giovedì 7 aprile 2022

Imporre la propria legge

" 4. Lo scopo è di ridurre il nemico all'impotenza

Abbiamo detto che scopo dell'azione guerresca è mettere l'avversario nella impossibilità di difendersi: vogliamo ora piuttosto che ciò è necessario almeno in teoria. Perché l'avversario sia costretto ad accedere alla nostra volontà, dobbiamo costringerlo in una situazione il cui svantaggio sia superiore al sacrificio che da lui esigiamo: ma è naturale che questo svantaggio non deve essere, o almeno non deve apparire, transitorio, poiché in tal caso l'avversario attenderebbe un momento più propizio, anziché cedere. E perciò, ogni cambiamento apportato a questa situazione dal prolungarsi dell'attività bellica deve tendere a peggiorarla, almeno per quanto è prevedibile.
Ora, la posizione più svantaggiosa in cui uno Stato belligerante può trovarsi, è quella di esser ridotto all'impotenza. Se l'avversario deve essere, un mezzo dell'azione bellica, dobbiamo dunque o porlo realmente in stato d'impotenza, o metterlo in situazione tale che, secondo ogni probabilità, sia sul punto di esserlo.
La guerra deve dunque mirare sempre a disarmare, o ad abbattere che dir si voglia, l'avversario. Essa non suppone però il lavoro di una forza attiva contro una massa inerte, giacché un atteggiamento qualsiasi completamente passivo è incompatibile con condotta di guerra: consiste invece sempre nell'urto di due forze attive contrapposte, e quanto si è detto circa lo scopo finale dell ' attività bellica si
applica a entrambi i belligeranti. È, quindi, una nuova azione reciproca; finché non abbiamo abbattuto l'avversario, dobbiamo temere noi stessi di esserne abbattuti; non siamo più liberi; l'avversario ci impone la sua legge, come noi gli imponiamo la nostra. Secondo rapporto di azione reciproca, che conduce un secondo criterio illimitato.

5. Tensione estrema delle forze

Se vogliamo abbattere l'avversario, dobbiamo proporzionare il nostro sforzo alla sua capacità di resistenza. Questa si esprime col prodotto di due fattori inseparabili: entità dei mezzi disponibili e forza di volontà .
L'entità dei mezzi potrebbe venire approssimativamente determinato, poiché dipende (sebbene non completamente) in gran parte da elementi numerici. La forza di volontà è invece assai meno determinabile; si può tutt'al più congeturarla secondo l'importanza delle cause di guerra. Ammettendo di capacità per tale via una stima verosimile della resistenza avversaria, possiamo prenderla come misura dello sforzo da compiere, per dargli tale entità da assicurarci la preponderanza in ogni caso, o, se i nostri mezzi non sono a ciò sufficiente, dargli pur sempre la entità maggiore possibile. Ma l'avversario farà la stessa cosa. Nuova gara reciproca che tendenzialmente all'estremo: terzo rapporto di azione reciproca e terzo criterio illimitato che riscontriamo.

6. Modificazioni nella realtà

Nel campo delle considerazioni come tratte, il ragionamento non può riposare, finché non sia giunto all'estremo. Ciò deriva dall'assoluto esistente nella ipotesi di due forze contrastanti, abbandonate a loro stesse e non obbedienti che alle loro intrinseche leggi. E quindi, dal puro concetto astratto della guerra volessimo dedurre un punto assoluto in fatto di scopo e di mezzi da impiegare, dalle costanti interdipendenti saremmo condotti a estremi i quali se semplici logiche semplici giuochi del pensiero, seguenti un filo appena visibile di sottigliezze .
Tenendoci nel campo'assoluto ed evitando con un tratto di penna gli ostacoli, per mantenere con logica rigorosa la proposizione «che in ogni caso dobbiamo partecipare a essere condotti agli estremi e fare uno sforzo estremo», si dell'ipotesi a leggi semplicemente speculative , prive di ogni pratico valore. Anche insieme che la tensione delle forze fino all'estremo costituisca qualche cosa di concreto e di realizzabile, occorre tener presente che lo spirito umano si adatterebbe in pratica a simili fantasticherie della deduzione logica.In molti casi si dovrebbe verificare uno spiegamento di forze superfluo, in contrasto con altri principi dell'arte di governo, e uno sforzo di volontà spropor alla entità degli scopi e quindi impossibile, poiché la forza della volontà umana non trae origine mai da sottigliezze cerebrali . Se invece noi lasciamo l'astrazione per considerare la realtà, tutto cambia. Nel campo dell'astrazione predomina l'ottimismo. Vi si dovrebbe presumere che i due avversari non solo mirino alla perfezione, ma altresì la raggiungano. Ma perché in questa realtà si richiede, occorrerebbe:
1. che la guerra fosse un atto completamente isolato, improvviso, senza collegarsi con la vita statale antecedente;
2. che la guerra si riassumesse in una sola decisione o in decisioni sia pur multiple ma simultanee;
3. che la guerra potrebbe chiudersi nella stessa situazione un risultato definitivo e non fosse influenzata dalla previsione della politica che deve succederle.

7. La guerra non è mai un atto isolato

Circa il primo punto, occorre osservare che nessuno dei belligeranti è per l'altro una personalità astratta, anche nei riguardi di quello dei due fattori della resistenza che è imponderabile, e cioè la volontà. Questa non è infatti del tutto indeterminata: dal come si manifesta oggi si può dedurre ciò che sarà domani.
La guerra non nasce istantaneamente e non si espande in un battitore d'occhio: si quindi può giudicare l'avversario da quello che è o che fa, e non da quello che a rigor di termini dovrebbe essere e dovrebbe fare. Ora, l'imperfezione degli organismi umani è tale che si resta sempre al di qua dell'ideale, e queste  deficienze, influenti su entrambe le parti, costituiscono già un principio moderatore.

Odessa - Ucraina 2022

Odessa - Ucraina 2022

8. La guerra non consiste in un solo urto istantaneo

Il secondo punto ci porta alle seguenti considerazioni. Se la guerra consistesse in un decisivo unico o in una serie di atti decisivi contemporanei, tutti i preparativi per essa atto dovrebbero naturalmente tendere  riparare all'estremo, poiché una trascuratezza non potrebbe piùrsi. La misura del nostro sforzo, nel campo concreto, sarebbe allora determinato dal complesso dei preparativi dell'avversario, pur rimanendo il resto nel dominio dell'astratto. Ma se la decisione risulta da più atti successivi, è chiaro che i primi possono servire di misura a quelli che seguono. La realtà si sostituisce così ancora una volta all'astrazione, e modera la tendenza all'estremo.
La guerra si concluderebbe però in una decisione unica, o in una somma di decisioni simultanee se tutti i mezzi di combattimento erano o potessero venire messi ora in azione; infatti un sfavorevole risultato sono più essi necessari tali mezzi, e se già stati tutti impiegati in un primo atto, non si può pensare a effettuarne un secondo. Ogni atto successivo non potrebbe in sostanza che far parte del primo, prolungandone solo la durata.
Ma già preparati di guerra, nei due avversari sostituiranno la concezione astratta, la determinazza per tutte le forze sostitutive alla concezione estrema: non per questo, i due avversari, si manterranno al di dell'estremo limite degli non impegneranno quindi subito le loro . Di più, la natura stessa delle forze e del loro impiego esclude la possibilità di una messa in azione simultanea.
I fattori sono i combattenti , il paese con la sua superficie e la sua popolazione, gli alleati . Il paese con la sua superficie e la sua popolazione, oltre a essere la sorgente della forza combattente, è di per se stesso elemento integrato fattori operanti in guerra: e, precisamente, solo in quella sua parte che appartiene al teatro di guerra o esercita influenza importante sul medesimo. Quanto alle forze mobili, nulla impedirebbe di porle contemporaneamente in azione, ma non è così per le piazzeforti, i corsi d'acqua, le montagne, gli abitanti, ecc.: insomma, non si può mettere nello stesso tempo il paese in campo , a meno che non sia così piccolo da essere interamente abbracciato dal primo atto di guerra.
Infine, la cooperazione degli alleati non dipende dalla volontà dei belligeranti, ed è anzi nella natura dei rapporti politici che questa cooperazione intervenga solo in seguito, o si rafforzi per ristabilire l'equilibrio compromesso da eventuali difficoltà.
Vedremo meglio, in seguito, che quest'aliquota delle energie di resistenza, la quale non può essere posta immediatamente in azione, rappresenta in molti casi una parte, rispetto al tutto, molto maggiore di quanto possa a prima vista sembrare: e che perciò anche quando la prima decisione è stata attuata con grande violenza, producendo un grave disturbo nell'equilibrio delle forze, questo può tuttavia ristabilirsi; per ora bastimostrare che un concentrato istantaneo delle forze belligeranti è in contrasto colla natura della guerra.
Ciò non potrebbe invero, di per sé, potrebbe motivo a produrre gli sforzi destinati a produrre la prima decisione: giacché un primo sfavorevole è sempre risultato un insuccesso al quale non ci si espone scientemente; e la prima decisione, anche se non unica, avrà pur sempre tanta rimane maggiore influenza sulle successive, quanto maggiore sarà stata la sua importanza: ma la possibilità di una ulteriore decisione fa sì che lo spirito umano si mostri riluttante a sforzi troppo grandi, e che perciò nelle prime decisioni non concentrati e non tenda tutte le energie, come potrebbe invece fare. Ciò che da uno degli avversari è omesso per uno scopo, diviene per l'altro un vero motivo di moderazione; per questo reciproco influsso, le tendenze estreme vengono ricondotte a sforzi di grandezza limitata.

9. Il risultato della guerra non costituisce nulla di assoluto

Infine, l'esito anche totale di un'intera guerra non sempre deve essere considerato assoluto e definitivo; lo Stato ha vinto non vi scorge spesso che un male transitorio, al quale rapporti politici in avvenire possono apportare un supplemento. Si vede facilmente come anche questa considerazione influenza nel senso di ridurre la forza di tensione e la violenza dello sforzo bellico.

10. Le probabilità della vita reale si sostituiscono alla tendenza all'estremo

In questo modo tutta l'azione bellica viene a sottrarsi alla legge rigorosa dell'impiego delle forze spinte all'estremo. Una volta che non si tema più l'estremo e non lo si ricerchi, la determinazione del limite dello sforzo guerresco viene lasciata a un apprezzamento, quale può essere fornito solo dalle leggi delle probabilità che si basano su elementi del mondo reale. Perché i due avversari non sono semplici astrazioni, ma Stati e governi reali, la guerra esce dal campo ideale per entrare in quello del determinismo delle cose. Ne consegue che quanto realmente esiste servirà a fornire dati per ciò che è ignoto e deve essere scoperto.In relazione al carattere, alle disposizioni, alla situazione, ciascuna ai rapporti esistenti nel campo dell'avversario, delle due parti può congetturare, secondo le leggi della probabilità, ciò che farà l'altra e regolare in conseguenza i propri atti. "

Della Guerra
Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz
Traduzione - Ambrogio Bollati ed Emilio Canevari

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P.S. Il colore verde nel testo segnala il corsivo nell'originale

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