagionale.
La zona di cui parlo si trova ai piedi dei colli coltivati a vigneto, dove si produce il Prosecco. Eravamo orgogliosi di chiamare quella località “Quartiere del Piave” perché la distanza dal mio paese natìo alle sponde del Piave è di circa tre chilometri.
Prima della mia nascita, dal 1915 al 1918, tutta l’area attorno a noi fu teatro della prima guerra mondiale e mio padre vi partecipò come soldato di fanteria. Di conseguenza la vita era piena di stenti e le donne aspettavano con ansia il poco denaro che i mariti potevano inviare, facendo i più svariati lavori. Da sempre questi emigranti erano la spina dorsale dell’economia del paese, pur svolgendo dei lavori molto faticosi. Ogni anno, puntualmente, qualcuno ci rimetteva la pelle e tutta la comunità contribuiva a far rientrare la salma, accollandosi le relative spese.
La vita però continuava sempre onestamente. Ricordo che, quando io e quelli della mia età cominciammo ad andare alla scuola elementare, eravamo tutti contenti.
Era l’epoca del fascismo ed io entrai a far parte dei “Figli della Lupa”. Ad ogni piccola ricorrenza politica o istituzionale, ci si metteva un cinturone a forma di X nella parte anteriore, ed al centro campeggiava una grande M, iniziale di Mussolini.
Passò del tempo e a nove anni divenni Balilla, cambiando completamente la divisa: camicia nera con copricapo nero munito dello stemma che rappresentava il Littorio, tipico del fascismo.
Siamo negli anni difficili per tutti, 1937 - 1940, in un piccolo paese che vive a stento, dove il novanta per cento degli uomini erano emigrati stagionali.
Mia mamma, per sbarcare il lunario, cercava in tutti i modi di guadagnare qualche lira per i suoi cinque figli, facendo la lavandaia per i soldati alloggiati nei vecchi edifici delle scuole. Lavava e stirava, utilizzando ogni minuto per il benessere della famiglia.
In quel periodo le scarpe costavano molto e i soldi non erano mai abbastanza. Un giorno vidi mia mamma con un vecchio copertone di bicicletta in mano, lei mi chiamò e mi misurò la pianta del piede, poi con un vecchio coltello ben affilato ritagliò due pezzi a forma di piedi; rimasi sorpreso quando vidi che stava lavorando con della vecchia tela di canapa e altri strani ritagli.
Due giorni dopo erano nati un paio di sandali. Fu una cosa geniale per tutta la famiglia, ne confezionò un paio, erano molto leggeri e ci si camminava comodamente. Le voci si sparsero in fretta ed in paese tutti ne parlavano. Ogni giorno andavano a chiedere a mia madre se poteva farne anche per loro e le portavano vecchie stoffe di tutti i tipi. Mia madre andò da un vecchio calzolaio e gli chiese se poteva avere una vecchia forma di ferro, quella dove si appoggiano le scarpe per ripararle. Il calzolaio guardò nel suo magazzino e le regalò uno di quei ferri. Ricordo come fosse ieri come era felice. Aveva trasformato la piccola stanza dove viveva in un vero laboratorio pieno di forme e misure varie di piedi.
Non aveva mai tempo per riposare; quel lavoro le dava una certa sicurezza per i suoi cinque figli.
Un giorno arrivò una signora considerata in paese una persona benestante, portò un pacco con della stoffa e disse: - “Maria, guarda se con questa stoffa puoi fare un bel paio di sandali per me e le mie figlie”. Mia mamma esaminò attentamente la stoffa e disse: “Tutto si può fare, ma questa stoffa non è duratura; se lei accetta io mi prendo questa stoffa e le metto della tela molto resistente e di sicuro verrà bene. La signora rispose che per lei andava bene. Mia mamma guardò quella stoffa e vide che era un pezzo molto grande e che forse avrebbe potuto realizzare qualcosa di molto importante. In paese intanto si stavano facendo dei preparativi per i bambini, perché dopo qualche settimana avrebbero fatto la prima comunione e tutti pensavano al vestito per i comunicandi. Detto e fatto, mia mamma mi prese e mi portò dal vecchio sarto che in paese faceva di tutto e gli chiese se la stoffa sarebbe bastata per un piccolo giubbino e un paio di pantaloni per il suo bambino, che a breve avrebbe fatto la prima comunione. Il sarto prese le misure e con diverse giunture quasi invisibili le confezionò un vestitino carino. Venne il giorno della prima comunione e anche un povero bambino fece la sua bella figura. Questa storia sembra una favola, ma è una storia vera. Ve lo può testimoniare quel bambino, Perché quel bambino ero io.

Nel 1940 con l’inizio della seconda guerra mondiale cominciarono i grandi problemi per l’Italia. "

Dal Libro  "La mia vita - Tomaso Scarpel " - Cap 1
regalato a tutti gli amici blogger

mercoledì 2 marzo 2022

Sul confine tra il Martedì Grasso e il Mercoledì delle Ceneri

Per una strana coincidenza la guerra in Ucraina nasce e procede sulla strada che dal Giovedì Grasso porta alla Pasqua cristiana e oggi ci troviamo sul confine tra il Martedì Grasso e il Mercoledì delle Ceneri, qui la magra Quaresima prende lo scettro del grasso Re Carnevale.

Se la parola persa è persa, se la parola spesa è spesa
Se inascoltata, inespressa
Il Verbo è inespresso, inascoltato;
Ancora è la parola taciuta, Il Verbo inascoltato
Il Verbo senza una parola, Il Verbo dentro
Il mondo e per il mondo;
E la luce brilla nelle tenebre e
Contro Il Verbo il mondo inquieto ancora gira
Attorno al centro del Verbo silente.

Oh mio popolo, che cosa ti ho fatto!

Dove potrà essere trovata la parola, dove la parola potrà
Risuonare? Non qui, non c'è abbastanza silenzio
No sul mare o sulle isole, no
Sulla terraferma, nel deserto o nella terra delle piogge,
Per coloro che camminano nelle tenebre
Sia di giorno che di notte
Il tempo giusto e il posto giusto non sono qui
Né il luogo di grazia per coloro che salvano la faccia
Né l'ora di gioire per coloro che camminano in mezzo al frastuono e negano la voce

Pregherà la sorella velata per
Coloro che camminano nelle tenebre, che scelgono te e a te si oppongono,
Coloro che sono dilaniati dal corno tra stagione e stagione,
tempo e tempo, tra
Ora e ora, parola e parola, potere e potere, per coloro che aspettano
Nell'oscurità? Pregherà la sorella velata
Per i bambini al cancello
Che non andranno via e non possono pregare:
Prega per coloro che scelgono e si oppongono

Oh mio popolo, che cosa ti ho fatto!

Pregherà la sorella velata tra gli slanciati
Alberi di Tasso per coloro che la offendono
E sono terrorizzati e non possono arrendersi
E affermano davanti al mondo e rinnegano tra le rocce
Nell'ultimo deserto tra le ultime rocce azzurre
Il deserto nel giardino il giardino nel deserto
Della siccità, sputando dalla bocca il seme di mela appassito.

Oh mio popolo!

Mercoledì delle Ceneri - V
Thomas Stearns Eliot
Liberamente tradotto da me

Preghiera a Kiev
Preghiera  a Kiev
24 febbraio 2022



" In questi giorni siamo stati sconvolti da qualcosa di tragico: la guerra. Più volte abbiamo pregato perché non venisse imboccata questa strada. E non smettiamo di pregare, anzi, supplichiamo Dio più intensamente. Per questo rinnovo a tutti l’invito a fare del 2 marzo, Mercoledì delle ceneri, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. Una giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino, per sentirci tutti fratelli e implorare da Dio la fine della guerra.

Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio. E si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra. Penso agli anziani, a quanti in queste ore cercano rifugio, alle mamme in fuga con i loro bambini… Sono fratelli e sorelle per i quali è urgente aprire corridoi umanitari e che vanno accolti.

Con il cuore straziato per quanto accade in Ucraina – e non dimentichiamo le guerre in altre parti del mondo, come nello Yemen, in Siria, in Etiopia… –, ripeto: tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza. Perché chi ama la pace, come recita la Costituzione Italiana, «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (Art. 11). "

Dopo l'Angelus
Domenica 27 febbraio 2022
Papa Francesco
San Pietro - Città del Vaticano

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