domenica 18 giugno 2023

Brucia con le coccole il legno di ginepro

Secondo alcuni, due sono le specie del ginepro: L'una che fa il flore, ma è infruttifera; l'altra che non fiorisce, ma mette subito fuori il frutto, come fa il fico con i suoi primi frutti caduchi. Solo di questo albero avviene che il frutto resti appiccato alla pianta per due anni. Queste cose del resto devono essere esaminate ancora più diligentemente ...
... maturano tardi i loro frutti, così tardi che per alcuni ci vuole un anno intero com'è il caso del ginepro e dell'elce, germogliano ciò nonostante allo stesso modo in primavera ...
... Chè il ginepro par che porti i frutti per tutto l'anno, tanto che i nuovi vengono a stare intorno ai vecchi. Secondo che dicono alcuni, questi frutti non giungono a maturità; per la qual cosa si colgono immaturi e si tengono in serbo per qualche tempo: lasciati sull'albero, si seccano.

Historia plantarum
Teofrasto
Traduzione Filippo Ferri Mancini

Juniperus Communis - Ginepro

Il ginepro, che ha lasciato traccia di sé negli abbeveratoi di alcune grotte preistoriche, è uno degli arbusti citati già nel 1500 a. C. nel papiro di Ebers in una ricetta per curare la tenia; le sue coccole erano uno dei 16 ingredienti del kyphi, la miscela aromatica egiziana per eccellenza usata dai sacerdoti per rendere onore ad alcuni dei.
Juniperus in latino, composto da junix - giovenca e da pariō - generare, partorire, procreare, in riferimento al fatto che una volta ingerito dalle mucche favoriva la nascita dei vitellini; ἄρκευθος/arkeuthos in greco dal verbo ἀρκέω/arkeo - allontanare, respingere in riferimento alla sua conformazione impenetrabile e pungente da cui nasce il modo di dire " trovarsi in un ginepraio ", che denota l'incappare in una situazione complicata.
In medioriente era consacrato dai cananiti alla dea della fertilità Ashera/Astarte, in Grecia alle Εὐμενίδες/Eumenidi - le benevole, tutrici dell'ordine della natura e nelle Sacre Scritture diede riparo a Elia nel deserto:

Ma egli camminò dentro al deserto una giornata di cammino; e venuto ad un ginepro, vi si posò sotto, e chiedeva fra sè stesso di morire , e disse: Basta, Signore, prendi pur ora l’anima mia; perciocchè io non valgo meglio che i miei padri.
Ed egli si coricò, e si addormentò sotto il ginepro. Ed ecco, un Angelo lo toccò, e gli disse: Levati, mangia.

Primo Libro dei Re 19, 4-5

In passato era molto diffusa la credenza che il succo ricavato dalle sue coccole e dalle sue foglie cautelasse dai morsi delle vipere e che il suo profumo tenesse lontane le serpi.
Si poneva sui tetti delle nuove abitazioni, in Estonia si piantava nelle vicinanze delle case e con le fronde si sferzavano le crepe dei muri affinché le entità maligne non potessero entrare dentro; sulle montagne del pistoiese si appendeva sugli usci per difendersi dalla presenza delle streghe che venivano bloccate dalla conta delle foglie; in Tibet i demoni erano scacciati dal ginepro mentre in Scozia erano le sue bacche a preservare luoghi e persone dal malocchio; in Germania invece se qualcuno subiva un furto piegava un ramo di una pianta di ginepro, il cui genio tutelare era Frau Waccholder, lo fissava a terra con una pietra e invocava il ladro perché ammaliato dal richiamo sarebbe sicuramente tornato per restituire la refurtiva.

Il ginepro riscalda e lenisce piu di qualsiasi altra pianta; per tutto il resto assomiglia alla cedrus*. Anche di esso esistono due specie, delle quali una ha dimensioni piu modeste. La fiamma di entrambe fa scappare i serpenti. I semi fanno bene per i dolori allo stomaco, al petto e per le pleuriti; annullano flatulenza, brividi e tosse ed ammolliscono gli indurimenti. Il loro impiastro arresta le tumescenze, mentre la pozione delle bacche in vino nero funziona da astringente intestinale, ed il loro impiastro
elimina i gonfiori del ventre. Sono anche un componente di contravveleni 1 e di digestivi; hanno effetti diuretici e li si impiastra sugli occhi nei casi di lacrimazione. Vengono inoltre somministrati a chi è affetto da slogature, fratture s e coliche, per l'utero e contro la coxalgia* (la dose per la pozione, in vino bianco, è di quattro bacche; per il decotto, ancora in vino, di 20 bacche).
Qualcuno si asperge il corpo con il succo dei semi quando ha paura dei serpenti.

cedrus* = ginepro rosso
coxalgia* = dolore articolare dell'anca

Soria naturale - Libro XXIV
Plinio il Vecchio
Traduzione Marco Fantuzzi

È annoverato tra le piante che protessero la Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto e si racconta che la croce su cui fu crocifisso Gesù Cristo fosse stata costruita con il legno di ginepro la cui peculiare durezza e resistenza all'attacco dei tarli, che ne salvaguarda la durata nel tempo, lo rendeva adatto alla costruzione delle navi, delle travi e ... dei bastoni per girare la polenta.


In Ispagna nel Tempio di Diana, dicono esservi durate Travi di Ginepro, da ducento anni innanzi lo eccidio di Troia per insino a tempi di Annibale.

Della architettura della pittura e della statua
Leon Battista Alberti
Traduzione Cosimo Bartoli

Juniperus Communis - Ginepro

La notte di Natale, i rami di ginepro  si appendevano nelle stalle per proteggere il bestiame e si usava benedirli in chiesa la Domenica delle Palme, in Emilia Romagna si bruciavano la Notte Santa, a San Silvestro e all'Epifania per augurare buona fortuna, e i carboni venivano conservati e utilizzati durante l'anno secondo necessità, mentre in Norvegia la Vigilia di Natale si spargevano sui pavimenti per profumare gli ambienti.

Io ho gridato al Signore, quando sono stato in distretta, ed egli mi ha risposto.
O Signore, riscuoti l’anima mia dalle labbra bugiarde, e dalla lingua frodolente.
Che ti darà, e che ti aggiungerà La lingua frodolente?
Ella è simile a saette acute, tratte da un uomo prode; ovvero anche a brace di ginepro.

Salmo 120, 1-2-3

" ... Tutti dobbiamo mostrarci pronti ad accendere e abbrugiare il Ginepro e nel gettarlo sul fuoco considararemo che essendo arbore odorifero, nell’abbrugiarsi rende odore, e il suo fumo sale in alto, nel qual atto considararemo che le nostre orazioni deono ascendere e arrivare all’orecchio di Dio (che non si deve lasciare di dire almeno divotamente un Pater e un’Ave Maria, mentre lo poniamo sul fuoco) acciò che ivi gionte ci impetrino da Sua Divina Maestà una purità di mente e di core e grazia d’emendarci presupponendo che ogni buono e timorato cristiano s’abbia a confessare in questo santissimo Natale per rinascere col nascente Salvatore a vita più lodevole e migliore. "

Curioso discorso intorno alla cerimonia del Ginepro. 
Aggiuntavi nel fine la Dichiarazione del metter ceppo, et della mancia solita darsi nel tempo del Natale. - 1621
Amadeo Costa

Poiché si riteneva che il fumo aromatico avesse una valenza purificatrice si produceva durante le epidemie e nei camini domestici lì dove c'era un malato che poteva anche essere avvolto nel popolare mantello del dottor Kneipp ovvero in una coperta impregnata di vapori resinosi rilasciati dall'acqua in cui erano stati bolliti i rami e le bacche di ginepro; il suo inventore l'abate Sebastian Kneipp affermava che il ginepro purificasse il sangue e fosse utile per le malattie della pelle. Di parere contrario sull'utilita del fumo di ginepro Agostino Reali che nel 1871 sosteneva:

" ... Il pretendere poi di disinfettare le stanze dei malati bruciandovi le bacche del ginepro è un errore, mentre non altro si ottiene, che riempirle di un fumo, il quale in ultimo diventa ingrato e nocivo alla respirazione ... "

Gli alberi e gli arbusti del circondario e dell' appenino camerte - Agostino Reali - 1871

Coccole di Juniperus Communis - Ginepro

Juniperus communis, Juniperus alpina Gray, Juniperus hemisphaerica Presl, Juniperus nana Willd, Juniperus oxycedrus L. subsp. hemisphaerica, popolarmente agaiso, aguisse, coccole, icprio, indegnore, deneor, deneora,denepre, denever, garganazzu, geneor, genever, geneiver, geneure, ghiniparu, ginepro, ginepru, ginever, gniepro, inepre, inepro, inebro, iniepro, iniblo, inibro, innibolo, inipero, inipro, inipru, janiparo, jen nibello, jene pro, junipero, nibaru, nietro, niperu, rustega, sabina, snei, sneiver, zeneora, zener, zenever, zenevre, zeneul, zeneule, zenevro, zenior, zeuernes, zineivou, zinevar, zinever, zineoro, zinevro, zinnibiri curdu znever, znevr, zneiver, in inglese juniper, in spagnolo enebro comun, in tedesco wacholder, in francese genievre; un arbusto diodico che appartiene alla famiglia delle Cupressaceae ed è originario dell'area mediterranea, nelle zone sferzate dal vento può raggiungere i 6 metri di altezza in quelle più riparate anche i 10, il fusto è ramificato con la corteccia grigia rugosa, le foglie glauche, aghiformi e verticillate, sulla lamina superiore portano linee stomatiche bianche, gli arcestidi o pseudo frutti inizialmente tendenti al verde giallastro si sviluppano in amenti dall'ingrossamento delle brattee degli strobili femminili, sono carnosi, globosi, indiescenti, blu violetti a maturità con pruina opaca, e contengono tre semi ovoidi e bruni.

E Il Ginepro di due specie, maggiore è, e minore: e l’uno, e l’altro è acuto al gusto. Scalda, e provoca l’orina e facendone profumo, discaccia i serpenti. Ritrovansi qualchevolta alcuni de lor frutti grossi, come noci, e come nocciuole, ritondi, e odorati, nel mangiarli dolci, e alquanto amaretti, li quali chiamano arceuthide, ciò è bacche di ginepro. Scaldano quelli, e stringono mediocremente. Giovano allo stomacho, e vagliono bevuti à i difetti del petto, alla tosse, alla ventosità, à i dolori del corpo, e à i morsi de velenosi animali: provocano orina, e conferiscono à i rotti, à gli spasimati, e alle prefocationi della madrice. Le foglie sono acute: e però tanto esse, quanto il lor succo giovano impiastrate, overo bevute con vino, à i morsi delle vipere. La cenere della corteccia unta con acqua, guarisce la scabbia.
Ritrovansi, come ben disse il dottissimo Marcello Fiorentino, alcuni testi di Dioscoride, che hanno il capitolo del Ginepro tutto confuso, e corrotto e con alcune aggiunte, le quali non si dee credere, che sieno di Dioscoride. Percioche non si ritrova e che Galeno e ne Paolo Egineta e ne manco Serapione , il quale riferisce in ogni capitolo di parola in parola assai fedelmente la scrittura di Dioccoride e facessero mentione, che la limatura del legno del Ginepro ammali chi se la bee. Il che ne fa pensare, anzi fermamente credere che non iscrivesse tal melensagine; sapendosi certo esser la bugia. Imperoche vedendosì che Oribasio, il quale diligentissimamente trascrive tutta la sua historia delle piante da Dioscoride, non scrive del Ginepro historia alcuna, ciò veramente ne da manifesto inditio, che quanto qui sene legge in Dioscoride, tutto vi sia stato aggiunto da altri. Onde non ho argumento alcuno, che mi muova a credere e che scrivesse Dioscoride, che il Ginepro maggiore faccia il frutto così grosso come una noce, e l’altro non minore d’una nocciuola; e massimamente ritrovandosi di questa historia tanto varie lettioni. il che battendo ben considerato alcuni moderni nelle Greche lettere consumatissimi, hanno con molta diligenza purgato il presente capitolo, e ritiratolo nella forma e che qui nella volgare mia lingua Italiana l'ho io tradotto. Ma non mancano alcuni moderni i quali essendo più vaghi di proporre cose nuove à chi li ascolta, che de investigar la verità delle cose, contendono, e vogliono e che il Genepro di Dioscoride, non sia altro, che il cedro di Theophrasto; e filando sopra questa contesi, riprendonoDioscoride d’haver commesso questo errore. Ma crivellandosi molto bene le parole loro, si conosce chiaramente quanto sieno in errore con quanta poca consideratione habbino letto del cedro in Theophrasto. Imperoch’ei descrive due spetie di cedro, ciò è il Lido, e il Phenicio, de i quali cognomi non fece Dioscoride memoria alcuna nel suo Ginepro: Ma descrive solamente il Ginepro maggiore e minore, e non il Lycio e il Phenicio, come mi pare che si vadino sognando questi magri censori. La maggiore e minore spetie loro si ritrova in più luoghi d'Italia. Oltre alle quali n’habbiamo noi in quel di Siena in Vescovado di quelli e che crescono in albero grande, e grosso: e impero li chiamiamo Ginepri domestichi. Fanno questi il loro frutto, come gli altri, azzurro, ma alquanto più grosso. L’uno e l’altro produce le foglie pungenti e simili à quelle del rosmarino: ma alquanto più strette.
È il Ginepro legno, che dura le centinaia degli anni senza corrompersi: e imperò, secondo che scrive Plinio al XL, capo del XVI. Libro fece Hannibale mettere in un tempio, il quale fabricò à Diana, tratti di Ginepro, accioche havesse à durare molte, e molte etadi. Onde non è maraviglia, se dicono gli Alchimisti, che il carbone fatto di Ginepro acceso, e ricoperto e con la sua cenere, conservi il fuoco uno anno di lungo. Produce il Ginepro la gomma simile al mastice, e chiamasi questa gomma (anchora che male) Sandaraca, e Vernice da scrittori. Questa, quando è fresca, è lucida, bianca, e trasparente: ma invecchiandosi rosseggia. Ma è d'avertire e che molto è digerente questa Sandaracha degli Arabi da quella di Dioscoride: percioche la Sandaracha de i Greci è una spetie d’orpimento rosso e velenoso, e corrosivo, e come nel quinto libro più apertamente diremo. Fu trasferito il nome di Sandaracha nella gomma del Ginepro da i medici e che hanno seguita la dottrina Arabica, volendo fare il proprio nome suo Arabico Latino: imperoche gli Arabi (secondo, che si legge in Serapione) non Sandaracha, ma Sandarax la chiamano. Per il che è da notare, che dove si ritrova la Sandaracha ordinata nelle scritture Arabiche e si dee sempre quivi intendere della gomma del Ginepro: e quando nelle Greche quella minerale simile all’orpimento. Plinio al XI. capo del XIII. lib. facendo mentione di più spetie di gomme dice che la gomma del Ginepro non è d'alcun valore. Ma nell’uso della medicina si ritrova à i tempi nostri manifestamente il contrario. Fassi di questa, e d'olio di seme di lino artificialmente la Vernice Liquida, che s’adopera per far lustre le pitture, e per invernicciare il ferro: utile veramente alle cotture del fuoco e singularissima per li dolori, e tumori delle hemorrhoide. La secca cio è la gomma del Ginepro, conferisce, secondo che recita Serapione, al catarro, ferma i flussi de i mestrui, disecca le fistole, e le superfluità flemmatiche, che sono nello stomaco, e nelle budella: ammazza amendue le spetie de vermini: conferisce alle rilassationi de nervi causate da frigidi humori. Fumentandone il capo, dissecca i catarri; e tolta per bocca stagna lo flusso del sangue: e applicata, il flusso delle hemorrhoide: e aggiuntovi olio rosado, ferra le setole del sedere, e le fissure causate dal freddo ne piedi, e nelle mani. È calida, e secca nel primo grado. Il fumo della Sandaraca messa sopra carboni accesi, mitiga il dolore de denti pigliandosene il fumo con uno ombutello fino al dente che duole. Ristagna il sangue del naso, se incorporata trita con chiara d'uovo, si lega direttamente sopra la fronte. Chiamasi, parimente Sandaracha appresso Plinio un certo mele ceraginoso, del quale scrive egli al VII. capo dell’XI. libro, con queste parole. Portasi oltre alle predette cose l’Erithace, la quale chiamano alcuni Sandaracha, e altri Cerintho. Et questo é il cibo delle api, mentre che lavorano, il quale si ritrova spesso da per se collocato ne i pertugi de favi, d’amaro sapore. Generasi della rugiada di primavera, questo disse Plinio. L’olio, che per discensorio con due vasi di terra posti l’uno contra l’altro, e parimente per lambico di terra, si fa, del legno del Ginepro benissimo secco, vale tenuto in bocca maravigliosamente al dolore dei denti, causato da frigidità di catarro: e così in tutti gli altri dolori del corpo, causati da humori freddi, come dolori di nervi, di giunture, spasimo, paralisia, e simili. La decottione delle foglie, e delle bacche del Ginepro provoca beuta gagliardamente mestrui. Cuoconsi anchora con giovamento manifesto nel vino le bacche medesime alquanto rotte, con rose, noci di Cipresso, e foglie di mirto, per lavarsene la bocca quando dogliano per i denti i catarri che vi concorrono, massimamente aggiuntovi un poco d’acqua vite, e allume. La liscia fatta di cenere di Ginepro e di vino bianco, beuta al peso di quattro, ò cinque once, provoca gagliardamente l’orina; di modo che alcuni hidropici con questo medicamento solo si sono sanati. Guarisce questa istessa liscia la rogna, bagnandosene alquante volte. Fassi del legno del Ginepro un bagno molto giovevole per i gottosi, in quello modo. Pigliasi libre dieci di legno verde di Ginepro sottilmente tagliato, e cuocesi in una gran caldaia d'acqua, fino che delle tre parti, due sene consumino, e di poi si mette il decotto insieme con il legno in una tina fatta a questo effetto: e fanuisi sedere ì gottosi fino al bellico: e in tanto si gli fanno lavare i piedi, le gambe, e le braccia. E di poi s’asciugano, e fannosi andare in letto caldo: ma bisogna, che i patienti sieno per avanti ben purgati: e io conosco in Boemia alcuni gottosi, che ghiacevano quasi perpetuamente in letto, e con l’uso di questo bagno si sono di forte fortificati, e liberati dal dolore, che hora caminano per tutto liberamente. Messe tre bacche di ginepro e fette di lauro con una dramma, e meza di cassia lignea volgare, e una di cannella nel corpo d’una Tortora; e facendosi poi arrostire la predeta tortora, e pillotare con grasso di gallina, e dandosi essa tortora à mangiar ogni altra sera alle donne, che sono propinque al parto la fa partorire senza molto travaglio. Scrisse del Ginepro Galeno al VI. delle facultà de semplici, così dicendo. Il Ginepro è calido, e secco nel terzo ordine: e calido è parimente il suo frutto, ma non però parimente secco; percioche infierita non passa il primo grado. Chiamano i Greci il Ginepro ἄρκευθος/arkeuthos: i Latini, Iuniperus; gli Arabi, Arconas, overo Archencas: i Tedeschi Vueckholtler, Krametbaum: gli Spagnoli Enebro: e li Francesi Geneure. La gomma del Ginepro chiamano i Greci, κόμμι/Kommj ἄρκευθος/arkeuthos: i Latini Gummi iuniperi: gli Arabi Sandarax: i Tedeschi Verns: gli Spagnoli Verniz: i Francesi Vernix.

Dioscoride a cura di Pietro Andrea Mattioli

Contiene acidi diterpenici come l'acido communico, acido torulosico, acido isopimarico, acido sandaracopimarico; antociani, catechine, ceneri, diterpeni, flavonoidi come apigenina, gossipetina-glucopentoside, ipolaetina-7-pentoside, juniperosidi, quercitrina, rutina, tannini; gineprina; inosite; monosaccaridi; pectine; proantocianidine; resine; tannini, monoterpeni come1,4-cineolo, 1-terpinen-4-olo, canfene, geraniolo, limonene, pinene alfa e beta, sabinene, thujene, sequitertene come cadinene e thujopsene; terpeni come borneolo, mircene, sali minerali come calcio e potassio.
Ha proprietà analgesiche, aperitive, antibatteriche, antilitiasiche, antimicotiche, antimicrobiche, antiossidanti, antireumatiche, antisettiche, antitussive, antivirali, carminative, depurative, digestive, diuretiche, emmenagoghe, espettoranti, rubefacenti, stimolanti, sudorifere, toniche.
L'uso è controindicato alle donne in gravidanza, per chi soffre di gastrite e di disturbi renali

Nomi. Greci. Aenevºis. Lat. Iuniperus. Arab. Arconas. Ital. Ginepre. Ted vuech holz. Spag. Eenebro. Franz. Geneure. Boem. Olouuech. Polac, Zolauuech.
Spetie. È di due spetie cioè maggiore ch'è il domestico, e il Minore ch'è il salvatico.
Forma. Ritruovansi i Ginepri, che crescono in albero grosso, e grande chiamato Ginepro domestico. Fa il frutto come l'altro azurro, ma alquanto più grosso dell'altro. L'uno e l'altro produce le foglie pungenti simili a quelle del Rosmarino: ma alquanto più strette, è il Ginepro legno, che dura le centenaia degli anni senza corrompersi, e però dicono gli Alchimiſti affamati, che il carbone fatto di Ginepro acceso, ricoperto della sua cenere, conserva il foco u'anno di lungo. Ha le bocche cerulee, copiose della grandezza di un pisello di non ingrato odore. Produce la gomma simile al Mastice: e chiamasi questa gomma (anchor che male)Sandaraca, e Vernice, da scrittori. Questa quando è fresca, è lucida, e bianca, e trasparente: Ma invecchiandosi rosseggia; Ma la Sandaraca dei greci è una spetie d'orpimento rosso velenosa, e corrosiva: perché è da notare, che dove si truoua la Sandaraca ordinata nelle scritture arabiche; si deve sempre quivi intendere della gomma di Ginepro, é quando nelle greche, quella minerale simile all'orpimento: Fassi di questa gomma, è d'olio di seme di lino la vernice liquida, che s'adopra Per far lustre le pitture, e per inuerniciare il ferro.
Loco. Nasce ne colli, nei monti massime in luoghi aridi.
Qualità. È calido e secco nel terzo ordine: e calido è parimente il suo frutto: ma non però parimente secco: percioche in siccità non passa il primo grado: assottiglia, apre, digerisce, risolve, astringe, e corrobora. La vernice è calida e secca nel primo grado.
Virtù. Di dentro, Bevonsi le foglie, overo il succo loro, è il succo delle bacche utilmente contra i morsi delle vipere. La decottion delle medesime provoca i mestrui, e l'orina: Le bacche sono vili allo stomacho. Confortano il cervello, conserva la vista, fortifica tutti i sensi, mondifica il petto, dissolve la ventosità del ventre, e aiutano la digestione. Rompono le pietre, sono vili alla paralisia, e al tremore, conferiscono contra i veleni, contra la peste, e contra la quartana, fanno buon fiato, fermano le lagrime degli occhi, fanno buon sangue, e buona memoria, conservano la sanità, e sanano tutti i mali esterni, e interni del corpo: vagliono contra la gotta frigida, e conforta il cuore. Debbonsi cogliere queste bacche di Settembre, debbonsi infondere in vino con un poco d'acqua vita per dui giorni poi sopra un panno di lino bianco e seccarlo al Sole, di queste si piglieranno a digiuno, tre, due, ò tre volte la settimana con un poco di vino, e la sera quando si và a dormire se ne mastichino tre altre qualche volta. La Vernice si adopra in luogo del succino per far profumi a fermare il catarro calido. Conferisce al catarro, ferma i flussi dei mestrui, disecca le fistole, e le superfluità flegmatiche, che sono nello stomacho, e nelle budella: ammazza i vermini, conferisce alle rilassation de i nervi causati da frigidi humori.
Stagna lo sputo del sangue, Se il vomito preso con polvere de incenso, e chiara d’ovo, e giova alla dissenteria. La lessia fatta di cenere di ginepro, e di vin bianco bevuta al peso di quattro è di cinque oncie, provoca gagliardamente l'orina: di modo che alcuni Idropici con questo medicamento solo si sono sanati.Messe tre bacche di ginepro, e sette di lauro con una dramma di Cinnamomo, e una dramma e mezza di polvere di scorze di cassia nel corpo di una Tortora e: facendosi poi arrostire la predetta Tortora: e pilotrare con grasso di gallina, e dandosi essa Tortora a mangiare la sera due o tre volte la settimana alle Donne che sono propinque al parto, le fa partorire senza molto travaglio, Fassi un'antidotto contra veleno, e contra la peste, pigliandosi dramme due di bacche di ginepro, e di terra sigillata vera dramme e due, e scropolo uno, con mele e se ne da quanto una nocchia, con tre oncie d'acqua melata avanti al cibo che magnandosi veleno lo fa subito ributtare. Passi ancora una teriaca del ginepro in questo modo. Prendonsi bacche di ginepro fresche si pestano nel mortaio suo cuoconsi in acqua poi si levano dal fuoco e in sacchetti si spremono al torcitoro, e il succo espresso si cola di nuovo poi si coce a spessezza di mele, agitando che non s'abbrusci e si cuoca in vaso di terra vetriata; questa triaca che è detta teriaca di Tedeschi, presane un cucchiaro la mattina e la sera giova mirabilmente a chi patisse pietre, renelle, dolori colici, mal di madre, è vale ai mestrui, ritenuti a catarri, all'angustia del petto alla tosse, alla crudità dello stomacho, alla peste, alla sincope, alla vertigine a dolori degli occhi alla frenesia, alla sordità, al puzzore della bocca, alla hidropisia, al morbo comitiale, alle posteme interne, e al tremore dei membri: conforta lo stomacho e la testa, conferisce al fegato, conserva la vista preserva da tutti i mali, vale contra ogni veleno, e contagione dell'aere. Devesi usare l'autunno l'inverno e la primavera una volta ò due la settimana. Insomma queste bacche sono di tanta virtù che possono essere succedaneo del carpobalsamo.
Virtù. Di fuori. Facendosi profumo col ginepro si scacciano i serpenti. Cuoconsi con giovamento manifesto le bacche del ginepro, alquanto rotte nel vino con rose, noci di Cipresso, e foglie di mirto, per lavarsene la bocca quando dogliono i denti per i catarri che vi concorrono, massimamente aggiuntovi un poco d'acquavite e alume. La scorza abrugiata con acqua applicata giova alla rogna e alla lepra. Le bacche impiastrate risolvono i tumori e levano via le epifore degli occhi: la lessia fatta della Cenere di ginepro con vino guarisce la rogna bagnandosene alquante volte. La polvere della Vernice, disecca le fistole, e vale al flussodell'hemorroidi: e aggiuntovi olio sana le setole del sedere, e le fissure, causate dal freddo nei piedi, e nelle mani. Il fumo dell'istessa messa sopra carboni accesi, mitiga il dolore dei denti, pigliandosene il fumo con uno imbotello fino al dente che duole, e al medesimo vale bollita in aceto, e lavandosene la bocca: ristagna il sangue del naso, se incorporata trita con chiara d’ovo si lega strettamente sopra la fronte, e alle tempie, applicata al ventre con incenso, é chiara d’ovo alla commisura coronale, overamente pigliandone il fumo con la bocca. L'olio che per descensorio con duo vasi di terra, posti l'uno contra l'altro, e parimente per la bico di terra, si fa del legno del ginepro benissimo secco vale tenuto in bocca maravigliosamente al dolor dei denti causato da frigidità di catarro, e così ai dolori di corpo causati da humori freddi, come dolor di nervi di gionture, spasimo, paralisia, e simili. Il bagno, fatto con la decottion del legno del ginepro, giova mirabilmente a i gottosi standovi dentro sino all'ombelico.

Herbario Novo
Castore Durante  

Coccole di Juniperus Communis - Ginepro

Nell'antica Roma il ginepro era usato per le flautolenze, per le affezioni gastrointestinali e per le fumigazioni; nel II secolo a. C. con le coccole si preparava un vino diuretico che curava i calcoli, l’idropisia, le infiammazioni della vescica, delle vie urinarie e la renella.

Preparazione di un vino diuretico

Preparazione di un vino adatto se ci saranno difficoltà nell’eliminare l’urina: pesta nel mortaio ... o ginepro, mettine una libbra in 2 congi di vino vecchio; fa’ bollire in recipiente di rame o di piombo; quando si sarà raffreddato, versa in una brocca. Prendine un ciato la mattina, a digiuno: ti farà bene.

L'agricoltura
Marco Porcio Catone
Traduzione a cura di Paolo Cugusi e Maria Teresa Sblendorio Cugusi

Apicio lo considerava a tutti gli effetti una spezia da sfruttare in cucina per tonificare lo stomaco e favorire la digestione, poteva sostituire il pepe e conferiva un aroma resinoso perfetto per la cacciagione:

Salsa per tutte le specie di cacciagione lesse e arrosto: prendi una decina di chicchi di pepe, della ruta, del ligustico, del seme di sedano, del ginepro, del timo, della menta secca; di ognuno circa 10 g. Tutte queste cose riducile in polvere lievissima e mescolale insieme e trita. Aggiungi in un vaso del miele in quantità giusta e servi con salsa acida.

La cucina dell' antica Roma. De re coquinaria
Apicio

Dal legno dello Juniperus oxycedrus veniva distillato a secco l'olio di cade che i romani chiamavano cedria e usavano anche per imbalsamare i morti.

L'olio di cade ossia olio di ginepro che si ottiene dalla distillazione del legno del Iuniparus Oxycedrus Lin; è un olio empireumatico da non molto presso di noi introdotto nella cura delle malattie della pelle; è irritante e si adopra puro diluito corrispondentemente ai periodi differenti delle malattie cutanee. L'olio di cade si prescrive da uno scrupolo a mezza oncia in una di grasso, in questo periodo delle malattie della pelle; a questo si può unire ancora, se il caso lo esige, il precipitato bianco.

Giornale medico di Roma - 1869

L'unguento, ottenuto dalla corteccia bruciata e macerata con acqua, contrastava la lebbra e la rogna. Nel Medievo lo coccole che stimolano le contrazioni uterine erano usate per gli aborti.
Tra il X e l' XI secolo i benedettini con il ginepro producevano un distillato, antenato del Gin, che serviva per le cure renali. 
Nell'XI secolo Avicenna lo citava per l’isteria e per l'azione  vasodilatatrice.
Nel XII secolo Santa Ildegarda di Bingen lo usava per le emicranie e per i disturbi dei reni e della vescica e nel XVI secolo era considerato una panacea universale dalle coccole miracolose.
In infuso le coccole purificano i bronchi e il fegato, favoriscono il ciclo mestruale, la digestione e la diuresi, leniscono l'artrite, il catarro, gli eczemi, le piaghe e i reumatismi, utili in caso si acne; il decotto del legno aggiunto all'acqua del bagno serve per la gotta.

" ... Comunque siasi dell’antica loro origine, gli abitanti di Bossiglina sono a’ giorni nostri così poveri, che non di raro trovansi in necessità di macinar le radici dell’Asfodelo, e farne un pessimo pane, che deve contribuire di molto a mantenervi colla fiacchezza delle forze lo squallore, e la miseria. Le malattie costantemente prodotte da questa malefica radice sono il dolore di stomaco, e l’uscita di sangue. Io non posso abbastanza stupire, che i posseditori de’ terreni, e i Feudatarj della Dalmazia badino generalmente sì poco alla sussistenza de’ coloni, i quali ànno pur gran bisogno, che vi sia chi pensi per loro. La piantagione dei Castagni, spezie d’albero, che non si trova assolutamente in veruna parte della Provincia, e che converrebbe moltissimo alle montagne interne, sarebbe salutare pei poveri. Gioverebbe anche ad essi l’uso delle Patate, delle quali si pascerebbono certamente più volontieri, che di radici d’Aro, e d’Asfodelo, o di bacche di Ginepro cotte, cibi purtroppo usati negli anni di scarsezza da molte, e molte miserabili popolazioni dell’Isole, e del litorale. Voi sapete quanto alla Patria vostra sieno state utili le Patate, che ànno preso il luogo del cattivo pane, cui mangiavano particolarmente nelle povere contrade della Dalecarlia gli squallidi contadini, ne’ tempi di carestia ... 

Viaggio in Dalmazia - Di Bossiglina, e della Penisola Illide - 1774
Alberto Fortis 

Nel liguaggio dei fiori rappresenta, l'asilo, la protezione e il soccorso; un rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di san Giovanni, entrambi i numeri sono sacri. 

" ... Prendi tre staia di bacche di Ginepro, le più nere, altrettante quantità di orzo di Marzo, e due libbre di frutti selvatici cotti al forno; riempi a metà il tino di acqua di riviera o di fontana o di pozzo; metti l'orzo in una caldaia piena di acqua acciò esso galleggi, ponilo a gran fuoco e fallo bollire per un minuto, ritiralo dal fuoco, e versagli il Ginepro e le frutta cotte per gettare il tutto insieme nel tino che chiuderai bene durante due giorni, per lasciare il tutto in infusione dopo questo tempo verserai ciascun giorno una sechia d'acqua fino che quello sia pieno; allora coprirai semplicemente l'apertura del tino senza chiuderlo ermeticamente; il liquore fermenterà qualche giorno, dopo bollirà, ed allorché sarà inspessito potrai servirtene. A misura che leverai dal tino questo liquore si può aggiungere dell'acqua per molti mesi di seguito.
Cola dalla pianta una specie di gomma, o resina che è simile al mastice, e questa è detta impropriamente sandracca o vernice da scrittori.  
Molte e grandi sono le proprietà delle bacche del Ginepro; esse hanno un sapor acre un po' amaro; l'odore è grato ed aromatico, quando si gettano sulle brage ardenti; mangiate comunicano all'orina l'odore di viola, riscaldano assai, ed aumentano il corso delle urine, e spessissime volte anche la traspirazione insensibile; facilitano la digestione, ed attivano gli intestini indeboliti da umori sierosi e pituitosi, e così convengono nella diarrea cagionata da debolezza di stomaco e da sierosità. Vuolsi che i profumi fatti colle bacche di Ginepro siano utili per risvegliare i nervi, e che giovino nell'asma umido, nella tosse catarrale, nella tosse polmonale essenziale e recente, e nella tisi polmonale direttamente da infiammazione di petto, Bruciando le bacche di questa pianta si purifica l'aria cattiva delle stanze; si otterrà l'istesso scopo facendo bollire le bacche con ottimo aceto, giacché l'acido decompone i miasmi putridi dell'aria precipitandoli, e la parte aromatica volatile aromatizzerà l'aria nuova che verrà introdotta. Le bacche, il legno e la resina del Ginepro sono stimolanti, carminativi, diuretici ed alteranti; il decotto e l'estratto sono meno stimolanti, e molto più diuretici. Tanto però il decotto che gli altri preparati sono creduti ottimi rimedi per le cofosi, per l'idrope, per il catarro, per l'asma, e per le malattie della pelle; l'olio poi si può usare per ammazzare i vermi, egli però è stomachico, ma si userà con circospezione secondo l'età ed il temperamento del malato. I preparati del Ginepro sono, del legno e delle bacche, l'infusione ed il decotto; delle bacche poi il roob, l'estratto, l'acqua distillata, l'alcoole e l'olio volatile. Per far infusione tanto acquosa che vinosa si prescriverà il legno e le bacche in dose da tre dramme a mezz'oncia ad un'oncia, e l'estratto da Lemery è somministrato in dose da un denaro a due denari ad una dramma. "

Flora medica - 1817
Antonio Alberti

N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

venerdì 16 giugno 2023

Nere le coccole dell'ebbio

" ... Pan, il Nume d’ Arcadia, anch’ei sen venne,
E vedemmo noi stessi il rubicondo
Tinto volto di minio, e di sanguigne
Coccole d’ebbio ... "

Egloga X – Bucoliche
Virgilio Marone
Traduzione Antonio Ambrogi

Sambucus ebulus, ebbio, ebulo, lebbio, nebbio, sambuchella, sambuchello, sambuco nanao

Il minio è un ossido composto da idrossido di piombo e da diossido di piombo, nei tempi antichi era usato per dipingere i simulacri di Giove e degli altri dei, il minerale rilasciava una tonalità tra l'arancio e il rosso vivo ed era unito alle coccole dell'ĕbŭlus.
Sambucus ebulus, dal greco σαμβύκη/sambúke - sambuca, strumento musicale, che probabilmente veniva costruito con il legno di sambuco e aveva corde somiglianti ai suoi germogli epicormici, ebulus invece deriva dal latino ĕbŭlus nome con cui, scrittori del calibro di Virgilio e di Plinio, chiamavano l'erba officinale perenne e tossica che noi in italiano chiamiamo comunemente ebbio.

Nomi. Greci, καμαιακτη. Lat. Ebulus. Ital. Ebulo e nebbio e podagraria per giovare alle podagre. Kameastis.Ted. Attich, e Niderel holler Spag. Fyezguos, e subugo pecquenno, Franz, Hyeble.
Forma. L'ebulo, ch' è la seconda spetie del sambuco chiamato chameaete, è molto più picciolo del sambuco, e è più presto da esser messo tra le spetie dell'herbe; che degli arbori, produce il fusto quadrangolare, e nodoso, le frondi sono di mandorle, ma più lunghe, le quali escono compartite per intervalli da a ogni modo, pennuee, e di spiaceuole odore, é intaccate per intorno. Ha l'ombrella simile a quella del sambuco; e parimente il fiore, e il frutto, ha lunga radice grossa un dito.
Loco. Nasce nelle piazze, e nei chiostri delle Chiesie, e intorno alle muraglie dei castelli, e lungo le vie.
Qualità. E caldo e ſecco, e ha tutte l'altre facultà del sambuco.
Virtù. Di dentro. Solve per il corpo gli humori aquosi, ma nuoce allo stomacho; cuoconsi le sue frondi tenere, e mangiansi per solvere la collera, e la flemma. La radice cotta nel vino, e quando si beve nel modo medesimo. Le bacche dell'ebulo cotte, e condite col zuccaro preso al peso d'una dramma ò due, ogni terzo giorno, tiran fuori l'acqua degli hidropici, è il medesimo fa una dramma del - suo seme pesto con cinnamomo dato con vino, con decottion d'iva, che così giova ancora alle podagre, à dolori artetici, alla sciatica, e al mal Francese: e il medesimo fa la polvere della radice.
Virtù. Di fuori. La decottion delle foglie giova facendone fomento a quelli che per lunghe febri son diventati bolzi, ongendo poi lo stomaco, e il fegato con appropriati unguenti. Sedendosi nella sua decottion si mollificano le durezze della milza, e s'aprono l'opilationi, e correggonsi parimente gli altri suoi difetti. Il succo secco al Sole, e fattone trocisci, massime della radice messo nei cristieri giova alla sciatica, e dolori colici, e messo nella natura delle donne provoca i mestrui. L'empiastro fatto di frondi d'ebulo, e d'ortica peste, è mirabil rimedio per le podagre, e per la sciatica. Col succo delle bacche dell'ebulo si tingono setole, e penne bollite prima in acqua d'alume. Il succo cavato dalle radici, e dalle foglie bolliti in vino, co butiro ungendo le podagre è mirabile, mettesi anche il secco nei cannelli verdi i quali coperti di pasta si cuocono in forno come il pane, e dentro vi si truova un liquor mirabile alle cose sudette. L'ebulo ammazza le cimici messo nel letto.

Herbario Novo
Castore Durante

Sambucus ebulus, ebbio, ebulo, lebbio, nebbio, sambuchella, sambuchello, sambuco nano

Sambucus ebulus, popolarmente ebbio, ebulo, gebio, lebbio, lebu, levulo, nebbio*, podagrara, sambuch, sambuchella, sambuchello, sambuch femina, sambuco nano, samucu burdu, in inglese dane weed*, danesblood*, danewort*, dwarf elder, walewort o walwort*; in spagnolo saúco menor, in tedesco zwerg-holunder, in francese petit sureau; appartiene alla famiglia delle Viburnaceae, originaria dell'Europa meridionale e dell'Asia sud-occidentale si è diffusa anche nel Nord-America; può raggiungere il metro e mezzo di altezza, il fusto è eretto e non ramificato, le foglie sono opposte, imparipennate con singoli elementi verdi sulla lamina superiore e più chiari e pubescenti su quella inferiore, brevemente picciolati, lanceolati, oblunghi e seghettati al margine, i fiori, peduncolati a cinque petali bianchi con leggere sfumature rosa, sono raccolti in corimbi all'apice del fusto e il frutto è una drupa nera e lucida in maturità, glabra e globosa piriforme.

nebbio= affine a nebbia ricorda le bianche infiorescenze del Sambucus ebulus
dane weed*, danesblood*, danewort* = questi appellativi derivano dalla credenza che questa weed/wort - erba/pianta cresca lì dove si è versato il blood - sangue durante i combattimenti contro i dane - danesi
walewort o walwort* = pianta straniera

Nel dizionario universale economico rustico del 1797 è descritta così:

Ebbio, o Ebulo, Sambuco nano, o minore, Lat. Ebulum, fr. Yeole, Hiable. Specie di sambuco. Quest’erba o piuttosto fruttice puzzolente ritrovasi frequentemente lungo le strade maestre e nelle terre lavorate; rassomiglia al sambuco ma è assai più basso, mentre non s’erge oltre l’altezza di 3 in 4. piedi. I suoi fiori si trovano disposti a ombrella, piccoli, numerosi e d’un odore che accostasi a quello della pasta di amandole dolci, bianchi ed in rosetta. A così fatti fiori succedono bacche rotonde le quali maturando diventan nere, amare e d’un sugo che tinge le mani d’un colore purpureo: racchiudono elleno alcuni semi lunghetti ed oleosi. Le foglie sono dentate in modo di sega, più lunghe e più aguzze che le foglie del sambuco e sono amare: mescolate nella minestra cotta nel brodo o nell’insalata purgano il corpo quanto una medicina; anche le coccole e i semi purgano blandamente. La radica ha un sapore amaro, un poco acre e nauseante: la scorza di mezzo è solutiva, la sostanzi interiore è più astringente di tutto il resto della pianta. Tutta la pianta esala un odore acuto e disgustoso. Per gli oggetti di medicina è meglio per tutti i riguardi di far uso del sambuco comune. Le donne che non vogliono comparire canute si bagnino la testa col sugo delle coccole .d’ebbio che sari differita per qualche anno la molesta testimonianza della loro età. Col vago porporino del sugo della coccola si dà il colore al vino e coi fiori secchi dell’ ebbio mescolati nel mosto si dà un sapore di moscato al vino, ma non è sano: serve anche questo colore per caricar le tinture. I calzolai e i sellai se ne servono a tinger di nero le pelli. Si sono molto vantate le foglie per discacciare le cimici da una stanza: il suo odore acuto e puzzolente le fa fuggire. Questa ricetta si trova in tutte le raccolte de’ segreti, ma ecco l’effetto che produce. Le cimici discacciate dalla puzza se ne fuggono e si nascondono nelle crepaccie de’ muri, nel solaio di legno ec. e cessata la puzza col seccarsi delle frondi ritornano. Non torneranno più se dalla primavera in cui fiorisce la pianta fino all’autunno in cui si secca si copra il letto ogni 8. giorni di nuove foglie e rami, ma la camera non potrà abitarsi per la gran puzza. . Lo stesso deve dirsi de’ gorgoglioni del grano che sono messi in fuga dalla puzza dell’ ebulo e di tutte le altre erbe d’odore acuto. Essi fuggono per qualche giorno, ma ritornano subito che l’odore è dissipato. Quest’ arboscello perde tutti gli anni i suoi fusti che sono erbacei, scanalati, angolosi e pieni di midolla. Quando si vede vegetare felicemente in un campo, esso può comprarsi ad occhi chiusi. Ciò dimostra infallibilmente che il terreno è sostanzioso ed ha fondo e che in conseguenza deve produrre molto grano; ma nel tempo stesso ciò dimostra la negligenza del coltivatore che ha dato il comodo a questa pianta ingorda di moltiplicarsi nel suo terreno. Si sono proposti diversi segreti e irrigazioni per distruggerla, ma affatto inutili. E’ inutile di vangare il terreno colla maggior diligenza ed è impossibile di sterminare questa pianta con una sola operazione; ciascun capelletto delle sue radiche sfuggito all’ occhio del coltivatore basta alla sua riproduzione. Si sono vedute piccole particelle di queste radiche seppellire in una fossa di 3. piedi di pròfondità, sopra la quale era stato fabricato un muro ricomparire dalle parti laterali del muro coll’ istesso vigore di prima. Il solo mezzo per distruggerla veramente è di arare il campo o vangarlo tutte le volte che si vedrà ripullulare 10. volte ed anche 2o. all’anno conviene rinnovare questa operazione se fa di bisogno: ogni volta che si ara debbono andare dietro all’ aratro donne e fanciulli per raccogliere le radiche e gettarle fuori del campo. Questa pianta non si distrugge che con farla spossare coi nuovi germogli.

Dizionario universale economico rustico

Sambucus ebulus, ebbio, ebulo, lebbio, nebbio, sambuchella, sambuchello, sambuco nano

Contiene un alcaloide chiamato sambucina, acidi fenolici, acido ursolico, enzimi, flavonoidi come i 
tannini; glucidi, lectine, olio essenziale, pigmenti antocianici, saponine. 
Ha proprietà antiedematose, antinffiamatorie, antireumatiche, colagoghe, diaforetiche, diuretiche, espettoranti, lassative, sudorifere.
La medicina popolare usava la corteccia e i fiori essiccati per le affezioni bronchiali e per alleviare i dolori articolari, i reumatismi e per aumentare la secrezione lattea; le foglie, che secondo una credenza allontanano talpe e topi contengono ebulina 1, una proteina poco assorbita dal corpo, essiccate si aggiungevano al té per curare l'idropisia e favorivano la sudorazione, le coccole in impiastro servivano per le contusioni, le infiammazioni, le scottature o per la preparazione dell'inchiosto, dei coloranti e dei repellenti, la radice come diuretico, lassativo e in un uso esterno per tingere i capelli di nero, ma ATTENZIONE, poichè durante la digestione dell'ebbio alcuni enzimi attivano la scissione dei suoi glucosidi cianogenetici in zuccheri semplici, e acido cianidrico che in dosi elevate è LETALE, non vi venga in mente di sperimentare l'uso interno dell'ebbio, soprattutto delle coccole non cotte, se non supportati da una prescrizione medica.

Sambucus ebulus, ebbio, ebulo, lebbio, nebbio, sambuchella, sambuchello, sambuco nano

Nel linguaggio dei fiori l'ebbio rappresenta l'umiltà; un rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di san Giovanni, entrambi i numeri sono sacri. 

Si adopra questa pianta come la precedente; la radica e il seme di essa purgano più di quelle del Sambuco ( sambucus nigra ): due grossi di semi di Ebbio infusi in un mezzo sestiere di vino bianco, senza aggiungervi altro purgante, evacuano abbondantemente le serosità, e convengono nel reumatismo, nella gotta, e nell'idropisia.
Le foglie di Ebbio, cotte nell’acqua comune; applicate sull’emorroidi, fra due panni lini, calde quanto l’infermo può sopportarle, le ammorza, e ne calma il dolore. La radica di Ebbio, tagliata a pezzetti, spianata col martello, poi bollita colla feccia di vino bianco per due ore, fa passare la gotta in due o tre giorni. La si lascia un poco raffreddare, e vi s’inzuppano de’ panni lini, co’ quali si avvolgono le membra del gottoso, caldi quanto questi può sopportarlo, e si replicano matina e sera. Questo rimedio mi è stato comunicato da un curato caritatevole, che lo ha sovente impiegato con buon esito negli infermi poveri. Le radiche e i semi di questa pianta entrano nelle composizioni idragoghe di Charas e di Renou.
OSS. I bestiami non mangiano nè le foglie ne le bacche dell' Ebbio. (Questa pianta trovasi per le ripe e lungo i fossi, ed e incoinoda per le sue radici, che gettano nuovi polloni, ond'è difficile estirparla.
Le foglie hanno un odor fetido come di ricotta putrida e quest'odore fa fuggire i topi dai granari, dove sparge questa pianta. Targioni.)

Storia compendiosa delle piante usuali -1809
Pierre Jean Baptiste Chomel
 
N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

martedì 13 giugno 2023

Conforta la virga aurea

" Piglia herba pagana, alias herba iudea verde iverno; herba stella, herba di S.Nicolò, le quali vogliono essere raccolte, che non siano state strapiantate, an.le quali tutte sia secche all'ombra, e pestate ciascuna da per se; e dipoi incorporate insieme; e quando vorrai fare la compositione di essa bevanda, Piglia tre boccali di vino bianco buono, e odorifero, e se fosse vernazza, sarebbe meglio, e per ogni boccale di vino li ponerai drag. IV, di dettapolvere, le qual cose farai bollire a lento fuoco, infino alla consumatione della terza parte, e fatto questo la colerai, e la serberai in vaso di vetro: della qual potione ne darai all'infermo tre dita ... la mattina in aurora a stomaco digiuno, dipoi lo infermo preso che ha la sopradetta bevanda Stia hore quattro a mangiare, e sopra la piaga si mette una foglia di verze rosse alla roversa ligata... e così facendo, vederai di tal cosa far miracoli: per la qual bevanda un grandissimo uomo, e valentissimo tedesco era adorato dalla gente, con la quale faceva ogni giorno cure disperate, e maravigliose, e io mi son trovato assaissime volte presente. "

Della Summa Dei Secreti Universali In ogni materia 1559
Timotheo Rossello

Solidago virgaurea L., Solidago verga d'oro, Verga d'oro, Virga aurea, Virgaurea, Herba iudaica, Herba pagana

Herba iudea e herba pagana due appellativi della Solidago virgaurea dal latino sŏlĭdo - consolidare, rassodare, rinforzare, saldare in riferimento alle proprietà cicatrizzanti più virga - virgulto e aureă - aurea in riferimento al colore giallo oro dei fiori.

" ... Herba giudaica, e parimente pagana chiamato alcuni quella, che volgarmente chiamano Virga aurea
il cui fusto è rosso, alto due gombiti, e qualche volta maggiore, lucido, e liscio: super lo quale produce
le frondi olivari, per intorno minutissimamente dentate, e liscie nella loro superficie. I fiori produce nella sommità del fusto spicati ( non simili à quelli della camamilla, come ne i suoi herbarj la dipinge il Fuchsio) d'aureo colore: i quali nel maturarsi convertiscono in leggerissima piuma, e dette se ne volano all'aria, usanla i chirurgici Tedeschi nelle bevande delle ferite interiori, e delle fistole, e parimente ne gli unguenti: imperoche (secondo che riferiscono) è mirabilissima per consolidare. Lodolla Arnaldo da Villanova per cosa mirabile a fare orinare, e a rompere le pietre delle reni; ma non però da altri, che da lui l'ho ritrovata scritta. Questa bevuta secca in polvere ristagna flussi del corpo, il che non sa messa ne i cristeri. Lavandosi la bocca con la decottione, vi guarisce l'ulceragioni, e ristabilisce i denti smossi, e giova gargarizata alla schirantia*, all'infiammagione delle fauci, e dell'ugola ... "

schirantia* pari a squinancia = Infiammazione del cavo orale e della faringe che può provocare angina, disfagia, difterite, mal di gola e senso di costrizione alla gola.

Dioscoride a cura di M. Pietro Andrea Mattioli


Solidago virgaurea L., Solidago verga d'oro, Verga d'oro, Virga aurea, Virgaurea, Herba iudaica, Herba pagana

La Solidago virgaurea L., binomio scientifico proposto nel 1753 da Linneo, Solidago verga d'oro, Verga d'oro, Virga aurea, Virgaurea, popolarmente bacchetta dorata, bacchetta d’oro, baston d’oro, erba da Giudas, erba da pesci, erba giudaica, erba pagana, herba giudaica, herba pagana, lambruna, spada d’oro, verga d'or, solidasen, in inglese european goldenrod, in spagnolo var de oro, in tedesco goldrute, in francese verge d’or; pianta officinale perenne, che appartiene alla famiglia delle Asteraceae originaria dell'area mediterranea e dell'Asia, comprende oltre 100 specie e può raggiungere dai 20 ai 100 centimetri di altezza; Il fusto glabro o pubescente striato in alto è eretto e sostiene le foglie verdi a lamina tri-nervia, membranose e alterne, acute, lanceolate, oblanceolate, con i margini dentati, le inferiori picciolate, le superiori sessili, i capolini di fiori gialli disposti a spighe sono ligulati esterni, tubulosi interni e sbocciano da giugno fino a settembre, i frutti sono degli acheni pubescienti a coste con pappi. 
Contiene acidi fenolici come acido caffeico e acido clorogenico, leiocarposide, virgureside A; acidi fenolcarbossilici, carotenoidi, derivati dell'acido caffeico, cumarine, diterpeni clerodanici come elongatolidi C ed E e solidagolattoni I-VII; flavonoidi come astragalina, iperoside, isoquercitrina, nicotiflorina, rutina, quercitrina, quercitrina, tannini catechici; mucillagene; poliini; polisaccaridi solubili; saponine triterpeniche come virgaureagenine A-H con aglicone oleanolico, poligalacico e bayogeninico.
Ha proprietà analgesiche, antiasmatiche, antinfiamatorie, antimicotiche, antimicrobica, antilitiasiche, antireumatiche, antisettiche, astringenti, cicatrizzanti, depurative, diuretiche, drenanti, lenitive, spasmolitiche.
Nel Medioevo sfruttavano il suo potere cicatrizzante per curare le ferite da taglio, Avicenna nell'XI secolo ne suggeriva il decotto per le afte della bocca, antenato naturale dell'odierno colluttorio.

Nomi. Lat. Virga aurea. Ital. virga aurea, e herba Iudaica, e pagana.
Forma. Fà il fusto rosso, alto duo gombiti, e qualche volta maggiore lucido e liscio: su pe lo quale produce ella le frondo olivari per intorno minutissimamente dentate, e liscie nella lor superficie. I fiori produce nella sommità del fusto, spicati d’aureo colore: i quali nel maturarsi si convertiscono in leggierissima piuma; e se ne volano a l’aria.
Loco. Nasce ne i colli, e nelle selve di Caprarola, e di canapina luoghi amenissimi.
Qualità. È amaretta; ha facultà astersiva, e conglutinativa.
Virtù. Di dentro. Vale tutta la pianta nelle bevande delle ferite interiori, e parimente nelle fistole imperoche è mirabilissima per consolidare, e è mirabile a far orinare e à romper le pietre delle reni, e dessi a questo proposito, L’Acqua stillata dalle sue foglie, al peso di quattro oncie con tre ò quattro goccie di olio di vetriolo. Bevuta secca in polvere ristagna il flusso del corpo.
Virtù. Di fuori. Lavandosi la bocca con la decottione vi guarisce l’ulcere, e vi stabilisce i denti smossi, e giova alla schirantia, e alle infiammagioni, e ulcere delle fauci, e dell’ugola.

Hebario Novo
Castore Durante

Solidago virgaurea L., Solidago verga d'oro, Verga d'oro, Virga aurea, Virgaurea, Herba iudaica, Herba pagana

5 grammi di Solidago virgaurea secca lasciata in infusione per 10/15 minuti in 150 ml. d'acqua bollente giova alle infiammazioni della gola; aiuta a bruciare grassi e calorie, e può risultare utile per le affezioni urinarie, asma, bronchite, calcoli renali, diabete, emorragie, epatomegalia, gotta, ipertrofia prostatica, iperuricemia, reumatismi, riduzione della pressione sanguigna, ritenzione idrica, tubercolosi polmonari; in impacchi può essere usata sul cuoio capelluto, sulle ferite purulente, sulla pelle arrossata e per detergere le parti intime infiammate.
Per alleviare i dolori articolari e muscolari alcune gocce di olio essenziale possono essere aggiunte all'olio per massaggi.
Controindicata alle donne in gravidanza, a chi soffre di patologie cardiache e renali, a chi usa farmaci diuretici e ai soggetti allergici ai componenti delle Asteraceae.
Dal punto di vista alimentare ottimo il miele peculiarmente delicato.
Nel dizionario universale economico rustico del 1797 è descritta così:

Verga d'oro, Verga dorata, lat. Vìrga aurea, Solidago, Linn. fr. Verge dorée, Verge d'or. Pianta di cui ve ne ha un gran numero di specie quali in parte servono alla medicina, altre per ornamento dei giardini.
Da una radice vivace pullulano parecchi tronchi alti fino a 3. piedi e più, rotondi, scanalati, pieni d’una
midolla fungosa: le foglie stanno collocate alternativamente su questi tronchi, i fiori sono raggiati, dì color giallo dorato, sostenuti da un calice di parecchie foglie a squame. Nella specie con foglie strette, che è la verga dorata minore, i fiori sono disposti in ispiga lungo l'estremità dei rami; ma nella specie con foglie larghe, che è la verga dorata maggiore, i fiori si trovano disposti a maniera d’ombrella. Naturalmente queste piante crescono nei luoghi montuosi, nei boschi umidi ed ombrosi e fioriscono dall’estate fino all'ottobre secondo i climi. Il P. Arena dà la figura di 3. specie.
1. Ornata di molti fioretti a color d’oro, con le foglie di linaria nella pianta.
2. Minima, per la piccolezza della pianta rispetto alle altre che sono alte 2. o 3. cubiti , ma pur questa è di fior massimo aureo.
3. Di fiori aurei, disposti a ombrella, detta solidagi. ne saracenica per la virtù di solidar le piaghe . Il Clarici ne aggiugne altre delle specie meno degne. Sono piante alte per far buona comparsa nel fine dell’estate quando fioriscono. Fanno bene in terra d’ortaglia con qualunque coltura: propagansi o con il seme in marzo, e bisogna raccoglierlo prima che verga dissipato dal vento, o colle radici divise nel mese di marzo o nell’ ottobre. Dalla sudetta specie maggiore le api fanno una buona raccolta di mele.

Dizionario universale economico rustico

Solidago virgaurea L., Solidago verga d'oro, Verga d'oro, Virga aurea, Virgaurea, Herba iudaica, Herba pagana

Nel linguaggio dei fiori la solidago rappresenta la buona fortuna, il consolidare, l'incoraggiamento e il sollecito; un rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di san Giovanni, entrambi i numeri sono sacri.

Verga d'oro, Virga aurea. E' questa nella Botanica la denominazione d'un genere di piante, i cui caratteri sono gli appresso.
Il fiore è della spezie raggiata: il suo disco è composto di fiorellini, ed il suo circolo esteriore di mezzi fiorellini. Tutti questi trovansi piantati sopra l'embrione del frutto, e son contenuti in un comune calice, o coppa scagliosa. Questi embrioni alle perfine maturansi in semi alati di piuma. A tutto ciò dee aggiungersi, che i fiori stannosi usualmente in una lunga serie verso le vette dei gambi" ... "

Dizionario universale delle arti e scienze - 1775
Ephraim Chambers

N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

Brucia con le coccole il legno di ginepro

domenica 11 giugno 2023

Il dì del Corpus Domini per menori e domenichini

Il vero amore che a infiniti segni avete dimonstrato portare all’illustrissimo ed eccellentissimo signor Cesare Fregoso, cavaliero del sacro ordine regio e mio signore, e la benevolenza che per cortesia vostra meco usate, me vi rendeno ogni ora di piú in piú affezionato e desideroso che mi si offerisca occasione di potere in qualche parte farvi cognoscere quanto vi ami. E non mi trovando cosa di voi degna e del vostro valore, per ora vi mando questa novella, che il capitano Mauro da Novate in Moncalieri in una buona compagnia narrò. Accettate dunque questo picciolo dono, per ora, da chi di core vi ama, e state sano.

Cipolla rossa di Tropea

NOVELLA XX (XXI)
Piacevole beffa fatta in Ferrara dal Gonnella a' frati menori e il gastigo che volevano darli, e come si liberò da le loro mani.

Piacevole beffa fatta in Ferrara dal Gonnella a’ frati menori e il gastigo che volevano darli, e come si liberò da le loro mani. Fu Nicolò da Este, marchese di Ferrara, molto affezionato a l’ordine osservante di santo Domenico, e fu quello che fondò il convento di Santa Maria dagli Angeli di esso ordine e provide loro onestamente del vivere e volle in la chiesa loro essere sepolto. Ebbe il marchese Nicolò in le seconde nozze per moglie una figliuola del signor Carlo Malatesta di Cesena, che sovra modo amava li frati menori, e ogni di ella al marito si sforzava persuadere che il bene che faceva a li domenichini facesse a’ frati menori; ma il marchese non le volea intendere. Il Gonnella teneva col marchese. Ed essendo la festa del Corpo di Cristo assai vicina, disse a la marchesana: -  Signora, il di del Corpus Domini voi conoscerete quai siano piú esemplari, o li menori o li domenichini. - Venuto il sacrato giorno del Corpus Domini, il Gonnella, avendo preparata una ampolla di succhio di cipolle da Forlì con certa mistura di polvere corrosiva, se ne andò a la prima messa a San Francesco; e fingendo che se li fosse mosso il corpo, si fece condurre al luoco de la contessa di Civillari, ove i frati a suono di nacchere rendeno ogni ora il loro tributo. Aveva seco il Gonnella tre servitori; il quale, come fu dentro il luoco, commandò a’ servitori che non lasciassero intrare frate nessuno, con dire che colà entro uno gentiluomo purgava il corpo. E così egli bagnò con la sua acqua tutti li sedili e incorporò nel legno, ma non tanto forte che il sedile non restasse molto umido. Partito che egli fu, li frati, secondo che si levavano, come è il solito, andavano a scaricare il corpo; di modo che l'umore del succhio in parte penetrare cominciò le carni di chi sedeva. Venuta poi l’ora de la processione, li frati con sacri paramenti, con reliquie, tabernacoli e calici in mano apparati, andarono a la chiesa catedrale per accompagnare il Corpus Domini. Io porto ferma openione che siano poche città in Italia ove si faccia più bella processione che a Ferrara. Si apparecchiano vari e ricchi altari e si rappresentano istorie del Testamento vecchio e novo e vite di santi. Era cerca la fine del maggio e il caldo era assai grande. Ora li frati menori sentivano gran caldo e uno prurito forte, mordente per le carni, e sudavano assai, e per lo sudore aprendosi i pori de la carne, il succhio cipollino penetrò si a dentro, che i poveri frati sentivano uno mordacissimo prurito, massimamente su le natiche; di modo che, essendo arrivati in quella banda ove per iscontro erano i1 signore marchese e la signora marchesana, quasi arrabbiavano. Onde, astretti da l’estremo prurito, tutti che apparati erano, deponendo in terra tabernacoli, calici e altre cose sacre, senza riverenza o rispetto di persona, cominciarono ad ambe mani a grattarsi le parti deretane, facendo li più strani e contrafatti visi che vedere si potessero. Altri, fregandole al muro, faceano uno fora di modo ridicolo e poco onesto spettacolo, dando infinita di sé meraviglia a chi li vedeva. Il volgo colà concorso crepava de le risa. E certamente averebbero provocato con quei loro atti a ridere Saturno, che mai non ride. Molti anco di quelli che altrimenti non erano vestiti di paramenti sacri, e avevano sentito quello malvagio e mordacissimo succhio, facevano il medesimo. Ma secondo che tutto il mondo rideva, la signora marchesana era quella che si disperava e smaniava, piena di fiero sdegno e di una grandissima ira. E tanto più arrabbiava, quanto che il Gonnella, che appresso le era, le diceva: - Signora mia, mirate colà: che vi pare di que’ visi che fanno li vostri devoti? vedete come quello vecchione si contorce, che pare proprio Laocoonte quando da li serpenti fu preso e con li figliuoli miseramente morso. Questi sono li frati vostri si esemplari. So che ora non tengono il collo torto, anzi mi pare che vogliano fare la moresca. - Così dava il giambo con acutissime e mordaci parole il Gonnella a la afflitta marchesana. A la fine, essendo necessario che seguitassero la processione, furono astretti ripigliare in mano tutte le loro cose sacre; il che fecero con grandissima difficultá. E tuttavia, caminando, facevano mille atti strani, si fieramente dal succhio erano pezzicati. Vennero poi li frati di san Domenico, li quali, compostamente e con le loro reliquie in mano passando, la processione seguirono senza far atto nessuno che uomo avesse potuto riprendere. Finita la processione, si parlò variamente di questa cosa e molti allegavano diverse ragioni. Chi attribuiva quelli si impetuosi movimenti e atti strani a rogna, chi a pidocchi e chi al troppo bere e mangiare, e chi a altre cagioni; ma nessuno ci fu che al vero si apponesse già mai. E chi averebbe saputo indovinarla se non chi causata l’avea? Onde dopo non molto il Gonnella divolgò la cosa. Ora tra il marchese e sua moglie ci fu una lunga contesa. Ella a modo veruno non se ne poteva dare pace, e tuttavia il marchese Nicolò e il Gonnella le davano la baia; di modo che la buona signora non avea più ardire di volere comparare li poveri frati menori a li domenichini. Nondimeno ella sempre perseverò ne la divozione loro (1).

(1) La novella non risponde interamente all'argomento: ma com’è, è tuttavia compiuta, che ha nell’ultima riga la sua conchiusione [Ed.]. 

Novella XX - La origine della nobilissima casa di Savoia, che da stirpe imperiale discese - 1910
Novelle
Matteo Bandello

Lieta Festa del Corpus Domini 

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sabato 10 giugno 2023

Conquista la gloria l'elicriso

" ... Gioverebbe anche all'acquisto della gloria cingersi il capo con fiori d'elicriso e ungersi con unguento tolto da un vaso d'oro che non sia mai stato vicino al fuoco. L'elicriso ha il fiore color d'oro, le foglie bianche, il gambo sottile e duro, e la radice anch'essa sottile e a fior di terra. Preso con vino, se né servono contro il morso delle serpi; e bruciato e mescolato con mele per le scottature. Ma coteste cose, come già abbiamo dichiarato di sopra, sono imposture inventate da chi cerca accattar credito alla sua arte ... "

Historia plantarum - Libro IX
Teofrasto
Traduzione Filippo Ferri Mancini

Helichrysum italicum Roth, Gnaphalium italicum Roth, eterno, perpetuino, pianta del curry, semprevivo

Se nell'Historia plantarum di Teofrasto la corona Elichrisia a forma di  fiore di loto, che greci e romani usavano per adornare le statue degli dei, era citata simbolicamente come promessa di gloria futura per chi la portava sul capo; negli Idilli di Teocrito i fiori di elicriso erano metafora che indicava il colore dell'oro usato per dipingere una corona d'edera intarsiata sull'orlo di un vaso:

" ... Tu pure un fondo nappo inverniciato
Di grata cera avrai, di dóppia orecchia,
E nuovo sì, che olezza ancor d'intaglio.
D'intorno a i labbri in su l'ellera serpe,
Ellera tinta d'elicriso, e un tralcio
Gajo di crocee frutta a lei s'attorce .. ".

Idilli - I
Teocrito
Traduzione Giuseppe M. Pagnini

L'Elicriso, dal greco ηλίοχρυσος/Helichriusos o Helichrysos composto da ἥλιος/hélios - sole e χρυσόϛ/chriusós o chrysós - oro, nel mito deriva il suo nome dalla bionda ninfa Elichrisia che per prima colse il fiore dell'erba officinale, una seconda versione invece racconta che fu lei a essere trasformata in pianta dagli dei per porre fine alla sua sofferenza causata dall'amore non corrisposto verso un dio.

Lo Helichriso, il qual chiamano alcuni chrisanthemo, e altri amaranto, di cui coronano le statue de gli dei, ha il fusto diritto, bianco, verdeggiante, e fermo: su per il quale sono le frondi strette, simili all’abrotano, distinte tutte per intervalli. Produce la chioma ritonda, di colore d’oro, ridotta in ombrella, come di secchi corimbi pendenti, la radice è fottile. Nasce in luoghi aspri, e nelle rive, e letti dei fiumi. Giova la sua chioma bevuta con vino al morso delle serpi, alle sciatiche, alle distillationi dell’orina, e à i rotti: provoca i mestrui. Bevuta con vino melato risolve il sangue appreso nella vescica, e parimente nel ventre: bevuta medesimamente da digiuno in vino bianco inacquato al peso di tre oboli, prohibisce il catarro, che scende a capo. Mettesi nelle vestimenta, accioche le conservi dalle tignuole.

Nasce l'Helichriso abondantemente in Toscana ne i prati magri, per lì terreni non coltivati, per le colline, e similmente al magro in su la rena sassosa de i fiumi. Cresce all’altezza d'un gombito, con frondi d’abrotano, compartite per intervalli su per il fusto ben diritto, e salda: nelle cui sommità è una ombrella di color d'oro, simile nelle fattezze sue a quella del volgare millefoglio, e di quello eupatorio, che scrive Mesue. Il colore de i quali si conserva, da poi che son secchi i fiori, assai in lungo: e imperò il verno nel mancare de i fiori, s’usano i secchi dell’Helichriso, come quelli dell’Amarantho, il quale chiamiamo Fiorvelluto. Il Fuchsio ne i suoi dottissimi commentarj dell’historia delle piante lo dipinse con frondi simili all'echio, spinose, e con fiori veramente poco conformi al vero Helichriso, il quale non produce più d’una ombrella per fusto: e però credo che di gran lunga s’inganni. Scrissene Plinio à XXV cap. del XXI. libro, così dicendo. L'Helichriso, il qual chiamano alcuni chrisantemo, ha i fusti bianchi, e le frondi bianchiccie, simili à quelle dell’abrotano: la cui ombrella è piena di pendenti corimbi, che mai non si putrefanno.
Quando vien percossa dai raggi del sole, risplende come se foss d’oro: la onde si costuma d’incoronare gli Dei. Il che con grandissima diligenza osservò Tolomeo re d’Egitto. Nasce tra gli sterpi. Nasce anchora un’altra pianta in ltalia quale tengo io per una spetie d‘Helichriso per haver ella le foglie strette, e sottili e nelle sommità de gambi i fiori di color d’oro. Ma ben s’ingannano coloro che credono che quella pianta e che volgarmente si chiama stechade citrina sia il legittimo Helichriso di Dioscoride. Imperoche non produce egli altrimenti foglie così sottili, come d'abrotano,ma molto più lunghe, e più larghe biancheggianti, e pelose, e i gambi alti un palmo, e maggiori, lanuginosi, e come canuti, nelle cui sommità sono i fiori di color d’oro serrati à modo di bottoncini, raccolti come in un’ombrella di non ingrato odore, e la radice corta e nereggiante. Scalda la stecade citrina, disecca, appre, e asterge, come dimostra il suo amaretto sapore con un poco del costrettivo. La decottione de fiori, overamente l’infusione fatta nel vino apre l’oppilationi del Fegato. Il perché si da utilmente nel trabocco di fiele, e ne i principi di hidropisia. Ammazza la medesima beendosi i vermini dell’interiora. Giova tutta la pianta a tutti i difetti del cervello causati da freddi humori, cioè à i catarrhi flemmatici, agl'antichi dolori del capo, al mal caduco, alla paralisia, e altri simili malori tanto beendosene la decottione, quanto pigliandoli la polvere dell’herba con l’ossimele, overo con il Mele Rosado. Cotta nella liscia non solamente giova lavandosene il capo à tutti i su detti mali, ma leva via la farfarella, e ammazza li pidocchi. Dassi utilmente l'herba in polvere ò la sua decottione all’orina ritenuta, percioche purga le reni, e fa orinare. 
Mettonsi i fiori ne i fomenti che si fanno per l’oppilationi, e per i difetti della madrice. Dell’Helichriso fece Galeno sotto il nome d'amaranto nel VI. libro delle facutà de semplici, con queste parole. L’Amaranto ha virtù incisiva e diseccativa. Provoca la sua chioma bevuta con vino i mestrui: e credesi, ch’ella possa anchora disfare il sangue non solamente nello stomaco, ma anchora nella vescica: ma all’hora bisogna berla più presto con vino melato. Disecca bevuta semplicemente tutti i flussi, ma nuoce allo stomaco. Tutto questo disse Galeno. Ma havendomi l’Helichriso chiamato Amaranto tanto da Galeno, quanto da Dioscoride, ridotto à memoria l’Amaranto porporeo, chiamato da noi in Toscana Fiorvelluto, non mi pare di lasciare di non recitarne l’historia, e parimente le virtù: e massimamente sapendosi quanto sia grato alle fanciullette vederselo in su le finestre fiorito, per poterselo serbare secco il verno (percioche mai non perde il suo vivido colore) per le ghirlande, quando tutti i giardini sono privi di fiori. Questo parmi, che descrivesse Plinio all’ VIII. capo del XXI. libro, con queste parole. Manifestamente siamo vinti dall’amaranto. E egli più presto spica porporea, che fiore alcuno: e ancho esso è senza odore, È cosa maravigliosa, che ei si goda d'esser colto, per rinascer poi più bello. Fiorisce il mese d’Agosto, e dura per tutto l’autunno.
Il più stimato è l’Alessandrino, il quale si serba colto. Non è senza maraviglia, che dopo al disfiorire di tutti gli altri fiori, messo in mollo nell’acqua ritorna vivo, e fassene ghirlande il verno. La maggior sua natura è nel nome, così chi amato perché non s'infracidisce. Tutto questo dell’amaranto porporeo scrisse Plinio. È questo (per quanto dicono alcuni moderni) di natura frigido, e secco. Onde può il suo fiore bevuto giovare à i flussi stomachali. Ristagna i mestrui tanto rossi, quanto bianchi. Vale à gli sputi del sangue, e massimamente ove fusse rotta qualche vena nel petto, ò nel polmone. Chiamano i Greci l'Helichriso, Ηλιχρυσυν; i Latini, Helichrysum, e Heliochrysum.

Dioscoride a cura di M. Pietro Andrea Mattioli

Helichrysum italicum Roth, Gnaphalium italicum Roth, eterno, perpetuino, pianta del curry, semprevivo

L'Helichrysum italicum Roth, Gnaphalium italicum Roth dal greco γναφάλλιον/gnaphállion - fiocco di lana per la peluria che ricopre caule e foglie; popolarmente eterno, perpetuino, pianta del curry, semprevivo, in inglese everlasting, in spagnolo helichrysum e siempreviva, in tedesco immortelle e strohblume, in francese hélichryse e immortelle; è un arbusto perenne che appartiene alla famiglia delle Asteraceae, comprende circa 600 specie ed è originario dell'area mediterranea; raggiunge un'altezza che varia di 30 agli 70 centimetri, il fusto verde tenue e ramificato diventa legnoso in maturità; le foglie grigio cenerino alterne, sessili e eretto-patenti, sono lanceolate, lineari, tomentose, più lunghe alla base decrescono verso l'alto; i fiori gialli, si sviluppano tra maggio, giugno e agosto all'apice della pianta, sono tubulari raccolti in corimbi che possono assumere una forma ovale o rotonda; secchi conservano il loro colore per anni e sono molto apprezzati nelle composizioni floreali. I frutti ovato-oblunghi sono degli acheni.

Nomi. Greci, ηλιυσον. Lat. Helichrisum. Ital. Helicriso,
Forma. Cresce all'altezza d'un gombito con frondi d'abrotano compartite per intervalli su per il fusto ben dritto, è saldo: nelle cui sommità è un’ombrella, di color d'oro simile nelle fatezze sue a quella del volgare millefoglio, e di quell'eupatorio che scrisse Mesue. Il color dei quali si conserva doppo che sono secchi i fiori, assai in lungo, è imperò il verno nel mancar dei fiori si usano i secchi dell'Helicriso: come quello dell'amaranto, il qual chiamiamo fior velluto. La radice è sottile.
Loco. Nasce in luoghi aspri, e nelle rive, e letti de fiumi.
Qualità. Ha facultà incisiva, e diseccattiva, e è caldo, e secco.
Virtù. Di dentro. Giova la sua chioma bevuta con vino al morso delle serpi, alle sciatiche, alle destillationi dell'orina, e ai rotti: provoca i mestrui bevuta con oximelle e bevuta con vino melato risolve il sangue appreso nella vescica, e parimente nel ventre: bevuta medesimamente a digiuno con vino bianco inacquato al peso di tre oboli, prohibisce il catarro, che scende dal capo. Disecca tutti i flussi, e è allo stomacho inimica. I fiori cotti in vino cacciano fuori i lumbrici. Il seme pesto, e preso col vino moltiplica il latte.
Virtù. Di fuori. Mettesi l'Helicriso nelle vestimenta acciò che le conservi dalle tignole. Applicato con mele giova alle cotture del fuoco. Cotto nella liscia ammazza i lendini, e i pidocchi.

Herbario Novo
Castore Durante

L'elicriso contiene arzanolo; acetofenoni; acidi polifenolici come acido clorogenico, acido caffeico; carotenoidi; cumarine; fitosteroli; flavonoidi come apigenina, gnafalina, kaempferolo, luteolina, naringenina, quercetina, rutina, tiriloside; ftalidi; lipidi come i santinoli*; monoterpeni come acetato di nerile, α-pinene limonene, linalolo, nerolo con i suoi esteri acetato e propionato; sequiterpeni come l'α–selinene, β-selinene, γ-curcumene; sali minerali come il calcio, il magnesio, il potassio, il silicio.

santinoli* = Prendono il nome da Leonardo Santini padre degli studi moderni sull’elicriso. Fu lui a provare l'atossicità di quat'erba officinale per l'uomo, somministrando con assoluta sicurezza ai suoi pazienti quel decotto che Castore Durante prescriveva per le bronchiti del bestiame, scoprì la sua utilità per la cura della dermatite eczematosa e della psoriasi e l'effetto cortisonico dello sciroppo.

Ha proprietà analgesiche, antiallergiche, antibatteriche, antinfiammatorie, anticatarrali, antimicotiche, antimicrobiche, antiossidanti, antiproliferative, antistaminiche, antitussive, antivirali, astrigenti, deodoranti, digestive, espettoranti, insetticide.
Nella medicina popolare in infuso o decotto allieva l'asma, il catarro, la laringite, la tracheite, la tosse, e agevola la respirazione, aiuta la digestione e stimola l'attività del fegato, favorisce il sonno ed è apprezzato anche da chi soffre di reumatismi e varici; in impacchi lenisce le infiammazioni e le irritazioni della pelle, eczemi, psoriasi, ferite, riattiva la circolazione e risulta efficace contro le emorroiddi e i geloni.

Helichrysum italicum Roth, Gnaphalium italicum Roth, eterno, perpetuino, pianta del curry, semprevivo

" ... la sera del 23 giugno, la vigilia di San Giovanni, i ragazzi usavano accendere un falò in una zona periferica della città, situata su posizioni elevate. Uno dei più grandi falò si accendeva nell'area ancora disabitata tra le attuali vie Faveria e Stiglich, Tesla e Rakovac. In questo spiazzo a forma quadrangolare, la "mularia" portava rami secchi, vecchie canne sottili dagli orti vicini, vecchie tavole, pali, bastoni e una gran quantità di elicriso, raccolto nei boschetti vicini e trasportato con un carretto...
... L'elicriso bruciato diffondeva un buon profumo. Quando il fuoco volgeva al termine, i ragazzi e anche gli adulti saltavano sopra i carboni accesi e spesso si univano anche le ragazze. Erano salti di gioia, di speranza e di desideri che si sarebbero avverati, ma che talvolta davano luogo a piccoli incidenti, come ad esempio a scottature o a gonne bruciate... "

Quaderni del CRS Rovigno

Nel linguaggio dei fiori l’elicriso rappresenta il desiderio di essere ricordato, l'immortalitàun rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di san Giovanni, entrambi i numeri sono sacri.

" ... Il pittore ricevette l'elicriso. Il poeta ricevette l'elicriso. Anche il medico ricevette l'elicriso.
Appose l'elicriso sull'abito del pittore del poeta e del medico ed essi lo toccarono con la illibatezza usata per toccare le immagini e le carni del male e del bene.
- L'elicriso non è caduco - disse - l'elicriso sembra eterno! ... "

Le predizioni - Questo e altro
Arrigo Bugiani

Helichrysum italicum Roth, Gnaphalium italicum Roth, eterno, perpetuino, pianta del curry, semprevivo

E infine una curiosità per gli Smigliani e per chi li conosce:

D'origine slava, il cognome Smigliani nasce da un adattamento del cognome slavo Smiljanic, che, per tramite del suffisso -ic, assume il significato di figlio di Smiljan - nome tipico della tradizione slava (soprattutto di quella balcanica). A questo proposito, va notato che Smiljan - Smiljana al femminile - è un classico nome di natura fitonimica (ispirato ai nomi delle piante), come ne esistono diversi anche in Italia (a titolo d'esempio, si pensi ai diffusissimi Rosa e Margherita): la radice di questo nome, in effetti, va ricercata nello slavo smilje, termine che, in botanica, allude a una pianta dal nome elicriso (helichrysum), anche nota come perpetuina - alcune traduzioni, a dire il vero, prendono in considerazione anche altre piante della famiglia delle Asteraceae, sebbene la più comune alluda proprio all'elicriso. Ora, prima di concludere, si può aggiungere un'ultima curiosità riguardo a questo cognome: in Croazia, Smiljan è anche il nome di una cittadina della regione della Lika, nota soprattutto per aver dato i natali allo scienziato Nikola Tesla (Smiljan, 1856 - New York, 1943), vero e proprio luminare nel campo della scienza.

Origine e Storia dei cognomi italiani
Ettore Rossoni

N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

Brucia con le coccole il legno di ginepro
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