domenica 25 dicembre 2022

Lieto Natale

Dall'Avvento al Natale

Natale dopo la Pasqua è la massima manifestazione dell'incontro tra il Medioriente e l'Occidente, è parte della naturale evoluzione che caratterizza la storia dell'umanità, è l'identità culturale della nostra civiltà che si è diffusa nel mondo e su cui si fondano i nostri ricordi che vengono insultati e attaccati da chi con la fantasia ben sviluppata confonde il vero con il falso e in maniera grossolana adopera ogni similitudine possibile per deligittimare il cristianesimo e per ricondurre tutto a un ladrocinio delle credenze precristiane ammassate senza alcun rispetto in un unico fritto misto dai sapori confusi che non si amalgamano in quanto espressione di quel nulla che non può essere conquistato e addomesticato a uso e consumo.
Ma qualsiasi cosa si dica o si insinui l'essenza del cristianesimo sta in quel rivoluzionario innovatore che  rompe gli schemi, che frantuma la distanza tra Dio e gli uomini e invita alla fratellanza. Si chiama Gesù Cristo e lo festeggiamo oggi.

Presepe

Nascita di Gesù Cristo

E oggi concludiamo anche il Calendario dell'Avvento del Focolare dellAnima- IX Edizione Natale 2022, siamo a casa del Folletto del Vento Viaggio nel Vento

Grazie a chi giorno dopo giorno ha costruito con impegno questo calendario, grazie ai tanti, tantissimi che ci hanno seguito e auguri a tutti!

Corona dell'Avvento 25 dicembre

So che vale poco o nulla ma, spero che voi che vivete in uno stato di guerra possiate sentire il nostro abbraccio.

Lieto Natale!

Ecco il reel sul passaggio dall'Avvento alla nascita di Gesù Cristo


Nel diffusore di essenze petali di rosa.

mercoledì 21 dicembre 2022

Dal solstizio d'inverno ai tre giorni a seguire

Ventunesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'Anima - IX Edizione Natale 2022

Siete curiosi di sapere come sarà l'inverno? Se lo siete prestate attenzione al tempo del solstizio d'inverno e dei tre giorni a seguire. 
Dal giorno più corto dell'anno le galline cominciano a deporre le uova e intensificano le covate col giungere della primavera; e sembra che il mare si plachi sette giorni prima del suo arrivo per permettere agli alcioni di costruire il loro nido e tale rimanga anche per i sette giorni successivi in modo che possano deporre le uova; questi quattordici giorni che incoronano il solstizio d'inverno prendono il nome di Giorni Alcionii.  

Ventunesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'Anima - IX Edizione Natale 2022

" ... Dal primo di novembre sino al solstizio d' inverno non bisogna mettere le galline a covare. Per tutta l'estate, sino al primo di novembre, si metteranno tredici uova sotto ogni gallina ma l'inverno se ne metteranno un minor numero, non mai però meno di nove, Democrito dice che tale sarà l'inverno quale sarà stato il giorno del solstizio di dicembre ed i tre giorni più prossimi, e che l'estate sarà quale sarà stato il giorno del solstizio di giugno. Secondo la maggior parte degli scrittori, vi sono verso il solstizio d'inverno quattordici giorni di tempo dolce, perchè allora cessano i venti, mentre gli Alcioni fanno i loro nidi. Ma in ciò, come in tutte l'altre cose, bisogna giudicare dell'influenza degli astri dagli avvenimenti, senz'aspettare che i cangiamenti di tempi avvengano precisamente ne' giorni segnati. Non si dee coltivare la vite verso il solstizio d'inverno, ma secondo il consiglio d’Igino, si possono, sette giorni dopo, purgare i vini dalle feccie, metterli in botti, purché la luna abbia sette giorni. Si piantino i ciriegi verso il solstizio d'inverno. Convien in tal tempo dare della ghianda a' buoi, cioè, un moggio per pajo ogni giorno; dandone loro di più, s'ammalano. In qualunque tempo però che diasi ad essi ghianda, convien per quanto dicesi, continuare trenta giorni consecutivi, altrimenti diveranno regnosi in primavera. Àbbiam altrove accennato in qual tempo convenga tagliare il legno per fabbricare. L'altre opere d'inverno si fanno principalmente la notte, essendo allora sì lunga. Nella notte si possono tessere graticci, ceste e corbegli*; tagliare de' legni resinosi per fare torcie, accomodare pali cioè, nel giorno, trenta pali e sessanta piuoli, e nella prima veglia della sera cinque pali e dieci piuoli ed altrettanti di notte che precede il giorno ... "

Tre libri di agricoltura di Gaio Plinio Secondo  - Libro XVIII
Placido Bordoni
corbegli* = Panieri

Lieto solstizio d'inverno!
Domani per la ventiduesima finestra del calendario saremo a casa di Graziana Attimi

Per ulteriori informazioni


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lunedì 19 dicembre 2022

Auguri

Diciannovesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'anima - IX Edizione Natale 2022

Diciannovesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'anima - IX Edizione Natale 2022

E Zebul gli rispose: 'Tu vedi I'ombra
de' monti e la prendi per uomini'. E Gaal riprese a dire:
'Guarda, c'è gente che scende dal Poggio, e una schiera giunge
per la via del terebinto degli auguri '.

Giudici 9, 37- 38
Traduttore Giovanni Luzzi

In questo tempo Antioco decise la seconda spedizione in Egitto. 
Accadde allora che sopra tutta la città, per circa quaranta giorni, si vedessero cavalieri che correvano per l'aria con vesti d'oro, armati di lance roteanti e di spade sguainate,
schiere di cavalieri disposti a battaglia, attacchi e scontri vicendevoli, trambusto di scudi, selve di aste, lanci di frecce, bagliori di bardature d'oro e corazze d'ogni specie.
Tutti, perciò, pregavano perché l'apparizione fosse di buon augurio. 

2 Maccabei 5, 1-4

Antioco - Seconda campagna egiziana 2 Maccabei 5.1 - Acquaforte 1648 -  Nicolaes Visscher

Antioco - Seconda campagna egiziana 2 Maccabei 5.1 
 Acquaforte 1648 
 Nicolaes Visscher

Uno dei rituali più diffusi nelle feste è lo scambio degli augùri e per trovare l'origine di questa consuetudine partiamo dalla Mesopotamia meridionale dove incontriamo i Caldei che trasmettono l'arte divinatoria agli Arabi dai quali passa ai Frigi, da questi ai Greci e da loro agli Etruschi che diventano dei grandi maestri nell'aruspicina, dal latino haruspicina termine composto da hīra - intestino e spicio - osservare. Gli aruspici dopo aver preso la consueta posa rituale* rivolgendosi a sud porgendo le spalle a nord per offrire la loro sinistra a Oriente considerato di buon auspicio in quanto dimora della luce e conseguentemente della vita e del bene e la loro destra a Occidente considerato di cattivo auspicio in quanto dimora dell'oscurità e conseguentemente della morte e del male, iniziavano a osservare il modo in cui la vittima da immolare raggiungeva l'ara, come reagiva al colpo scagliatole e quanto tempo impiegava a morire, se procedeva con tranquillità senza essere forzata, se non schivava il colpo e se moriva all'istante era segno favorevole, nel passo successivo procedevano all'esame delle anomalie delle exta - le viscere, considerando se stavano a sinistra o destra controllavano la presenza di fenditure, imperfezioni, macchie o protuberanze nel cuore, nei polmoni, nella vescica biliare e nel fegato che veniva diviso in 16 sezioni, specchio delle 16 regioni in cui era frazionato il firmamento nell'interpretazione ex caelo - dal cielo o caelestia auguria - divinazioni dal cielo dei fulgŭra - fulmini, dei fulgŭrātĭones - lampi e dei tonitrūs - tuoni:

" ... I fulmini da sinistra sono considerati favorevoli perché l'alba avviene sul lato sinistro del cielo. E
non si considera tanto l'attivo, quanto il ritorno, o che dal rimbalzo scaturisca il fuoco, o che il soffio d'aria torni indietro, compiuta l'opera o consumato il fuoco che sia. Per questo tipo di ispezione, gli Etruschi hanno diviso il cielo in sedici parti. La prima zona è dal settentrione all'alba equinoziale, la seconda sino al mezzogiorno, la terza sino al tramonto equinoziale, la quarta occupa lo spazio restante, fra il tramonto e il settentrione. Hanno poi diviso nuovamente ogni zona in quattro parti, e fra di esse hanno chiamato « sinistre » le otto che si contano a partire da levante, « destre » le altre otto contrapposte. Fra di esse sono particolarmente di malaugurio quelle che fiancheggiano il settentrione da ovest. Perciò è decisivo sapere da dove sono venuti e dove sono andati a finire i fulmini. Il caso migliore è quando ritornano verso le zone orientali.
Quindi, se sono venuti dalla prima zona del cielo, e alla stessa ritornano, ne risulterà la profezia di una fortuna grandissima; come il presagio che, si tramanda, toccò in sorte al dittatore Silla. Gli altri fulmini sono, a seconda della zona celeste cui appartengono, o meno fausti, o di malaugurio ... "

Storia Naturale - Libro II
Plinio il Vecchio
Traduzione Alessandro Barchiesi

posa rituale* = L'aspetto negativo di ciò che oggi è considerato sinistro trae origine dall'abitudine greca di rivolgersi a nord e non a sud nel rituale degli auspici offrendo così la destra a Oriente e la sinistra a Occidente e nel mondo romano si diffonde attraverso gli scrittori.

Aruspice  - Dalla riva destra del Tevere bronzo a fusione piena IV secolo a. C. - Musei Vaticani

Aruspice
Dalla riva destra del Tevere bronzo a fusione piena IV secolo a. C. 
Musei Vaticani

Le osservazioni ex caelo erano così accurate che furono identificati ben 12 specie diverse di fulmini che si distinguevano per colore, per intensità, per il momento in cui si manifestavano e per gli oggetti colpiti; tutto ciò che era stato toccato dalla scarica del fulmine veniva seppellito, compresi animali e uomini rimasti uccisi, e il luogo della sepoltura non poteva più essere calpestato per cui veniva recintato e considerato sacro.
Ex quadrupedibus - dai quadrupedi, o pedestria auspicia - auspici da chi va a piedi, erano le divinazioni in cui si osservava il movimento dei quadrupedi quali cani, cavalli, lupi, rettili e volpi che incrociavano il percorso degli uomini. Facevano parte degli auspici privati e non venivano usati nelle funzioni pubbliche.
Ex tripudiis - dai tripudi - o auguria pullaria - auspici dai polli, erano le divinazioni in cui il pullarius osservava il modo in cui i polli sacri, allevati a tale scopo, mangiavano una focaccia di farina chiamata òffa, se veniva ingerita con avidità il presagio era ritenuto fausto se invece i polli erano inappetenti il presagio era considerato nefasto, se i polli venivano cibati con il mais e il chicco cadeva sul terreno saltellando e intero si realizzava il sōlistĭmus - presagio favorevole, questo tipo di divinazione era di rapido consulto per cui era praticato sui campi di battaglia prima degli scontri, se i polli non uscivano dalla gabbia in cui erano stati portati o se uscivano sbattendo le ali e si allontanavano, il presagio asummeva una connotazione sfavorevole.

" ... I Romani interpetravano gli auspizi secondo la necessità, e con la prudenza mostravano di osservare la religione, quando forzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, punivano.
Non solamente gli augurii, come di sopra si è discorso, erano il fondamento, in buona parte, dell’antica religione de’ Gentili, ma ancora erano quelli che erano cagione del bene essere della Republica romana. Donde i Romani ne avevano più cura che di alcuno altro ordine di quella; ed usavongli ne’ comizi consolari, nel principiare le imprese, nel trar fuora gli eserciti, nel fare le giornate, ed in ogni azione loro importante, o civile o militare; né mai sarebbono iti ad una espedizione, che non avessono persuaso ai soldati che gli Dei promettevano loro la vittoria. Ed in fra gli altri auspicii, avevano negli eserciti certi ordini di aruspici, ch’e’ chiamavano pullarii: e qualunque volta eglino ordinavano di fare la giornata con il nimico, ei volevano che i pullarii facessono i loro auspicii; e, beccando i polli, combattevono con buono augurio, non beccando, si astenevano dalla zuffa. Nondimeno, quando la ragione mostrava loro una cosa doversi fare, non ostante che gli auspicii fossero avversi, la facevano in ogni modo; ma rivoltavanla con termini e modi tanto attamente, che non paresse che la facessino con dispregio della religione.
Il quale termine fu usato da Papirio consolo in una zuffa che ei fece importantissima coi Sanniti, dopo la quale restarono in tutto deboli ed afflitti. Perché, sendo Papirio in su’ campi rincontro ai Sanniti, e parendogli avere nella zuffa la vittoria certa, e volendo per questo fare la giornata, comandò ai pullarii che facessono i loro auspicii; ma non beccando i polli, e veggendo il principe de’ pullarii la gran disposizione dello esercito di combattere, e la opinione che era nel capitano ed in tutti i soldati di vincere, per non tôrre occasione di bene operare a quello esercito, riferì al consolo come gli auspicii procedevono bene: talché Papirio, ordinando le squadre, ed essendo da alcuni de’ pullarii detto a certi soldati, i polli non avere beccato, quelli lo dissono a Spurio Papirio nepote del consolo; e quello riferendolo al consolo, rispose subito, ch’egli attendessi a fare l’ufficio suo bene; che, quanto a lui ed allo esercito, gli auspicii erano buoni; e se il pullario aveva detto le bugie, le tornerebbono in pregiudizio suo. E perché lo effetto corrispondesse al pronostico, comandò ai legati che constituissono i pullarii nella prima fronte della zuffa. Onde nacque che, andando contro a’ nimici, sendo da un soldato romano tratto uno dardo, a caso ammazzò il principe de’ pullarii: la quale cosa udita, il consolo disse come ogni cosa procedeva bene, e col favore degli Dei; perché lo esercito con la morte di quel bugiardo s’era purgato da ogni colpa e da ogni ira che quelli avessono presa contro a di lui. E così, col sapere bene accomodare i disegni suoi agli auspicii, prese partito di azzuffarsi, sanza che quello esercito si avvedesse che in alcuna parte quello avesse negletti gli ordini della loro religione.
Al contrario fece Appio Pulcro in Sicilia, nella prima guerra punica: che, volendo azzuffarsi con l’esercito cartaginese, fece fare gli auspicii a’ pullarii; e riferendogli quelli, come i polli non beccavano, disse: - Veggiamo se volessero bere! - e gli fece gittare in mare. Donde che azzuffandosi, perdé la giornata: di che egli fu a Roma condannato, e Papirio onorato, non tanto per avere l’uno vinto, e l’altro perduto, quanto per avere l’uno fatto contro agli auspicii prudentemente, e l’altro temerariamente. Né ad altro fine tendeva questo modo dello aruspicare, che di fare i soldati confidentemente ire alla zuffa; dalla quale confidenza quasi sempre nasce la vittoria. La qual cosa fu non solamente usata dai Romani, ma dagli esterni ..."

Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio - Libro primo
1824
Niccolò Machiavelli

Ex diris - dai presagi funesti, erano le divinazioni che non rientravano nelle altre categorie tratte da quegli eventi percepiti come calamitosi mandati dagli dei.
Omina - presagi buoni o cattivi, erano tratti dalle parole o dalle frasi che assumevano la sacralità dei signa- i segni interpretabili come premonizioni. 
Infine gli ex avibus - dagli uccelli, le divinazioni più antiche e più importanti che formano l'etimologia di auspicio deriva del latino auspicium composto da avis - uccello e specio - osservare, e una prima etimologia del termine àugure che designa i sacerdoti impegnati nel trarre presagi dall'osservazione del volo degli uccelli e sarebbe composto da avis - uccello e gero - fare, operare o garrio - garrire. In una seconda interpretazione più suggestiva augure deriverebbe dal verbo augĕo - abbondarecrescere, prosperare che sta per rendere augusto.
Fatto sta che sull'arte augurale si muove la fondazione di Roma:

" E quell'augurio ottenuto da Romolo fu un augurio da pastore, non da esperto cittadino, non inventato per dar soddisfazione alle credenze degli ignoranti, ma ricevuto da persone fededegne e tramandato ai posteri. Or bene, Romolo àugure, come leggiamo in Ennio, e suo fratello àugure anche lui, "procedendo con gran cura, e desiderosi di regnare, si accingono all'auspicio e all'augurio. Sul monte Remo si dedica all'auspicio e da solo attende che appaia qualche uccello; dal canto suo, Romolo dall'aspetto divino osserva il cielo sull'alto Aventino, attende la stirpe degli altovolanti. Gareggiavano per decidere se dovessero chiamare la città Roma o Rémora; tutti attendevano ansiosamente chi sarebbe stato il sovrano. Aspettano, come quando il console sta per dare il segnale nella corsa dei carri, tutti guardano avidamente le aperture dei cancelli, attenti al momento in cui lascerà uscire dalle dipinte imboccature i carri: allo stesso modo il popolo aspettava coi volti pallidi nell'attesa degli eventi, chiedendosi a quale dei due sarebbe toccata la vittoria nella gara per il gran regno. Frattanto il sole lucente si calò nelle profondità della notte. Ed ecco, la fulgida luce riapparve raggiante, spinta fuori nel cielo; e nello stesso tempo, lontano, dall'alto, volò un uccello bellissimo, di buon augurio, da sinistra. Appena sorge l'aureo sole, scendono dal cielo dodici corpi sacri di uccelli, si posano su luoghi fausti e bene auguranti. Da ciò Romolo comprese che a lui era stata data la preferenza, che in seguito all'auspicio gli era assicurato il seggio regale e il territorio."

Della Divinazione - Libro I
Marco Tullio Cicerone
Traduzione Sebastiano Timpanaro

Romolo e Remo consultano gli auguri per la fondazione di Roma- Incisione 1573 - Giovanni Battista Fontana

Romolo e Remo consultano gli auguri per la fondazione di Roma
Incisione 1573
Giovanni Battista Fontana

La tradizione ritiene Romolo il primo àugure di Roma ed è lui a realizzare al di fuori del pomerio il primo recinto augurale, l'Auguraculum, uno spazio a cielo aperto i cui confini erano delimitati dagli alberi sacri, un templum dal greco τέμενος - luogo sacro con la radice τέμ-*tem che indica il tagliare una porzione di cielo da ciò che lo circonda per adibirlo al culto e al contemplare non a caso composto di cum e templum. Un templum auspicale in terra che si differenziava da quello naturale celeste e da quello analogico cotnio.
La capitale comprendeva tre Auguracula stanziali ubicati sul Palatino, sul Quirinale, e sul Campidoglio nella parte orientale dell'Arx in quelli che oggi sono i giardini adiacenti a Palazzo Senatorio; alle sue spalle, nel 344 a.C., dopo la vittoria sugli Aurunci, era stato eretto il Tempio di Giunone Moneta.

Resti dell'Auguraculum sul Campidoglio

Resti dell'Auguraculum sul Campidoglio

Sull'Auguraculum capitolino, nel quale si tenevano i comitia curiata, l'augurium salutis e l'inauguratio del re a partire da Numa Pompilio, gli àuguri ogni mese portavano offerte votive e lo raggiugevano percorrendo la Via Sacra che partiva dalla cappella di Strenia; indossavano la trabea, toga di lana, conosciuta come "tinta due volte": la prima con la porpora e la seconda per formare le strisce scarlatte, e per avere entrambe le mani libere durante i rituali, veniva fermata con il cinctus Gabinus*, un lembo passava sopra la spalla sinistra e poi sotto il braccio destro per essere annodato alla vita da cui partiva un risvolto per il capite velato ovvero per coprire il capo; con sé portavano il lituo, un bastone ricurvo che serviva per delineare perpendicolarmente il cielo e formare una X per conspicionem cioè per le attente osservazioni della volta celeste fin dove arrivava la vista; recitando questa formula che ci riporta Varrone con la traduzione di Antonio Traglia:

Templi e luoghi augurali per me siano quelli dentro i confini che io con la mia lingua indicherò nel modo rituale.
Per l’appunto quell’albero lì, di qualunque genere sia, che io intendo da me indicato a sinistra sia per me tempio e luogo augurale. il braccio destro per essere annodato alla vita
Per l’appunto quell’albero lì, di qualunque genere sia, che io intendo da me indicato a destra sia per me tempio e luogo augurale.
Lo spazio racchiuso fra questi punti ho inteso realmente indicare nel modo rituale per direzione, visione e intuizione della mente.

si tracciavano simbolicamente quattro sezioni uguali funzionali al presagio, la linea che procedeva da Oriente a Occidente prendeva il nome di decumano e quella che procedeva da nord a sud prendeva il nome di cardo e al centro dell'intersezione delle due linee che prendeva il nome di dĕcussis si posizionavano gli àuguri. Se durante il rito il suono di una buccina, usata dai militari per darsi il cambio della guardia, spavantava gli uccelli, l'osservazione era inficiata e doveva ricominciare da capo.

cinctus Gabinus* = Il cingolo gabiniano, originario della città di Gabi, indossato per le dichiarazioni di guerra era una peculiarità dei guerrieri.

" ... Alcuni... riconoscono a Romolo l'istituzione di altri riti segnalatamente religiosi e tramandano che egli fosse augure e che portasse per l’esercizio della divinazione il così detto «lituo», che è un bastone ricurvo con cui stando seduti gli auguri segnano gli spazi celesti entro i quali osservare il volo degli uccelli. Questo bastone, conservato sul Palatino, andò perduto allorché la città fu invasa dai Galli. In un secondo tempo, dopo la cacciata dei Barbari, fu ritrovato illeso dall’incendio tra le rovine della città distrutta, sotto un profondo strato di cenere ... "

Vita di Romolo - 22,1-2
Plutarco
Traduzione Antonio Traglia

" ... mentre lavoravano a sgombrare il luogo dalle macerie e a ripulirlo, ritrovarono, sepolto sotto uno strato immenso e alto di cenere il bastone augurale di Romolo. È, questo bastone, ricurvo in una delle due estremità e si chiama lituo: se ne servono gli àuguri per la delimitazione delle zone del cielo, quando siedono intenti a prendere gli auspici dal volo degli uccelli, come se ne serviva anche Romolo, che era quanto mai esperto nell’arte divinatoria. Dopoché questi scomparve dal mondo, i sacerdoti presero il bastone in consegna e lo custodirono come oggetto intoccabile, al pari di ogni altra sacra reliquia.  Avendo allora ritrovato questo bastone, sfuggito alla rovina cui ogni cosa era andata incontro, essi si aprirono alle più dolci speranze per Roma, perché sembrò che fosse questo un segno sicuro per essa di eterna speranza.

Vita di Camillo - 32, 6 -7
Plutarco
Traduzione Antonio Traglia

Augure - XVIII - XIX secolo - Jacques Grasset de Saint Sauveur

Augure 
 XVIII - XIX secolo 
Jacques Grasset de Saint Sauveur

In un continuum vivendi tra passato, presente e futuro, entro cui si dipana il filo rosso che unisce l'ospitalità, il dono e gli auguri, chiudo il cerchio con l'Asylum, dal greco ἄσυλος inviolabile, il sancta sanctorum dell'ospitalità in cui chiunque ne avesse necessità trovava accoglienza senza distinzione di sorta tra concittadini e stranieri, tra liberi e schiavi. Lo costruì Romolo in quella che oggi è Piazza del Campidoglio tra l'Arx posizionata a settentrione dove oggi sorge la Basilica di Santa Maria in Aracoeli e il Capitolium posizionato a meridione dove oggi sorge Palazzo Caffarelli. 

Piazza del Campidoglio dove originariamente sorgeva l'Asylum

Piazza del Campidoglio dove originariamente sorgeva l'Asylum

Per ulteriori informazioni:



La ventesima finestra del calendario l'apriremo a casa di Chicchina AcquadiFuoco

P.S. La finestra del 21 dicembre sarà online dalle 22.47 in corrispondenza con il solstizio d'inverno che ci farà entrare nella stagione invernale.

domenica 18 dicembre 2022

Rorate Caeli desuper

La Quarta Domenica d'Avvento è dedicata ai fatti antecedenti alla nascita di Gesù Cristo. Si apre con l'introito Rorate caeli desuper, tratto da Isaia 45, 8 a cui segue il Salmo 84 (85), 2

Candela della Quarta Domenica d'Avvento 2022

Rorate Cœli desúper,
Et nubes plúant justum.

Caeli enarrant gloriam Dei:
et opera manuum eius annuntianat firmamentum.

Rorate Caeli desuper

Stillate, cieli, dall’alto;

I cieli narrano la gloria di Dio:
e il firmamento annuncia l'opera delle sue mani.

Corona dell'Avvento - Quarta Domenica d'Avvento

Lieta Quarta Domenica d'Avvento

Ecco:


Nel diffusore di essenze foglie di menta profumatissime nonostante la stagione

P.S La diciannovesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'Anima sarà disponibile a partire dal tardo pomeriggio del 19 dicembre 2022.

Il dono

Diciottesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'Anima - IX Edizione Natale 2022

Diciottesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'Anima - IX Edizione Natale 2022

Giacobbe disse:
«No, ti prego, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, accetta dalla mia mano il mio dono, perché io sto alla tua presenza, come davanti a Dio, e tu mi hai gradito.
Accetta il dono augurale che ti è stato presentato, perché Dio mi ha favorito e sono provvisto di tutto!». Così egli insistette e quegli accettò.
Esaù disse: «Partiamo e mettiamoci in viaggio: io camminerò davanti a te».

Genesi 33, 10 -12

Riconciliazione di Giacobbe ed Esaù  1628 - Peter Paul Rbens - Palazzo di Schleisheim, Monaco di Baviera Germania

Riconciliazione di Giacobbe ed Esaù  
1628
Peter Paul Rbens
Palazzo di Schleisheim -  Monaco di Baviera Germania

Il dono, compagno dell'ospitalità, in ebraico מתנה/mţnh, in greco δῶρον/doron, in latino donum, ha la stessa radice indoeuropea del verbo dare *deh₃ che indica il δος/dôs - l'idea del dono che si esprime nella δωρεά/dôreá - l'azione del dare spontaneamente senza pretendere nulla in cambio.

Una luce splendida brillerà sino ai confini della terra:
nazioni numerose verranno a te da lontano,
gli abitanti di tutti i confini della terra
verranno verso la dimora del tuo santo nome,
portando in mano i doni per il re del cielo.
Generazioni e generazioni esprimeranno in te l’esultanza
e il nome della città eletta durerà per le generazioni future.

Tobia 13, 13

Il dono rinsalda i vincoli di appartenenza e tende a crearne di nuovi, trova le sue radici nella storia dell'uomo che appena nasce lo riceve gratuitamente come nutrimento attraverso il latte che sugge dal seno materno, ma il δόσις/dósis dono o veleno in potenza può attualizzare se stesso come portatore di pace o come portatore di veleno che rompe i vincoli.
Nel VI canto dell'Iliade, sul campo di battaglia, Glauco, guerriero troiano, e Diomede, guerriero greco, scoprono di aver ereditato dai loro padri il vincolo di ospitalità e per non romperlo depongono le armi, Diomede offre le sue di bronzo e Glauco ricambia con le sue d'oro, offrendo così come prevede la consuetudine un bene superiore a quello ricevuto ma poiché Giove lo ritiene impari toglie la ragione a Glauco:

" ... Glauco, d’Ippòloco figlio, nel mezzo, e il figliuol di Tidèo,
d’ambe le parti convennero, entrambi bramosi di pugna.
Or quando l’un contro l’altro movendo, già eran vicini,
primo a parlare prese l’ardito guerrier Dïomede:
«Da quale umana stirpe provieni tu mai, valoroso,
ch’io prima d’ora non t’ho visto mai nella nobile zuffa?... 
... «Ospite dunque antico per parte di padre a me sei.
Sappi che accolse Enèo magnanimo sotto il suo tetto,
per venti giorni, Bellerofonte, l’eroe senza pecca.
Fecero poi, l’uno e l’altro, ricambio di doni ospitali.
Enèo diede una fascia di porpora bella, fulgente,
Bellerofonte una coppa di gemina faüce, d’oro,
ch’io custodita in casa lasciai quando venni alla guerra.
Non mi ricordo Tidèo: ché quando ero piccolo tanto,
ei mi lasciò; ché quel sire d’Achivi spirò sotto Tebe.
Ospite dunque io sono per te, se tu in Argo venissi,
tu ne la Licia a me, se tra il popolo io giungo dei Lici.
Anche per ciò nella pugna le lancie evitiam l’un dell’altro.
Molti a me restano sempre Troiani e valenti alleati
da sterminare, se un Dio me li offre, se al corso li aggiungo:
restano molti Achivi per te, se ad ucciderli vali.
Su via, dunque, tu ed io scambiamoci l’arme: ché tutti
veggano quale ci stringe dagli avi legame ospitale».
Dette queste parole, balzati dai cocchi giú a terra,
strinser la mano l’uno dell’altro, scambiaron la fede.
Ed il Croníde Giove del senno qui Glauco fe’ privo,
che col figliuol di Tidèo scambiò l’armi sue: queste d’oro,
quelle di bronzo; e die’ cento giovenchi per nove giovenchi ... "

Iliade - Canto VI
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli

Lo scambio di doni tra Glauco e Diomede - Pelike attico a figure rosse 420 a.C. circa - Gela - Museo Archeologico Regionale

Lo scambio di doni tra Glauco e Diomede - Pelike attico a figure rosse
420 a.C. circa
Gela - Museo Archeologico Regionale

Nel VII canto il combattimento tra Ettore e Aiace non produce alcun vincitore, il sangue non viene versato e per tradizione le loro armi diventano dono l'uno dell'altro.

" ... Aiace, un dio t'ha dato forza e grandezza
e sapienza; con l'asta sei il primo degli Achei;
mettiamo fine adesso alla battaglia e alla lotta
per oggi; poi combatteremo ancora, fin che un dio
ci divida e conceda agli uni o agli altri vittoria;
ormai scende la notte, buono è obbedire alla notte.
... E diamo entrambi nobili doni all'altro,
che possa dir qualcuno fra i Troiani e gli Achei
"Han lottato quei due nella lotta che il cuore divora,
ma si son separati riconciliati e amici"».
Parlando così gli diede la spada a borchie d'argento,
col fodero gliela donò e la cinghia tagliata con arte;
Aiace gli diede la fascia splendente di porpora ... "

Iliade - Canto VII
Omero
Traduzione Rosa Calzecchi Onesti

Nel XXIV canto dell'Iliade il dono esprime tutto il suo potere distruttivo generato dal giudizio di Paride:
Al banchetto delle nozze di Teti e Peleo non viene invitata la dea della discordia Eris che per vendicarsi getta tra gli invitati una mela d'oro su cui è incisa la frase "alla più bella", Era, Atena e Afrodite se la contendono litigando e poiché Giove non vuole decidere a chi darla incarica Ermes di portare le tre dee da Paride principe di Troia, il più bello dei mortali prediletto da Ares. Era in cambio del dono gli promette la ricchezza, il potere e la gloria, Atena la sapienza e l'imbattibilità in guerra, Afrodite l'amore di Elena, la donna più bella del mondo che è sposa di Menelao. Paride dona la mela ad Afrodite attirandosi l'ira delle altre due dee che diventa l'antefatto per cui si scatena la guerra di Troia.

" ... Fu tale avviso a tutti gradito; ma spiacque alla sposadi Giove, 
e all’occhiazzurra Fanciulla, e al Signore del ponto:
serbavano essi l’ira concetta contro Ilio, ed il sire
Príamo, e la gente d’Ilio, per colpa di Pàride, quando
egli le Dive offese, venute a cercarlo all’ovile,
e quella esso prescelse che offerta gli fe’ del piacere ... "

Iliade - Canto XXIV
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli

Il giudizio di Paride 1632 - 1635 - Peter Paul Rubens - National Gallery - Londra

Il giudizio di Paride
 1632 - 1635 
Peter Paul Rubens 
National Gallery - Londra

Nell'Odissea il dono come elemento integrante dell'ospilità lo troviamo nel canto primo offerto da Telemaco ad Atena:

" ... «Ospite, tu mi rivolgi parole che ispira l’affetto,
come a suo figlio un padre; né mai m’usciranno di mente.
Ma su, rimani adesso, per grande che sia la tua fretta,
sí che tu faccia un bagno, che possa allegrare il tuo cuore,
ed alla nave lieto ritorni, recandovi un dono,
bello, d’eccelso pregio, che tu per ricordo mio serbi,
come l’usanza vuole che l’ospite all’ospite porga».
E gli rispose cosí la Diva dagli occhi azzurrini:
«Non trattenermi, ché assai del viaggio mi spinge la brama;
e il dono che l’amico tuo cuor ti consiglia di darmi,
me lo darai, che a casa lo porti, quando io qui ritorno.
Sceglilo bello assai, ché n’avrai ben degno ricambio» ... "

Nel canto ottavo, undicesimo e tredicesimo i feaci i doni li offrono a Ulisse:

" ... Taccia Demòdoco, dunque, ché tutti vogliamo esser lieti,
l’ospite, e noi che ospizio gli diamo: ché questo è pel meglio.
Ché noi per reverenza di lui tutto abbiamo apprestato,
la scorta, e i cari doni che a lui con affetto porgiamo.
Un peregrino, un ospite, al par d’un fratello è diletto
all’uom che in seno accolga barlume, anche poco, di senno.
Ma non volermi anche tu celare con scaltri artifizi
quanto io chieder ti voglio. Per te meglio val favellare.
Dimmi il tuo nome, come solevano in patria chiamarti,
la madre, il padre, i tuoi cittadini, le genti vicine:
ché non c’è uomo al mondo, sia nobile, sia della plebe,
che senza nome affatto rimanga, una volta ch’ei nacque;
ma, quanti nascono, a tutti lo pongono i lor genitori.
Dimmi la patria tua, la città, la tribú: ché le navi
possano a quella mèta rivolger la mente, e condurti.

Odissea - Libro Ottavo
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli

" ... Or l’ospite, per quanto gli tardi tornare alla patria,
sino al novello giorno s’induca a restare, ch’io tutti’
abbia raccolti i doni. Si lasci il pensier del viaggio
alle mie genti, e a me, che sono del popol signore».
E gli ripose Ulisse, i’accorto, con queste parole:
«Alcinoo re, che insigne sei tanto fra gli uomini tutti,
anche se voi mi diceste che un anno io restassi, e frattanto
in’apparecchiaste voi la scorta, e m’offriste presenti,
contento io ben sarei: ché certo sarebbe pel meglio
ch’io con le mani colme tornassi alla terra materna:
piú mi farebbero onore, piú allora diletto sarei
a quanti me tornato vedessero in Itaca alpestre» ... "

Odissea - Libro Undicesimo
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli

" ... Ed a ciascuno di voi propongo e fo invito, o signori,
che nella casa mia solete il purpureo vino
bevere annoso, e udire le dolci canzoni del vate:
l’ospite nel forziere lucente già vesti possiede,
l’oro foggiato in vari lavori possiede, e i regali
tutti che gli hanno qui recati i signori Feaci;
ma via, ciascuno adesso doniamogli un tripode grande,
ed un lebete: ché poi, chiamate a raccolta le turbe,
ci rivarremo: che è duro largir senza avere compenso» ... "

Odissea - Libro Tredicesimo
Omero
Traduzione  Ettore Romagnoli

Ulisse alla corte di Alcinoo re dei Feaci - 1813 circa - Francesco Hayez - Collezione d’Arte della Banca d’talia - Roma

Ulisse alla corte di Alcinoo re dei Feaci 
1813 circa 
Francesco Hayez 
Collezione d’Arte della Banca d’talia - Roma

Nel canto quindicesimo i doni ospitali Menelao li offre a Telemaco che è alla ricerca del padre:

" ... «O Menelao, figliuolo d’Atrèo conduttore di genti,
stirpe di Numi, dammi congedo ch’io torni alla patria;
perché l’animo mio già brama la casa paterna».
E Menelao, maestro dell’arte di guerra, rispose:
«Piú lungo tempo non vo’, Telemaco, qui trattenerti,
se ritornare tu brami. Ch’io biasimo ad altri darei
che verso l’ospite suo mostrasse fervore eccessivo,
od eccessiva freddezza; ché in tutto val meglio misura.
Mal si comporta, cosí chi l’ospite contro sua voglia
spinge a partire, come chi vuol trattenerlo se ha fretta.
Resta però, sin ch’io bei doni ti rechi, e sul carro
li abbia disposti, che tu li vegga; e comandi a le ancelle
che ne la casa bene provvista preparino il pranzo.
Gloria fiorita, e ristoro, sono esse due cose che gode
chi ben pasciuto viaggia sovressa la terra infinita. 
E se tu vuoi far viaggio per l’Ellade, e in mezzo al paese
d’Argo, i cavalli aggiungo, che súbito vengano teco, 
e nelle varie città ti guidino. E niun rimandarti 
a mani vuote vorrà, ma farti ciascuno un presente, 
sceltolo dai lebèti, dai tripodi fusi nel bronzo, 
od una coppia di muli, o qualche bel calice d’oro». 
Stiamo, sinché Menelao, l’insigne figliuolo d’Atrèo
giunga, e i doni ospitali ci rechi, e li ponga sul cocchio,
e, favellando parole soavi, il congedo ci dia.
Chi l’ospitalità riceve, per tutta la vita
l’uomo ricorda che a lui l’offerse con cuore amoroso».
Disse; e ben presto spuntò l’Aurora dall’aureo trono ... "

Odissea - Libro Quindicesimo
Omero
Ettore Romagnoli

Il dono come strumento che avvelena i rapporti e li rompe attraverso l'inganno è ben ravvisabile in vari miti:

Giove inganna Πανδώρα/Pandora, il cui nome da πᾶv/pân - tutto e δῶρον/dôron - dono significa tutti i doni; sfrutta la sua curiosità che la indurrà ad aprire il vaso da cui usciranno tutti i mali destinati ad affligere il genere umano

" ... chiamò questa donna
Pandòra; perché quanti Celesti han soggiorno in Olimpo,
a lei diedero un dono che fosse cordoglio ai mortali.
Compiuto or questo inganno sottil, senza scampo, il Croníde
mandò l’araldo pronto dei Numi, l’insigne Argicída,
a Epimetèo, ché il dono gli offrisse; né quegli ricordo
ebbe che Prometèo predetto gli aveva che doni
non accettasse mai dal Sire d’Olimpo, ma invece
li respingesse: ché poi, non toccassero danni ai mortali:
l’accolse; e poi comprese che aveva accattato il malanno.
Ché pria vivean le stirpi degli uomini sopra la terra,
dai mali immuni, senza gravosi travagli, lontano
dai tormentosi morbi che gli uomini adducono a morte:
ché, tra i malanni, presto vecchiaia colpisce i mortali.
Ma quella femmina il grande coperchio del doglio dischiuse,
con luttuoso cuore, fra gli uomini, e i mali vi sparse.
Solo il Timor del futuro restò sotto l’orlo del doglio,
nell’infrangibile casa, né fuori volò dalla porta,
perché prima Pandora del vaso il coperchio rinchiuse,
come l’egíoco Giove, che i nuvoli aduna, le impose ... "

Le opere e i giorni
Esiodo
Taduzione Ettore Romagnoli

Pandora 1896 - John William Waterhouse - Collezione privata - Melbourne

Pandora 
1896 
John William Waterhouse 
Collezione privata - Melbourne

Il centauro Nesso in punto di morte dona a Deianira il suo sangue facendole credere che le sarà utile come filtro d'amore, lei lo spargerà su quella veste che donata a Ercole ne provocherà la morte tra dolori atroci.

" ... «O figlia del vecchio Eneo, se presti ascolto alle mie
parole
ricaverai un grande guadagno da questo mio guado,
perché è l’ultimo.
Raccogli nelle tue mani il sangue che si rapprende sulle
mie ferite,
proprio nel punto in cui l’Idra di Lerna
ha intriso il dardo con la sua bile scura, velenosa:
sarà per te un incantesimo sul cuore di Eracle
e qualunque donna egli veda non la amerà più di te».
E io mi sono ricordata di questo, mie care,
e ho imbevuto questa tunica con il sangue di Nesso
che avevo conservato ben nascosto dentro casa, dopo la
sua morte,
seguendo anche tutte le istruzioni che mi aveva dato da
vivo.
Tutto è stato compiuto.
Io non vorrei sapere, e neanche apprendere, sacrilegi
rischiosi,
e detesto le donne che si azzardano a compierne.
Ma se incatenando Eracle con filtri e incantesimi potessi
spuntarla su questa ragazza,
l’inganno è pronto ... "

Trachinie
Sofocle
Traduzione Angelo Tonelli

Ratto di Deianira 1620-1621 - Guido Reni -  Museo del Louvre - Parigi - Francia

Ratto di Deianira 
1620-1621
Guido Reni
Museo del Louvre - Parigi - Francia

Medea, come dono di nozze, offre a Glauce, promessa sposa del suo Giasone, un peplo che una volta indossato la ucciderà prendendo fuoco.

" ... Medea - Ti aiuterò in questo tentativo.
Le manderò i doni, lo so bene,
di gran lunga più belli che ci siano:
un peplo sottile e una corona d’oro,
e saranno i nostri figli a consegnarglieli.
Che un’ancella me li porti qui, al più presto!
Sarà felice non una, ma diecimila volte,
perché ha sposato un uomo eccellente come te,
ed entra in possesso di quei beni preziosi
che il Sole, padre di mio padre,
aveva donato ai suoi discendenti.
Su, bambini, prendete questi regali di nozze,
e offriteli alla principessa, alla sposa felice!
Non sono certo da disprezzare, i doni che riceverà...
...Medea Piantala!
Si dice che i doni riescano a persuadere anche gli dei.
L’oro vale più di infinite chiacchiere, per i mortali.
La buona sorte è con lei, il dio la fa prosperare,
è così giovane ed è già una regina.
Io darei la mia vita, non solo l’oro,
per risparmiare l’esilio ai miei bambini.
Forza, figli miei, entrate nel palazzo sontuoso
e scongiurate la nuova sposa di vostro padre, e mia padrona,
offritele peplo e corona, imploratela
che non vi bandisca da questo paese!
Bisogna che riceva questi doni
proprio nelle sue mani, al più presto.
Presto, andate! Fate tutto per bene!
E poi tornate, riportando a vostra madre
il lieto annuncio che ha raggiunto il suo scopo.

Messaggero - Quando i tuoi due figli arrivarono con il padre
ed entrarono nelle stanze della sposa,
noi servi che soffrivamo per le tue disgrazie ne fummo felici.
E subito correva di orecchio in orecchio l’annuncio
che tu e tuo marito avevate fatto la pace.
C’era chi baciava le mani dei bimbi, chi la testolina bionda.
Anch’io ero contento di accompagnare i tuoi figli
negli appartamenti delle donne.
La padrona, a cui adesso vanno gli onori che un tempo
tributavamo a te,
prima di vedere i tuoi due bambini,
volge su Giasone il suo sguardo innamorato.
Ma poi si coprì gli occhi e girò dall’altra parte il suo viso
candido,
disgustata per l’arrivo dei tuoi figli.
E tuo marito placava lo sdegno e la rabbia della giovinetta con
queste parole:
«Non odiare chi amo, deponi la tua collera e voltati,
considera tuoi cari coloro che lo sono per il tuo sposo.
Accetta i doni e chiedi a tuo padre di liberarli dall’esilio, per
amor mio».
E lei, a vedere il peplo e il diadema, non seppe resistere
e cedette a tutte le richieste dello sposo.
E prima che il padre e i tuoi figli fossero lontani dalla casa
prende il peplo multicolore e lo indossa;
e dopo essersi messa sui riccioli il diadema d’oro
si acconcia i capelli davanti allo specchio fulgido,
sorridendo all’immagine inanimata del suo corpo.
Poi si alza dal seggio e attraversa le stanze,
incedendo con eleganza sul candido piede,
e gioisce fin troppo dei doni, e più di una volta
si volta indietro, sulla punta dei piedi, per rimirarsi tutta
quanta.
Quello che accadde dopo fu spettacolo tremendo a vedersi:
muta colore, arretra sghemba, è tutta un tremito,
e a stento riesce a rovesciarsi su un seggio, a non cadere per
terra.

Medea
Euripide
Traduzione Angelo Tonelli

Medea offre i suoi doni a Glauce - Cratere a campana a figure rosse - 390 a.C. circa - Louvre - Parigi - Francia

Medea offre i suoi doni a Glauce
Cratere a campana a figure rosse - 390 a.C. circa 
Louvre - Parigi - Francia

Il Cavallo di Troia dono funesto dei greci è percepito come tale da Laocoonte che, con la famosissima frase Timeo Danaos et dona ferentes, tenta di avvertire i suoi compagni troiani e paga con la vita, sua e dei suoi figli, l'opposizione alla volontà degli dei.

" ... Qui avanti a tutti, alla testa di una grande folla che lo accompagna,
Laocoonte con ardore corre giù dall’alta rocca
e da lontano: “O sventurati, che follia è la vostra, cittadini?
Credete i nemici lontani o pensate che mai
un dono dei Danai manchi d’inganni? Così vi è noto Ulisse?
O chiusi in questo legno si celano gli Achivi,
o questa è una macchina eretta contro i nostri muri,
per guardare nelle case e per scendere dall’alto nella città;
o qualche altra trama si nasconde: a un cavallo non credete, o Teucri.
Ma sia che sia, temo i Danai, anche se doni essi portano” ... "

Eneide
Virgilio Marone
Traduzione Carlo Carena

Laocoonte e i suoi due figli morsi da serpenti - Pieter Claesz Soutman - 17 secolo - Museo di Belle Arti - Bordeaux

Laocoonte e i suoi due figli morsi da serpenti 
17 secolo
Pieter Claesz Soutman 
Museo di Belle Arti - Bordeaux 

Bene e male dunque nella dualità del dono che è anche δοτινε/dôtínê - controdono, do ut des, alleanza, patto, reciprocità, scambio che unisce ma, divide se degenera nell'obbligo che genera debitori e creditori, padroni e servitori e uccide la libertà. Il dono in questa prospettiva diventa regalo, diritto prerogativa del re che può usufruirne per concederlo a quei sottoposti che gli rendono dei servigi.
Nell’antica Roma il dono per assicurarsi il favore del popolo, mostrare la propria munificenza e conquistare un'elevazione spirituale e l'autocompiacimento, si manifesta attraverso la largitio, l'elargizione di beni durante le feste con l'allestimento dei banchetti pubblici, la concessione di terre, la distribuzione di grano, denaro, olio e vino e con la sparsio, il lancio dei beni quali cibo e denaro sulla folla radunata in occasione dei giochi popolari.
Per Cicerone il rapporto di reciprocità tra colui che riceve un beneficium e colui che lo offre si deve fondare sull'utilitas communis* e implica l'officium, il dovere morale di ricambiare mentre per Seneca il rapporto tra donatore e ricevente si fonda sull'amor e sulla benevolentia per cui controdoni auspicabili sono la sapienza e la virtù che derivano dal gesto in se stesso che non ha lo scopo di mettere in difficoltà chi si trova nelle condizioni di non poter restituire.

communis* = Composto da cum e mūnŭs che dalla radice *mei-, la stessa di communitas - comunità e di communĭco - comunicare, che indica lo scambio reciproco e il condividere, si traduce con-obbligo, con-dovere, ma anche con-favorecon-dono, e contiene la dicotomia insita nella relazione sociale.

Il taonga, nome con cui i maori indicano il dono, ha in sé un hau - un potere spirituale che sente il desiderio di ritornare nel suo luogo di nascita e spinge chi lo riceve a un utu - una compensazione che può assumere qualsiasi forma purchè produca un valore dello stesso peso o addirittura superiore rispetto a quello accettato che renderà il ricevente, donatore e lo porterà ad acquisire potere su colui che da donatore diventerà ricevente. Anche le karakia - formule magiche della loro tradizione dedicate a un singolo soggetto erano considerate degli amuleti cedibili ad altri. Autorità, competizione, agonismo e potere portano il dono a entrare anche nel rito del potlàc, che significa sia nutrire che consumare nella lingua dei chinook, era praticato dalle tribù delle Montagne Rocciose e della costa nel Nord-ovest americano, i Tlingit e gli Haida nelle assemblee invernali, caratterizzate da feste banchetti, fiere e mercati o in occasione di assunzioni di cariche, matrimoni e nascite, facevano un grande sfoggio di ricchezza per esaltare il loro rango sociale elargendo, in più giorni, agli ospiti, cibo in abbondanza e doni in cui rientravano prodotti manufatturieri di grande valore artistico come bassorilievi in rame, pregiate coperte di lana di capra intrecciata con fibre di corteccia, cucchiai, scodelle, statue e vari oggetti in legno o in osso, decorati, incisi e intarsiati con frammenti di conchiglia. Gli ospiti così ben pasciuti non stavano certo a guardare e realizzando a loro volta il potlàc si adoperavano per donare un bene equivalente o maggiore rispetto a quello ricevuto. L'apice della competizione tra i vari clan rivali si raggiungeva quando i doni venivano distrutti per mostrare alla controparte la propria superiorità e il proprio disinteresse per i beni materiali.
Nelle isole Trobriand invece, al largo della costa orientale della Nuova Guinea, i vaygu'a - oggetti di prestigio si dividevano in mwali - braccialetti di conchiglie bianche e in soulava collane di conchiglie rosse, entrambi venivano assemblati per girare in senso orario e per essere usati nel kula, un rituale di scambio doni che garantiva un'alleanza a vita tra le persone che prendevano parte alla cerimonia; per attualizzare il principio di reciprocità patrilineare che doveva essere obbligatoriamente perpetuato dalla propria discendenza i trobriandesi si spostavano tra un'isola e l'altra percorrendo centinaia di chilometri e se offrivano mwali ricevevano come controdono i soulava mentre se offrivano i soulava ricevevano in contraccambio mwali.

La massima espressione del dono nella sua essenza originale si esplica nell'offerta di oro incenso e mirra dei Re Magi per il Re dei Re Gesù Cristo che fa di se stesso un dono per l'umanità.

I Tre Magi  - Mosaico seconda metà del IV secolo - Sant'Apollinare Nuovo - Ravenna

I Tre Magi  
Mosaico seconda metà del IV secolo
Sant'Apollinare Nuovo - Ravenna

Continua ... A domani 

P.S. Sono un tantino in ritardo, avrei dovuto pubblicare la finestra del calendario questa mattina e nel pomeriggio, per la prima volta nella storia di Anima Mundi, un secondo post con l'accensione della candela della Quarta Domenica D'Avvento, ma ho avuto un imprevisto, mi dispiace. Più tardi il post sull'accensione della candela e la diciannovesima finestra del calendario domani nel pomeriggio. Vi abbraccio. 

Per ulteriori informazioni:

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