lunedì 27 gennaio 2014

" Per mia fortuna ... "


Primo Levi

"Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli.
Perciò questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull'inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi d'accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell'animo umano. A molti individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che "ogni straniero è nemico". Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo*, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo. 
... Il bisogno di raccontare agli "altri" , di fare gli "altri" partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari: il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno; in primo luogo quindi a scopo di liberazione interiore... "

 Se questo è un uomo 
Primo Levi

sillogismo* :

Tutti gli stranieri sono nemici (Premessa maggiore)
I nemici devono essere soppressi (Premessa minore)
Tutti gli stranieri devono essere soppressi (Conclusione)



Esprimo piena solidarietà alla comunità ebraica di Roma che nei giorni scorsi è stata attaccata con dei gesti di gretta meschinità ed inoltre come proprietaria di questo blog chiedo scusa per l'inopportuna pubblicità che il susseguente video propone con la conseguente e ovvia strumentalizzazione che non approvo e da cui mi dissocio; ho scelto non a cuor leggero di mostrarlo ugualmente augurandomi che possiate soffermarvi solo ed esclusivamente sulle immagini e la musica.




בְּגֵיא צַלְמָוֶת,
לֹא-אִירָא רָע
כִּי-אַתָּה עִמָּדִי
"
שִׁבְטְךָ וּמִשְׁעַנְתֶּךָ,
הֵמָּה יְנַחֲמֻנִי

Gam-Gam-Gam Ki Elekh
Be-Beghe Tzalmavet
Lo-Lo-Lo Ira Ra
Ki Atta Immadì
Gam-Gam-Gam Ki Elekh
Be-Beghe Tzalmavet
Lo-Lo-Lo Ira Ra
Ki Atta Immadì
Shivtekhà umishantekhà
Hema-Hema yenahmuni
Shivtechà umishantechà
Hema-Hema yenahmuni

Anche se andassi
nella valle oscura
non temerei nessun male,
perché Tu sei sempre con me;
"
Perché Tu sei il mio bastone, il mio supporto,
Con Te io mi sento tranquillo.

Gam Gam è un canto ebraico in cui viene riproposto il quarto versetto del Salmo 23 dell'Antico Testamento attribuito a re David, è stato composto da Elie Botbol ed eseguito dal coro franco-israeliano Chevatim ; 
nel film "Jona che visse nella balena" di Roberto Faenza viene insegnato dalla maestra ai bambini del lager e l'arrangiamento della versione cinematografica segue uno stile ritmato e melodico dalla poliedrica orchestrazione che viene chiamato klezmer - kley zemer - strumenti di canto, tipico della tradizione ebraica yiddish europea.

sabato 18 gennaio 2014

Gocce di pioggia









Nell'inverno che vede  il 1838 cedere il posto al 1839, Frédéric Chopin per alleviare i disturbi che la tisi gli provoca, si concede insieme alla compagna George Sand, un soggiorno nella certosa di Valldemosa sull' isola spagnola di Maiorca nell'arcipelago delle Baleari, qui le gocce di pioggia che assumono un aspetto greve, trasformandosi con l'immaginazione in lacrime, ispirano, come accenna la Sand nel suo libro "Storia della mia vita", il più famoso preludio composto da Chopin: "Preludio Op. 28, No. 15 Re bemolle Maggiore", conosciuto anche come "Preludio della Goccia di pioggia" 
 
" ... È là che egli compose le più belle fra quelle brevi pagine che intitolò modestamente Preludi 
… Ve n’è uno che gli fu ispirato da una di quelle lugubri serate di pioggia che gettano l’animo in un terribile stato di prostrazione. Quel giorno l’avevamo lasciato in buona salute, Maurice e io, per recarci a Palma e acquistare alcune cose di cui avevamo necessità. Era venuta la pioggia, i torrenti erano straripati, avevamo impiegato sei ore per percorrere tre leghe e trovarci, poi, nel mezzo di una inondazione. Rientrammo in piena notte, senza scarpe, abbandonati dal nostro vetturino, fra ogni sorta di pericoli. Ci affrettavamo pensando alla inquietudine del nostro ammalato: inquietudine che in effetti era stata viva, ma si era poi raggelata in una sorta di disperazione tranquilla, ed egli suonava piangendo il suo mirabile preludio. Vedendoci entrare balzò in piedi e lanciò un grido, poi, stravolto in viso e con voce strana, ci disse: "ah! lo sapevo che eravate morti!". Quando si riprese e dopo essersi reso conto dello stato in cui eravamo fu nuovamente colto dall’inquietudine per i pericoli che avevamo corso. In seguito mi confessò che mentre ci aspettava aveva visto tutto come in un sogno; poi, non riuscendo più a distinguere il sogno dalla realtà, si era calmato e quasi assopito suonando il pianoforte, persuaso di esser morto egli stesso. Si vedeva annegato in un lago, pesanti gocce d’acqua gelida gli cadevano sul petto con cadenza regolare, e quando gli feci notare il rumore delle gocce di pioggia che effettivamente cadevano ritmate sul tetto negò di averle udite. Si stizzì anzi della mia allusione a questa armonia imitativa e protestò con tutte le sue forze – e aveva ragione – contro la puerilità di queste imitazioni dell’orecchio. La sua composizione di quella sera era ben piena delle gocce di pioggia che risuonavano sulle tegole della certosa, ma esse si erano tradotte, nella sua anima e nel suo canto, in lacrime che cadevano dal cielo nel suo cuore..."



Se siete interessati alla vita di  questo grande compositore potete cliccare su Frédéric Chopin, un post di un comune amico blogger

martedì 14 gennaio 2014

Le nubi


"Vagavano in lenta processione,
bianche come spuma lattea,
gonfie, bislunghe, ricciute,
ondulate e dalle forme più strane.
Alcune, più basse,
annaspavano i loro fiocchi
attorno alle guglie rocciose;
alte, superbe, bianche come la neve;
navigavano sull'azzurro
inseguite da un corteo di nembi e di cirri;
altre ancora, più sottili e trasparenti,
parevano lembi di garza leggera
o fiocchi di bambagia cardata dal vento".

Grazia Deledda

lunedì 6 gennaio 2014

Il dono dei Magi

In questa Epifania, per ringraziarvi di tutti gli auguri che mi avete lasciato, vi propongo un testo ambientato tra la vigilia e il giorno di Natale, un testo che segue la via del cuore dei Re Magi che porta verso l'amore.

Buona Epifania a tutti
 e buon lavoro a tutte le sorelle Befane


Sembra che la mia Sorellina sia convinta che tutte le Befane in commercio con gli occhi azzurri mi somiglino, quest'anno oltre al nasone ho anche  un bel sorriso sdentato
1

Un dollaro e ottantasette cents. Era tutto. E sessanta cents erano in pennies. Pennies risparmiati uno o due per volta, contesi al droghiere e al verduraio e al macellaio, finché, convinti di taccagneria da quelle puntigliose trattative, le guance vi si coprono di rossore. Tre volte Della contò il denaro. Un dollaro e ottantasette cents. E l’indomani era Natale. Era chiaro: non c’era altro da fare che lasciarsi cadere sul nudo lettino e mettersi a urlare. E così appunto si comportò Della. E ciò vale a stimolare la riflessione morale che la vita è fatta di singhiozzi, sospiri e sorrisi, con una certa preponderanza di sospiri. Mentre la signora della casa gradualmente trapassa dal primo al secondo stadio, date una occhiata alla casa. Un appartamento ammobiliato a otto dollari per settimana. Non si può dire che superi qualsiasi descrizione: ma certo la mette a duro cimento. Nell’atrio, a pianterreno, stava una cassetta delle lettere in cui non entrava mai una lettera, ed un pulsante elettrico dal quale nessun dito umano avrebbe potuto estorcere un suono. A tutto ciò aggiungevasi un cartoncino recante il nome - Mr. James Dillingham Young -. Durante trascorsi periodi di prosperità, quando il proprietario guadagnava trenta dollari la settimana, quel - Dillingham - aveva garrito al vento. Ora, ridottosi il reddito a venti dollari, le lettere del - Dillingham - apparivano confuse, quasi meditassero seriamente di contrarsi in un modesto, sommesso D. Ma ogni qualvolta Mr. James Dillingham Younh tornava a casa, al suo appartamento al piano di sopra, si sentiva chiamare - Jim - e grandemente lo coccolava la signora Dillingham Young, già presentatavi col nome di Della. E ciò è molto bello. Della portò a termine il suo pianto e si passò il piumino sulle guance. Poi si pose alla finestra a guardare stancamente il gatto grigio che percorreva la stecconata grigia del grigio cortile.
L’indomani era Natale, e lei aveva soltanto un dollaro e ottantasette cents per fare un regalo a Jim. Per mesi aveva risparmiato un cent dopo l’altro: e quello era il risultato. Con venti dollari la settimana non si fa gran che. Le spese erano state maggiori del previsto. Succede sempre così. Solo un dollaro e ottantasette per comprare un regalo a Jim. Al suo Jim. Molte ore felici ella aveva trascorso a pensare qualcosa di carino per lui. Qualcosa di bello e raro e autentico, qualcosa che non fosse troppo indegno dell’onore di appartenere a Jim. Tra le due finestre della stanza stava uno specchio stretto e alto. Forse voi li avete già visti, questi specchi da muro che si trovano negli appartamenti da otto dollari. Una persona agile e sottile può, cogliendo la propria immagine in una rapida sequenza di strisce longitudinali, pervenire ad un concetto sostanzialmente adeguato del proprio aspetto. Della, che era sottiletta, era padrona dell’arte. Con una piroetta improvvisa si scostò dalla finestra e ristette di fronte allo specchio. Gli occhi le splendevano intensamente, ma in venti secondi il suo volto perse ogni colore. Rapidamente si sciolse la chioma e la lasciò cadere per tutta la sua lunghezza.


2

Ora, di due possessi i Dillingham erano profondamente orgogliosi. Uno era l’orologio d’oro di Jim, che era stato di suo padre e del padre di suo padre. L’altro era la chioma di Della. Se la regina di Saba avesse abitato nell’appartamento di fronte, Della avrebbe lasciato pendere i capelli alla finestra per asciugarli, soltanto per fare scorno ai gioielli e ai doni di Sua Maestà. Se re Salomone fosse stato il portiere con tutti i suoi tesori ammucchiati in cantina, Jim avrebbe tratto dal taschino il suo orologio ogni qualvolta gli fosse passato davanti, per il solo gusto di vederlo strapparsi la barba per l’invidia. Così ora cadde la bella chioma di Della, ondeggiante e splendente come una cascata di acque scure. Le arrivò fin sotto il ginocchio, la avvolse quasi come un vestito. Poi Della la riavvolse, con gesti rapidi e nervosi. Parve esitare un istante, e rimase immobile, mentre una o due lacrime cadevano sul rosso tappeto frusto. Indossò la vecchia giacca marrone. Si mise in capo il vecchio capello marrone. Con un frullo di gonne, gli occhi ancora luccicanti, scivolò fuori della porta, scese le scale e raggiunse la strada. Si fermò davanti ad una insegna: " M.me Sofronie. Parrucche di ogni tipo ". Della salì di corsa una rampa di scale, e si fermò ansimante. Madame, ampia, troppo bianca, gelida, non aveva l’aria di una " Sofronie ".
" Volete comprare i miei capelli? " domandò Della.
" Io compro capelli " disse Madame.
 " Fate un po’ vedere ". Si disciolse la bruna cascata.
" Venti dollari " disse Madame, reggendo la massa con mano esperta.
" Datemeli subito " disse Della.
Oh, le due ore seguenti volarono su ali di rosa. Perdonate la trita metafora. Della andava setacciando un magazzino dopo l’altro, in cerca di un regalo per Jim. Lo trovò alla fine. Certamente era stato fatto per Jim e per nessun altro. Niente di simile aveva trovato in tutti gli altri negozi, e li aveva passati da cima in fondo. Era una catenella per orologio, da taschino, in platino, di casto e semplice disegno, che opportunamente manifestava il proprio valore per virtù della sola sostanza, senza far ricorso a indecorosi orpelli: come debbono tutte le buone cose. Era perfino degno dell’orologio. Non appena l’ebbe vista, ella seppe che spettava a Jim. Era come lui. Pregio e semplicità, la definizione valeva per entrambi. Le presero ventun dollari, ed ella si precipitò a casa con i suoi ottantasette cents. Con quella catena all’orologio, in qualsiasi compagnia si fosse trovato, Jim avrebbe potuto senza disdoro preoccuparsi di tanto in tanto del trascorrere del tempo. Per quanto meraviglioso fosse l’orologio, infatti, ora gli accadeva di scrutarlo con occhiate furtive, per via di quel vecchio cinturino di cuoio che usava in vece di catenella. Quando Della giunse a casa l’ebbrezza cedette un poco alla prudenza e alla ragione. Trasse fuori i ferri per arricciare i capelli, accese il gas, e si accinse a porre riparo al guasto fatto dalla generosità aggiunta all’amore. E questo è sempre un compito terribile, amici carissimi, un’impresa da mammut. Quaranta minuti dopo, Della aveva una testa coperta di ricci fitti e minuti, che la facevano del tutto somigliante ad uno scolaretto scapestrato. Considerò la propria immagine allo specchio, a lungo, minutamente, e con occhio critico.
"Se Jim non mi uccide prima di darmi una seconda occhiata , " si disse " dirà che sembro una corista di Coney Island. Ma che potevo fare, ahimè, che potevo fare con un dollaro e ottantasette cents? ".
Alle sette il caffè era fatto, e la padella era dietro la stufa, calda e pronta a cuocere le costolette. Jim non era mai in ritardo. Della chiuse nella mano la catenella dell’orologio e sedette su un angolo della tavola vicino alla porta. Poi udì il suo passo sulla prima rampa delle scale, e per un istante diventò pallida.
Aveva l’abitudine di dire piccole preghiere silenziose per le cose più semplici di ogni giorno ed ora ella sussurrò:  " Dio, per piacere fagli pensare che sono ancora carina ".
La porta si aprì, Jim entrò e la rinchiuse. Era assai magrolino, e d’aria tanto seria. Povero diavolo, soltanto ventidue anni e già con il carico di una famiglia! Aveva proprio bisogno di un cappotto nuovo, e non aveva guanti.


Varcata la soglia, Jim si fermò immobile come un setter che abbia colto l’usta della quaglia. I suoi occhi erano fissi su Della, ed avevano una espressione che non riusciva di decifrare, che l’atterriva. Non era ira, né sorpresa, né biasimo, né orrore, né alcun altro sentimento che ella avesse previsto. La guardava con occhi fissi e intenti, e il suo volto aveva quella strana espressione. Cautamente Della scese dal tavolo e gli si avvicinò.
" Jim, caro, " gridò " non guardarmi a quel modo. Mi son fatta tagliare i capelli e li ho venduti perché non avrei potuto sopravvivere a questo Natale se non avessi potuto farti un regalo. Cresceranno di nuovo… A te non dispiace, vero? Dovevo farlo. I miei capelli crescono così alla svelta. Dimmi “Buon Natale”, Jim, e siamo felici. Tu non sai che bel regalo, che regalo splendido ho trovato per te ".
" Tu ti sei tagliata i capelli? " chiese Jim faticosamente, come se nemmeno dopo il più intenso sforzo mentale fosse riuscito ad afferrare quel fatto del tutto evidente.
 " Li ho tagliati e venduti " disse Della. " Non ti piaccio lo stesso? Sono io anche senza i miei capelli, vero? ".
Jim si guardò attorno con aria curiosa.
" Hai detto che i tuoi capelli non ci sono più? " disse, con un tono che rasentava l’idiozia.
" Non cercarli, " disse Della. " Li ho venduti, ti dico; li ho venduti, non ci sono più. E’ la vigilia di Natale. Sii buono con me, l’ho fatto per te. Forse i capelli che stavano sul mio capo erano contati, " proseguì con una subitanea dolce gravità " ma nessuno potrebbe mai misurare il mio amore per te. Vuoi che metta su le costolette, Jim? ".
Jim parve riscuotersi bruscamente dal suo stordimento. Abbracciò la sua Della. Per dieci secondi vogliamo il nostro sguardo discreto da un’altra parte. Che differenza vi è tra otto dollari alla settimana e un milione di dollari l’anno? Un matematico o un uomo di spirito ci darebbe la risposta sbagliata. Doni di gran pregio recarono i Magi, ma non questo. Oscura asserzione, che verrà chiarita più avanti.
Jim si trasse un pacchetto dalla tasca del cappotto e lo gettò sul tavolo. " Non fraintendermi, Della " disse. " Non penso che un taglio di capelli o una rasatura o uno sciampo possano rendere meno bella la mia ragazza. Ma se vorrai aprire quel pacchetto, capirai perché mi avevi fatto restare senza fiato ".
Candide dita ed agili lacerarono corda e carta. E poi un estatico grido di gioia; e poi, ahimè, un subito femmineo insorgere di isteriche lacrime e gemiti, che imposero l’immediato intervento di tutti i poteri consolatori del signore della dimora. Giacché lì stavano i pettini, tutta intera la serie dei pettini da porre sulla nuca e ai lati, che Della aveva a lungo vagheggiato in una vetrina di Broadway. Splendidi pettini, puro guscio di tartaruga con orli ingioiellati: e per l’appunto della tinta che si accordava alla splendida chioma svanita. Ed erano pettini di pregio, ella lo sapeva, ed il cuore li aveva bramati ed anelati senza alcuna speranza di possesso. Ora erano suoi, ma le trecce che dovevano adornarsi degli agognati ornamenti erano scomparse.
Ma se li strinse al seno, ed alla fine riuscì ad alzare i suoi occhi scuri e a sorridere mentre diceva: " I miei capelli crescono così alla svelta, Jim! ". E poi Della si mise a saltare come un gattino scottato e gridò: " Oh! oh! ".
Jim non aveva ancora visto il suo bel regalo. Della glielo porse ansiosamente sulla palma aperta. Il prezioso metallo opaco pareva balenare del riflesso della sua anima luminosa ed ardente.
" Non è un amore, Jim? Ho frugato tutta la città per trovarlo. Adesso dovrai guardare le ore cento volte al giorno. Dammi l’orologio. Voglio vedere come sta ".
Invece di ubbidire, Jim si lasciò andare sul letto, si mise le mani dietro la nuca e sorrise. " Della, " disse " mettiamo via i nostri regali di Natale per un po’ di tempo. Sono troppo belli per usarli subito. Io ho venduto l’orologio per comparti i pettini. Ora è forse il momento di mettere su le costolette ".


4

I Magi, come sapete, erano uomini saggi – uomini incredibilmente saggi – che portarono i doni al Bambino nella mangiatoia. Furono loro ad inventare l’arte di fare regali a Natale. Giacché eran saggi, non v’è dubbio che anche i loro regali fossero saggi, e probabilmente era possibile scambiarli, nel caso ve ne fossero due uguali. Io vi ho goffamente raccontato la povera cronaca di due sciocchi bambini che senza saggezza sacrificarono l’uno per l’altro i più grandi tesori della loro casa. Ma si dica un’ultima parola ai saggi dei nostri giorni: di tutti coloro che fanno doni, quei due furono i più saggi. Di tutti coloro che ricevono e fanno doni, questi sono i più saggi. Dovunque e sempre essi sono i più saggi. Sono loro i re Magi.

O. Henry

mercoledì 1 gennaio 2014

"Il significato del Capodanno"


"...festeggiamo il nuovo anno, fermiamoci a riflettere sull'anno che è appena passato per ricordarci sia i nostri trionfi che i nostri fallimenti e anche le promesse fatte e infrante... le volte che ci siamo aperti per vivere grandi avventure o ci siamo chiusi in noi stessi per paura di essere feriti. È questo il significato del Capodanno, avere un'altra occasione, l'occasione di perdonare, di fare meglio, di fare di più, di dare di più, di amare di più e di smetterla di pensare alle conseguenze, cominciare finalmente ad accettare quello che verrà. Ricordiamoci di essere buoni l'uno con l'altro, gentili l'uno con l'altro e non solo questa notte ma tutto l'anno!"

Claire Morgan - Hilary Swank
Capodanno a New York


Chi è interessato a conoscere le origini del Capodanno la cui radice si dipana tra gli antichi usi e costumi delle tradizione babilonese, egiziana, greca e romana può cliccare su Capodanno

Post programmato

Per ulteriori informazioni:

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