sabato 21 giugno 2025

Madre Terra al solstizio d'estate

Varrone nel suo Dell'Agricoltura spiega che il tempo è di due maniere, uno segue il ciclo annuale del sole e l'altro il ciclo della luna. Il ciclo solare è diviso in quattro stagioni di tre mesi ciascuna e dopo la primavera:

"Nell’ estate bisogna far le raccolte;"

Dell'agricoltura - libri tre
Marcus Terentius Varro
raduzione Gian Grolamo Pagani

Solstizio d'estate

Con questa frase semplice e diretta, ci restituisce un’immagine nitida del mondo agricolo romano. L’estate, nel calendario contadino, era il tempo in cui l'uva iniziava a riempirsi e  il lavoro della semina si traduceva finalmente in grano, farro, fieno, frutti, cibo per l’inverno e sostegno per le famiglie. Non era una pausa o un lusso, ci si svegliava all’alba e ogni sforzo, ogni cura, ogni attesa si traduceva in qualcosa da raccogliere al ritmo del canto delle cicale, si tornava a casa al tramonto avvolti dalla polvere dei campi, carichi di fatica con le mani sporche e stanche, ma soddisfatti e riconoscenti.
E il solstizio d’estate, quando il giorno è più lungo e il sole per un singolo istante è al suo culmine, segna il passaggio astronomico in cui il tempo non si accelera né si ferma, ma si compie; misura di ciò che è cresciuto e di ciò che deve essere conservato; è il racconto della relazione simbiotica che coinvolge l'uomo e Madre Terra  in un patto silenzioso custode delle loro reciproche promesse.

Lieto solstizio e felice estate!

Per ulteriori informazioni



Acqua d'inverno

mercoledì 18 giugno 2025

Si spezza e non si piega l'erica arborea

 "I Greci chiamano « erica» un arbusto non molto diverso dalla calluna, ma nel colore ed in certa misura nelle foglie somigliante al rosmarino. Dicono che combatte il veleno dei serpenti."


Storia Naturale – Libro XXIV
Plinio il Vecchio
Traduzione Marco Fantuzzi

L'erica arborea; dal greco ἐρείκη/ereíkē latinizzato in erīca, probabilmente deriva del verbo ἐρείκω/ereiko - fenderefrangerespezzare, per la facilità con cui si spezzano i suoi rami e per la sua proprietà fitoterapica che rompe i calcoli ai reni e alla vescica; più il latino arbor - albero per l'aspetto morfologico; cresce tra le rocce assolate della macchia mediterranea, lenta e tenace, con rami sottili e fiori bianchi che da Sud a Nord, legati al contesto climatico, accompagnano gradatamente i passaggi stagionali.
I suoi rami diventano scope nel mondo contadino come lo diventano quelli della calluna vulgaris, di cui vi ho parlato in Il brugo in brughieracugina e non sorella dell'erica arborea, appartenente alla stessa famiglia ma non allo stesso genere. 
Raccolta in fascine, nelle zone rurali della Calabria, della Liguria, della Sardegna e della Toscana, viene usata ogni 17 gennaio, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, per accendere i grandi falò da cui sale in cielo un fumo profumato atto a purificare, a proteggere il bestiame, e a salutare l’inverno.
La sua radice forniva carbone ai fabbri e con il suo legno duro e resistente al fuoco si intagliano pipe e utensili. Il nettare dei suoi fiori invece permette alle api di produrre un ottimo miele scuro e aromatico.
In Irlanda e in Scozia viene inserita nei bouquet delle spose come portafortuna perché si racconta che Malvina, figlia del bardo celtico Ossian, sposò il valoroso guerriero Oscar che morì in battaglia e il messaggero che le diede il triste annuncio le portò un mazzo di erica viola, ultimo dono del suo amato. Sconvolta dal dolore, Malvina pianse sulle scogliere e quando le sue lacrime toccarono i fiori, questi si tinsero di bianco. Da allora, si crede che l’erica bianca porti fortuna a chi la trova, perché nasce dal dolore trasformato in amore eterno.
La storia di Malvina e dell’erica bianca nasce in epoca romantica, tra la fine del Settecento e l’Ottocento, è legata al ciclo poetico attribuito a Ossian, un presunto bardo celtico le cui opere furono in realtà composte nel XVIII secolo dal poeta scozzese James Macpherson che pubblicò i “Canti di Ossian” spacciandoli per traduzioni di antichi testi gaelici mentre erano un parto della sua creazione letteraria.

"... Oscar si distinse per molte gloriose azioni, da lui fatte ora seguendo il padre, ed ora comandando da se. Fu egli che diede una rotta a Carausio, che, ribellatosi dagl'imperatori romani, s'era impadronito della Brettagna. Sposò egli Malvina, figlia di Toscar, famoso guerriero caledonio, ma non n'ebbe prole. Morì Oscar nel fiore della sua età, e della sua gloria, essendo stato ucciso proditoriamente da Cairbar, signor di Atha, che nell'ultima spedizione di Fingal in Irlanda, sotto colore di generosità, l'aveva invitato al convito. Quest'acerba morte fu un colpo fatale al cuore di Ossian; ed è spesso il soggetto de' suoi lamenti poetici. Non fu meno dolorosa la morte di Oscar alla sua sposa Malvina, da cui era teneramente amato, e che nel resto della sua vira non fece che piangerlo; avendo per pio conforto il trattenersi con Ossian ..."

Canti di Ossian - 1760
James Macpherson
Traduzione Melchiorre Cesarotti

L'Erica arborea, può raggiungere un'altezza che varia tra i 60 cm e i 6 metri, originaria dell'area mediterranea si estende dall'Africa settentrionale e centro-orientale, all'Europa meridionale e alle Isole Canarie, appartiene alla famiglia delle Ericaceae e il suo genere comprende circa 600 specie di cui 8 spontanee in Italia; brezo arbóreo in spagnolo; tree heath in inglese; baumheide in tedesco; bruyère arborescente in francese; popolarmente conosciuta come brentòlo, grecchia, scopin; ciocco, Radica, scopa in Calabria; bruciafiamme in Campania; erica da carbone, scopa selvatica nel Lazio; radica, scopa, scopone da bosco in Liguria; iddòstra, kastannàrgiu màsciu, mascu, scopa, tùvara in Sardegna; scopa scopa da bachi, scopa maggiore, scopone in Toscana; erica maggiore, scopina in Umbria; ha il fusto marrone chiaro, eretto e ramificato, è a maturità legnoso con corteccia; le foglie verde scuro dalla consistenza coriacea e sempreverdi, piccole e aghiformi sono disposte da tre a quattro in verticilli; i fiori bianco rosati, piccoli, peduncolati e campanulati sono riuniti in infiorescenze a grappolo; i semi sono contenuti in piccole capsule e vengono dispersi dal vento per la loro leggerezza.

Erica arborea

"La erica è uno arbuscello ramuscoloso, simile al tamarigio, ma molto piu picciolo. Vituperasi il mele, che fanno le api, che si pascono del suo fiore. Le frondi sue, & similmente i fiori medicano, applicati à modo dimpiastro, le morsure de i serpenti.

E l'Erica, arbuscello proprio dell'Asia, & della Grecia. Et secondo che dicono gli scrìttori, fiorisce ella due volte l'anno: onde si dice, che di tutte le piante salvatiche è l'Erica, la prima, & l'ultima, che fiorisca. Scrissene Plinio al IX. capo del XIIII. libro, con queste parole: Chiamano Erica i Greci uno arboscello non molto differente dal tamarigio, di colore di rosmarino, & quasi disimili foglie. Scrivono esser questa valorosa molto contra i serpenti. Queste sono parole di Plinio, le quali non sono però di tanta chiarezza, che si possa dirittamente affermare, qual pianta sia in Italia, che legitimamente ne rappresenti l’Erica, & massimamente essendo ella descritt a da tutti con la medesima brevità. Quantunque questa, di cui è qui la figura, altro non mi paia rappresentare, che l'istessa Erica. Ella è veramente pianta fruticola, di colore di rosmarino, con foglie quasi similì al tamarigio, à cui la raffomiglia Dioscoride. Fiorisce appo questo due volte l’anno, la primavera ciò è, & l'autunno: il che è propria natura dell'Erica se si dee prestar fede a gli scrittori di questa facultà. Oltre di ciò si vede, che le api si pascono de suoi fiori tutto il tempo dell'autunno: imperoche le durano ifiori fino al principio del verno. Onde chiamarono gli antichi il mele, che fanno le api in questo tempo, ragionevolmente Ericeo, come testifica Plinio, il quale dice, che si fa dopo le prime pioggie dell'autunno, quando l'Erica sola fiorisce nelle selve. Più oltre, scrivendo Dioscoride nel terzo libro, che il Cori produce le foglie simili all'Erica, ma minori, & vedendosi, che quella del tutto se gli rassomiglia, tanto più ne inchina l'animo a credere, che ella sia l'Erica descritta da Dioscoride. Da queste ragioni adunque persuaso, ho stimato non esser fuor di proposito di porre qui questa pianta per l’Erica. Questa nasce copiosissima intorno à Goritia, & specialmente per tutta quella campagna, che tira dalla villa di Santo Andrea per andare à Merni verso il fiume di Vipao. I paesani chiamano questa pianta Grione. Ma in Toscana cresce molto più grande, & se ne fanno le scope da spazzare le case: & però volgarmente si chiama l'Erica, Scopa. Marcello interprete di Dioseoridefi crede ingannandosi di gran lunga , che Errore di Marcello interprete di Dioscoride si crede ingannandosi di gran lunga, l'Erica sia una spetie di ginestra. Un'altra Erica, la quale non manco forse, se non più della sopradetta, si confa con la descrittione, e, mi ha nuovamente mandata l'eccellentissimo medico messer Gabriel Falloppia Modenese da Padova, ove con sommo honore egli bora legge publicamente l'anatomia, & la materia de semplici. Di questa anchora diamo hor qui la pittura, accioche ogniuno resti di noi meglio sodisfatto, & possa appigliarsi a quella, che più gli piacerà.
Ne mi par di restar di dire che nasce una pianta ne i Monti di Boemia, à i confini di Silesia, & di Lufatia, ove nascono i fonti che fanno il Fiume chiamato Albis, la quale si diffonde per largo spatio per terra, folta & bassa: le cui foglie sono quasi simili all'Erica della prima spetie più volgare: ma produce con tutto ciò anchora le bacche così grosse, come quelle del Ginepro, ma tenere, & dentro molli & viscose di colore come è quello delle prune scorticate. Ha i rami legnosi che nel rosso bruneggiano, vencidi, & arrendevoli. I fiori non vidi io già mai, ma solamente vidi & rìcolsi la pianta con il frutto nella fine del mese d'agosto: & per non saperne altro nome non ho saputo chiamarla altrimenti, che Erica baccifera. Et honne anchor qui posto la figura per metterla anchora in consideratione delli altri Semplicisti. Scrisse dell'Erica brevemente Galeno al VI. delle facultà de semplici, così dicendo: L’Erica ha virùu di digerire per traspiratione. nel che è veramente l'uso delle frondi, & del fiore. Chiamano i Greci la Erica, ἐρείκη: ì Latini Erica: gli Spaguoli Queiro: i Tedeschi Heyden: i Francesi Bruyere."

Dioscoride a cura di Pietro Andrea Mattioli

Contiene carboidrati come cellulosa, amido e glucosio; fenoli tra cui flavonoidi come apigenina, kaempferolo, quercetina; e tannini come tannini condensati; glucosidi come glucosidi fenolici; lipidi come acidi grassi insaturi e steroli vegetali; proantocianidoli come proantocianidine; proteine come enzimi e proteine strutturali; sali minerali come calcio, magnesio, potassio; terpeni come monoterpeni e sesquiterpeni; vitamina C; e ha proprietà antinfiammatorie, astringenti, antiossidanti, antisettiche, diuretiche.

Erica arborea

"... Erica, designata col suo nome de’ giorni di lavoro, si chiamerebbe, nè più nè meno, una Scopa. Umile, modesta, gentile, se ne sta contenta alla mezzana statura d’un arboscello, e mette fuori lungo i rami, a migliaia di migliaia, certe foglioline corte, sottili, riunite a mazzetti come aghi acuminati, ora intere, ora dentate, articolate sul fusto, e verdeggianti perennemente sulla pianta. Da quella specie di roveto spuntano certi fiorellini pusilli, divisi in cinque o sei lembi sul calice allungato, quasi campanule microscopiche o glossinie rimpiccolite, tinti de’ più vivaci colori, ora sparsi qua e là sul cespuglio, ora disposti a spiga o a ciuffetto, ora rizzati per l’insù, ora penduli dalla cima del ramo, ma sempre graziosi, e variati di forma e di sfumatura. Quest’Erica vive nei boschi, quella si piace nel folto delle siepi, quell’ altra cresce intorno a’ luoghi abitati, l'Uva d’orso si arrampica sui dirupi, l'Airella cerca il silenzio della selva, l'Andromeda pende sul nudo sasso nelle piagge deserte della Lapponia.
Ho fatto amicizia colle Eriche che hanno sempre una fisonomia allegra e spigliata, un’aria di malizietta impertinente e di procacità disinvolta, che mette di buon umore solamente a guardarle. Si ficcano dappertutto, e sanno tutti i segreti e tutti gli scandalucci del mondo vegetabile, e me ne hanno raccontate delle belle sul conto delle piante grasse; che stanno laggiù sotto la parete del tepidario de’ Nepenti!..."

La festa dei fiori, ricordo dell'Esposizione Internazionale d'Orticultura in Firenze -1874
Pietro Francesco Leopoldo Coccoluto Ferrigni 

Nel linguaggio dei fiori, l’erica bianca rappresenta la buona sorte, la protezione, la purificazione e la serenità, un rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di San Giovanni entrambi i numeri sono sacri.


N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

Per chi è interessato
Brucia con le coccole il legno di ginepro

lunedì 16 giugno 2025

Il brugo in brughiera

"... Una falce di luna occhieggiava ogni tanto dagli squarci fra le nuvole galoppanti e, al suo pallido chiarore, scorgevo dietro gli alberi una cresta sfrangiata di rocce e la lunga curva bassa della malinconica brughiera ..."

Il mastino dei Baskerville
Conan Doyle
Traduzione Nicoletta Rosati Bizzotto

la Calluna vulgaris deve il suo nome al greco καλλύνω/kalliunō - pulire, spazzare, per l'abitudine di costruire le scope con i suoi rami, e al latino vulgaris genitivo di vulgus - comune, diffuso, per la sua ampia presenza in natura.
È tra le piante più conosciute e viste della Scozia dove è considerata uno dei simboli nazionali per eccellenza. 
In Italia diventa familiare quando la chiamiamo brugo con un immediato rimando alle sconfinate brughiere scozzesi colorate dal viola purpureo dei suoi fiori. 
La leggenda narra che Dio esplorando le spoglie colline delle Highlands decise di trovare una pianta che potesse rendere più gradevole il paesaggio; la quercia, la rosa e il tasso rifiutarono l'offerta, l'unica ad accettare fu la calluna vulgaris, la cosiddetta erica scozzese che in cambio della sua disponibilità, oltre alla bellezza e alla forza, ricevette la capacità di resistere in ambienti ostili.
Un racconto altomedievale ci dice che l'antico popolo dei Pitti, confederazione di tribù stanziate nella Scozia orientale e settentrionale tra la tarda età del Ferro e l'Alto Medioevo, usasse i fiori del brugo per la produzione di un'ottima birra aromatica, dolce e potente; la ricetta, gelosamente custodita, non fu rivelata nemmeno per salvarsi la vita, quando l'antico popolo venne sconfitto in battaglia da un famigerato re scozzese. 
A rendere celebre questa storia fu Robert Louis Stevenson che nel 1890 scrisse la ballata della Birra d'Erica:

Calluna vulgaris - Brugo

"Dalle belle campane dell'erica
preparavano una bevanda tanto tempo fa,
era molto più dolce del miele,
era molto più forte del vino.
La prepararono e la bevvero,
e rimasero in un giaciglio benedetto
per giorni e giorni insieme
nelle loro dimore sotterranee.

Si levò un re in Scozia,
terribile per i suoi nemici,
colpì i Pitti in battaglia,
li cacciò come caprioli.
Per miglia di monti rossastri
li inseguì mentre fuggivano,
e sparse i piccoli corpi
dei morenti e dei morti.

l'estate giunse in campagna,
rosso era il fiore dell'erica;
Ma il modo in cui si preparava la birra
nessun vivente lo sapeva più.
In tombe simili a quelle dei bimbi
Su molti crinali montani,
i birrai dell'erica
giacevano tra i morti.

Il re nella brughiera rossa cavalcava
in un giorno d'estate;
E le api ronzavano, e i corrieri
piangevano lungo la strada.
Il re cavalcava, ed era arrabbiato,
scuro il ciglio, pallido il volto,
a regnare in una terra di erica
senza avere la birra d'erica.

Fu una fortuna che i suoi vassalli,
cavalcando liberi nella brughiera,
inciamparono su una pietra caduta
sotto cui si celavano creature furtive.
Bruscamente strappati al loro rifugio,
non dissero una sola parola:
un figlio e il suo vecchio padre,
ultimi del piccolo popolo.

Il re sedeva in alto sul suo destriero,
guardava i piccoli uomini;
E i due piccoli e bruni
restituivano lo sguardo al re.
Li condusse giù verso la riva;
sul margine vertiginoso -
"Vi darò salva la vita, feccia,
se rivelerete il segreto della bevanda".

Là stavano il figlio e il padre
E guardavano in alto e in basso;
L'erica era rossa intorno a loro,
il mare ruggiva sotto.
E si levò a parlare il padre,
acuta la voce da udire:
“Ho una parola da dire in privato,
Una parola per l'orecchio reale."

“La vita è cara agli anziani,
E l' onore una piccola cosa;
Venderei volentieri il segreto",
Disse il Pitto al re.
La sua voce era piccola come quella di un passero,
acuta e meravigliosamente chiara:
“Venderei volentieri il mio segreto,
solo mio figlio temo.

“Poiché la vita è una piccola cosa,
e la morte non è nulla per i giovani;
E non oso vendere il mio onore
Sotto gli occhi di mio figlio.
Prendilo, o re, e legalo,
e gettalo nell'abisso;
Ed è io racconterò il segreto
che ho giurato di mantenere”.

Presero il figlio e lo legarono,
collo e calcagni in un laccio,
un ragazzo lo sollevò e lo fece oscillare,
lo scagliò lontano con forza,
e il mare inghiottì il suo corpo,
come quello di un bimbo di dieci anni; -
e là sulla scogliera stava il padre,
l'ultimo dei piccoli uomini.

“Veritiera era la parola che ti dissi:
solo mio figlio temevo;
Perché dubito del coraggio della fronda
che la barba ancora non ha.
Ma ora vana è la tortura, il
fuoco mai servirà a nulla:
qui muore nel mio petto
il segreto della birra d'erica."

Birra d'Erica
Robert Louis Stevenson
Liberamente tradotto da Me Medesima

Per produrre oggi una birra d'erica scozzese artigianale si può preparare un infuso con i suoi rametti e con le cime fiorite per estrarre gli aromi floreali e resinosi, si aggiunge al mosto ottenuto con il malto d'orzo e l'acqua e si lascia bollire; quando il composto è freddo si unisce il lievito e si lascia fermentare per 1 o 2 settimane, allo scadere del tempo si filtra, si imbottiglia e si lascia riposare per un mese.

"... E un posto stupendo, la brughiera», disse girando lo sguardo sulle colline ondulate, flutti di verde che si rincorrevano, con creste di granito frastagliato che sembravano schiumare in onde fantastiche. «Non ci si stanca mai della brughiera. Non può immaginare quanti meravigliosi segreti nasconda. Così vasta, così desolata, e così misteriosa.» ..."

Il mastino dei Baskerville
Conan Doyle
Traduzione Nicoletta Rosati Bizzotto

I rami del brugo rilasciano un profumo aromatico e resinoso che tende ad allontanare gli insetti; oltre che per fabbricare le scope erano usati anche per coprire i tetti e le lettiere, per riempire i materassi e per alimentare i fuochi nei camini.
I fiori invece sono apprezzati dagli insetti impollinatori e le api producono un miele di brugo scuro e resinoso molto buono.

Calluna vulgaris - Brugo

" Brugo, Erica, lat. Erica, fr. Bruyere. Vi sono molte specie di brugo. Altri si tengono umili, pochi palmi alti da terra, altri s'innalzano in piccoli arboscelli. Altro conserva il suo verde tutto l'anno, altro perde le foglie. La maggior parte de’ brughi nascono spontanei ne’ terreni più cattivi e nelle sabbie più aride. Nei terreni bassi ed umidi prosperano con maggior forza, e per via del seme e per via delle radiche si propagano in modo che riesce molto difficile lo estirparli di dove hanno preso possesso. Fioriscono in giugno e luglio e fanno vedere piccoli fiori campaniformi e diversamente coloriti secondo le specie. Pernicioso è il brugo alla maggior parte degli alberi giovani. Le di lui radiche assorbiscono una gran copia di sugo e diseccano moltissimo il terreno; nè si dirazza che col continuo tormentarlo col lavori dopo averlo distrutto in gran parte col fuoco; il che si fa sul principiar d’autunno. Piglia fuoco facilmente perché seccato dal sole estivo. In questa operazione deve ben avvertirsi di non attaccar fuoco ai vicini boschi. Non è cosa nuova che due mila e più pertiche di selva siansi incendiate nel dar fuoco alle brughiere. Perciò deve prendersi per quest’effetto un giorno sereno acciò l’acqua non vi colga a mezzo il lavoro e che il vento non soffi verso la foresta. Si deve circondar il luogo che vuolsi ardere con un fossato profondo un piede e largo 50. braccia, o quanto possa arrestare l'impeto della fiamma. La terra si rovesci tutta sopra una parte, e l’erba che sterpasi si aduna tutta in una fila acciò dopo seccata alcuni giorni al sole accendendosi dal contadino comunichi il fuoco ai rimanente. Se poi con tutte queste precauzioni il fuoco uscisse da’ suoi confini, coll’acqua s ella è vicina procurasi di estinguerlo, e se l'acqua; manchi ove si vedono i vortici maggiori del fuoco si soffocano colla terra . V. Stoppia. Estinto il fuoco si metta in opera l’aratro, si semini poscia dell’avena o segala, la quale vi pagherà la spesa fatta nell’abbruciare i brughi: Colta questa, si lavori di nuovo per voltare al sole le radiche rimaste in terra acciò periscano, poi vi si piantino alberi in fila per poter continuare i lavori. L’incendio non basta per far che il brugo si stermini. Questa pianta per cattiva che sia in qualche occasione merita di essere coltivata. Il suo verde, la varietà de’suoi fiori, il contrapposto di questi colle sue foglie sono causa che si ammetta nei giardini. Si pigliano allora de’ rampolli o barbette, o si trasporta la pianta stessa con tutta la sua zolla di terra. Serve questa pianta a molt’usi.
1. Somministra co’ suoi fiori abbondante il mele alle api; consiglierei non per tanto a tener lontana tal sorte di pianta dagli apiari somministrando essa un mele troppo giallo e fluido il quale per tal cagione si stima poco.
2. Si fanno di questa i boschetti alli vermi da seta acciò ivi montino a far la galletta o bozzolo.
3. Serve ai pellari spolverizzata per acconciare i vitelli.
4. Serve comunemente per far delle scope.
5. Con essa riscaldansi i forni.
6. Del carbone della radica si fa carbone da ferraj, che si estingue subito che cessa il soffiare del mantice, ma scoppietta molto.
7. In Danimarca col brugo si fa una specie di birra che è piacevole al gusto, ed alla quale s’attribuisce una virtù cordiale.
8. Ove è scarsa la paglia serve di letto a’ buoi ed alle pecore ed anche ai pastori purché spesso si muti. Benché sia generalmente vero, che queste piante di brugo sieno nemiche a teneri piantoncelli, non ostante un saggio osservatore ha notato, che alcune ghiande sparse qua e là a caso satina brughiera sufficientemente sono cresciute, quindi arguisce che se si piantassero con qualche attenzione vi vegeterebbono come in buona terra e feconda. Crescono nelle brughiere anche i pini, e dove la betula è a portata di crescere non teme il brugo e vegeta prosperamente in mezzo ad esso. Sotto l’ombra delle betule si possono allevare gli alberi che della brughiera devono formare la foresta. II brugo vicino alla betula non suol prosperare. In Lombardia il brugo comune è della specie più piccola e serve soltanto ad alcuni de’ succennati usi. Nel Genovesato sulle montagne e nei piani confinanti colla Toscana crescono i brughi a tal segno che della loro radica si fanno manichi di coltelli, scatole ed altre chincaglie. Questa radica è di un colore rosso bruno, bene venato, e che piglia benissimo il liscio. Cresce anche molto nelle selve della campagna di Roma e vicini monti e se ne fanno fascine per forni. Sotto questo nome di brugo vengono ancora molte erbe inutili che nascono spontaneamente ne’terreni incolti."

Dizionario universale economico rustico

La calluna vulgaris raggiunge i 40-50 cm di altezza, originaria dell'Europa settentrionale e centrale, appartiene alla famiglia delle Ericaceae ed è l'unica specie del suo genere; brezo in spagnolo, common heather e ling in inglese, besenheide in tedesco, bruyère commune e fausse bruyère commune in francese; conosciuta popolarmente come bigure, brugo, erba brughiera, regogna, ridusiela; in Liguria come brigorina a Porto Maurizio, briigastellu in Valle di Polcevera, brugastellu a Mele, buschi a M. Ermetta, costu neigru a Cogorno, grixiùn in Valle d’Arroscia; ha il fusto legnoso e ramificato, intrecciato eretto o prostrato, le foglie verde scuro e sempreverdi, piccole, sessili e aghiformi sono disposte su 4 file longitudinali lungo i rami, i fiori viola purpurei, sessili, piccoli e campanulati, sono raccolti in infiorescenze a spiga, fiorisce tra fine estate e autunno, i semi sono contenuti in capsule suddivise in 4 logge.
Contiene carboidrati come cellulosa, oligosaccaridi e pectina, diterpeni; fenoli quali Flavonoidi come catechine, flavonoli, miricetina; e tannini come tannini idrolizzabili; glucosidi come arbutina; lipidi come acidi grassi e lipidi polari; proantocianidoli come procianidine; proteine come enzimi e proteine strutturali; sali minerali come calcio, ferro e magnesio; vitamine del gruppo B e C.
Ha proprietà antibatteriche, antinfiammatorie; astringenti; diuretiche, sudorifere.

Calluna vulgaris - Brugo

"... Le ultime strisce purpuree erano svanite ad occidente e la notte era scesa sulla brughiera. Poche stelle brillavano debolmente nel cielo violaceo ..."

Il mastino dei Baskerville
Conan Doyle
Traduzione Nicoletta Rosati Bizzotto

Nel linguaggio dei fiori il brugo rappresenta la solitudine e la malinconia, un rametto puù andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di San Giovanni, entrambi i numeri sono sacri.

N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

Per chi è interessato
Brucia con le coccole il legno di ginepro

sabato 14 giugno 2025

Le fauci dell'arcangelo porpora

"Anche quella specie di ortica che abbiamo chiamato lamio, la più dolce, dalle foglie che non pungono, con un pizzico di sale cura le contusioni, le ammaccature, le bruciature, le scrofole, le enfiagioni, la gotta, le ferite. Ha in mezzo alla foglia una macchia bianca, che cura i casi di fuoco sacro."

Storia naturale Libro XXII
Plinio il Vecchio
Traduzione Anna Maria Cotrozzi

Plinio il Vecchio è il primo naturalista a introdurre il genere Lamio che deriva dal greco λαιμός/laimós - gola, per la conformazione del fiore che sembra inghiottire l'insetto che preleva il nettare al suo interno, e ciò lo lega al mito di Lamia figlia di Belo, regina della Libia e amante di Zeus, punita da Era che in preda all'ira gli uccide i figli condannandola a non dormire per farle rivivere ogni notte il tormento della loro perdita; Giove per aiutarla le concede il dono di levarsi e di rimettersi gli occhi, ma il dolore che prova non si attenua, la dilania ed è tale e tanto da farla impazzire e la induce a divorare i figli altrui.

Mi sembra interessante farvi notare, anche per onor di cronaca, che nel corso del tempo la figura di Lamia subisce molte evoluzioni: durante l'età ellenistica tra il IV e I secolo a.C. diventa un mostro metà donna e metà serpente marino che oltre ad attaccare i bambini seduce gli uomini. Nell'età romana e nella tarda antichità tra il I e il V secolo d.C. la sua immagine si fonde con quella delle striges - strigi e si sviluppa l'aspetto di predatrice mutaforma notturna con tratti vampireschi che coinvolge in un gioco di eros e morte; san Girolamo tra il 382 e il 405 d.C. nel tradurre la Vulgata, in Isaia 34,14, si serve di Lamia per indicare in latino l'ebraica Lilith ed è così che crea un ponte linguistico tra le due che condividono gli stessi aspetti simbolici diventando lo specchio l'una dell'altra - “Et occurrent daemonia onocentauris, et pilosus clamabit alter ad alterum; ibi cubavit lamia, et invenit sibi requiem.” - "Le bestie del deserto vi s'incontreranno coi cani selvatici, il satiro vi chiamerà il compagno; quivi lo spettro notturno farà la sua dimora, e vi troverà il suo luogo di riposo."
Nel Medioevo tra il VI e il XV secolo d.C. viene identificata come demone stregonesco, succube, e spauracchio infantile. Nell'età moderna tra il XVIII e il XIX secolo la ritroviamo nella letteratura gotica e romantica come creatura vampirica erotico demoniaca e nell'età contemporanea tra il XX e il XXI secolo assume il ruolo di vittima, di mostro, di seduttrice letale ed è usata come simbolo del potere femminile.

Lamio purpureo - Arcangelo porpora

"... Anche la natura si manifesta in alcune creature in modo straordinario, come nel caso di un animale chiamato lamia, che ha una testa da fanciulla e un corpo da pesce mostruoso; quando questa bestia lamia incontra un uomo, prima lo inganna con il suo volto femminile e lo fa sdraiare accanto a lei finché può, e quando lui non riesce più a resistere alla sua lussuria, allora lo squarcia, lo uccide e lo mangia ..." 

Sulle proprietà delle cose
Bartolomeo Anglico 
Liberamente tradotto da Me Medesima

Il genere Lamium comprende circa quaranta specie, di cui dieci si trovano in Italia, tra queste il lamium purpureum il cui nome specifico deriva dal greco πορφύρεος/porphýreos e distingue i fiori e le foglie, generalmente apicali, ma non esclusivamente, che assumono una colorazione rosso porpora; Poiché inizia a fiorire in prossimità dell'8 maggio festa dell’Arcangelo Michele, viene chiamato arcangelo porpora, e la tradizione gli attribuisce il potere protettivo del santo che sostiene davanti agli ostacoli, se lo si porta con se vicino al cuore promuove il coraggio, allontana le energie negative e propizia la felicità; si credeva che le sue foglie messe all'interno del cuscino favorissero i sogni in cui veniva svelata l'anima gemella e da un punto di vista più pratico si pensava che camminare sulle piante del lamio purpureo stimolasse la circolazione sanguigna e giovasse a chi soffriva di dolori articolari e reumatici.
Nell'immaginario collettivo del Regno Unito la presenza delle piante di lamium purpureum svelava i luoghi segreti in cui si riunivano le fate, per tale motivo veniva chiamato cappello delle fate e ci si appostava nei dintorni per avvistarle.

Lamio purpureo - Arcangelo porpora

"... Crescono le Spezie di Lamium lungo le strade, nelle siepi, intorno alle muraglie, ne’ campi, ne’ Giardini, verso le le paludi, ne’ luoghi incolti. Si adoperano nella Medicina le loro foglie, e i loro fiori. Contengono molt’olio, sale mediocre. Sono diseccanti, e astringenti, proprie per fermare le diarree, i fluori bianchi delle Femmine, prese in decozione. Si applicano altresì in cataplasmo, e in fomento per risolvere.
Lamium viene dalla parola Greca Λάμια che lignifica Fantasima, chiamata in Ebraico Liltth; con cui li la paura a i bambini, come s’ella cercale di divorarli. In Italia chiamata quella Pianta Lamium; perché è stato supposto, che il suo fiore rassomigliasse al volto d una Fantasima. Quindi si vede , che l’etimologia del nome di quella Pianta non è cavata, che da una Chimera bambinesca ..."

Trattato Universale delle Droghe Semplici
Niccolò Lemery

Il lamio purpureo raggiunge un'altezza che può variare tra i 10 e 30 cm, originario dell'Eurasia appartiene alla famiglia delle Lamiaceae, ortiga muerta purpúrea in spagnolo, red eeadnettle in inglese, purpurrote taubnessel in tedesco, lamier pourpre in francese; popolarmente conosciuto come dolcimele, falsa ortica purpurea, làmio porporino, lamio rosso, milzadella rossa, orecchia di topo, ortica morta, ortiche morte; ha il fusto rossastro a sezione tetrangolare, semplice o ramificato, eretto o prostrato ascendente; le foglie violacee all'apice e verdi alla base, sono picciolate, opposte e cuoriformi con margine dentato crenulato; i fiori purpurei violacei sono disposti in verticillastri apicali, il labbro superiore concavo e quello inferiore con tre lobi di cui il mediano è picchiettato di macchie scure e i due laterali minuti, i frutti sono dei tetracheni divisi in quattro nucule trigone e tronche all'apice che contengono i semi.
Contiene alcaloidi come lamina e stachidrina; aminoacidi essenziali come arginina e lisina; carboidrati come fruttosio, glucosio e saccarosio; composti fenolici quali acido caffeico e acido rosmarinico, flavonoidi come apigenina e quercetina, e tannini condensati; lipidi quali acidi grassi come acido linoleico e acido oleico; sali minerali come calcio, ferro, magnesio e potassio; saponine triterpeniche; terpeni come carotenoidi e limonene; vitamine A - C e del gruppo B
Ha proprietà antinfiammatorie, antimicrobiche, antiossidanti, cicatrizzanti, diuretiche, espettoranti; in piccole quantità si può prendere in infuso i suoi fiori e le foglie più tenere si possono usare con moderazione nelle insalate o per preparare il burro alle erbe, cotte invece arricchiscono minestre e ripieni.

Lamio purpureo - Arcangelo porpora

Il lamio caratterizzato dalle foglie simili all'ortica, ma non urticanti, nel linguaggio dei fiori, rappresenta la forza discreta che difende senza aggredire e un rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di San Giovanni, entrambi i numeri sono sacri.

N.B. Nei miei post i principi attivi delle piante, lì dove è possibile, sono elencati in ordine alfabetico e non in ordine di quantità perché lo scopo è informativo-storico e non medico.

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