mercoledì 27 gennaio 2021

La mia stella

Vi è mai capitato di puntare gli occhi al cielo di notte e di rifugiarvi con lo sguardo in una stella? A me sì... 

Aldebaran, l'occhio della Costellazione del Toro

Aldebaran - 29 febbraio 2020

E a volte una stella salva la vita:

" Sognavo a occhi aperti. Mai a occhi chiusi. Non ho mai sognato di notte ad Auschwitz. Di giorno sì, immaginavo di correre su un prato che ricordavo, in mezzo ai fiori, nel sole; mi raccontavo i film che avevo visto, i libri che avevo letto, le mie canzoni preferite, le commedie ascoltate alla radio con nonno Pippo. In questo modo non permettevo al cervello di vedere quello che accadeva davanti a me, la realtà quotidiana della mia nuova vita all’inferno. Avevo un mondo di fantasia e di ricordi che mi trascinava lontano da lì. Ritornavo con la mente a una festa con le amiche, a una vacanza, a una gita in campagna… Ma niente che riguardasse la mia famiglia, la mia casa, i visi più cari, dei miei nonni e di mio papà. Quelli erano ricordi proibiti. Perché non potevo sopportarli, mi avrebbero fatto troppo male. Filtravo le cose che potevo ricordare e scartavo quelle che non avrei avuto la forza di sopportare. Non lo facevo consapevolmente, era un modo per sopravvivere. Usavo tutte le mie forze per restare lontana dal lager,  almeno con la mente. Se sono sopravvissuta è anche per l’intensità con la quale esercitavo questa volontà. 
Alla fine della giornata, il mio mondo di fantasia, al quale mi aggrappavo per “fuggire” dal campo, era diventato una piccola stella che vedevo in cielo. Sempre la stessa. L’avevo notata una sera di cielo terso, quando i nostri  aguzzini ci davano pochi minuti di tregua. 
Da quella sera, ogni giorno quando arrivava il buio la cercavo, le parlavo. 
Ero felice di ritrovarla, significava che un altro giorno era passato ed ero ancora viva. Mi identificavo con quella stella. Vedendola, dentro di me, le dicevo: «Finché io sarò viva, tu, stellina, continuerai a brillare nel cielo. Stai tranquilla, io non morirò. Io sarò sempre con te».

Da allora la stella è diventata un simbolo importante nella mia vita. La mia famiglia mi regala stelline d’argento e i miei nipoti disegnano per me cieli brillanti di stelle.

Eravamo tre ragazze italiane a lavorare nella fabbrica di munizioni. Il resto erano di altre nazionalità. Tutte le mattine i nazisti ci portavano fuori dal campo e ci facevano fare circa tre chilometri per raggiungere la fabbrica.
Eravamo costrette a cantare le loro canzoni, in marcia. Era l’ennesima cattiveria, farci cantare come se fossimo state allegre. Eravamo degli scheletri invece, camminavamo a fatica, i corpi stremati dalla fame, dalle fatiche e dalle botte. Eppure dovevamo cantare come se stessimo andando a fare una gita in campagna.
In quel tratto di strada, ritrovavamo i rumori familiari. La campana di una chiesa, le grida dei bambini a scuola, un treno. I ricordi ti assalivano, ma era un attimo, i giorni cari non potevamo permetterceli. Ci avrebbero resi deboli e vulnerabili. E io non volevo diventare vulnerabile, volevo vivere. E cantavo, obbedivo e marciavo. In quel tragitto, la cosa più terribile era incontrare la Hitlerjugend, la gioventù hitleriana. Erano ragazzi fra i quattordici e i vent’anni, biondi e con la divisa nera. Erano belli, non erano scheletrici come noi, anzi. La croce uncinata sul braccio, correvano sulle loro biciclette sicuri di essere i vincitori, certi di appartenere alla razza superiore. Quando ci incontravano si fermavano e cominciavano a sputarci addosso, a insultarci con le volgarità più orribili. Avevo imparato a riconoscere le parolacce in tedesco. Erano le stesse che con il medesimo disprezzo ci sentivamo scaraventare addosso dalle guardie. 

Eppure quelli erano ragazzi come me o poco più grandi, mi sembrava incredibile che potessero odiare in quel modo delle derelitte, senza più corpo, come noi. Così deboli che non avevamo neppure la forza di scansare i loro sputi. Eppure erano così, il disprezzo mortificava i loro bei visi e i loro corpi perfetti. All’epoca li odiavo, con il tempo ho imparato a guardarli per quello che erano: povere ombre nere che non sarebbero mai state sfiorate dall’umanità né dalla pietà. "

Fino a quando la mia stella brillerà
Liliana Segre con Daniela Palumbo

Poesia di un grande amico dedicata alla giornata della memoria:

Auschwitz

In quel campo
grigio e freddo,
nel filo spinato
rosso ruggine,
aggrovigliato.
Muti pianti
nel silenzio minacciato.
Piedi nudi
nel fetido fango.
Non un filo d’erba verde,
non un uccellino
da invidiare.

Andrea Audino

12 commenti:

  1. l'ho conosciuta l'anno scorso assieme a mia nipote Bea durante la sua ultima apparizione agli studenti. Vedevo piangere mia nipote di commozione (aveva solo 12 anni) e mi dicevo: "vorrei vedere altri ragazzi come lei piangere e commemorare il ricordo, per non dimenticare mai quanto siete fortunati". Sono fortunata perchè Bea ha un cuore. Molti ragazzi hanno un cuore. Seminare l'amore produce ottimi risultati. Sempre!

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  2. Questa è una testimonianza che fa riflettere. Liliana Segre è una grande donna, forte e coraggiosa e, forse , questa sua forza l'ha salvata. Saluti Sciarada.

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  3. Liliana Segre grande donna,ce ne fossero altre come lei!

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  4. Sapevo di questa stellina che questa grande donna ha assunto a simbolo che l’ha accompagnata per tutta la sua vita. Racconti che fanno rabbrividire nell’ascoltarli e nel leggerli.
    Auguriamoci che tali crimini non avvengano mai più.
    sinforosa

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  5. Il mio modo di onorare questa giornata è la ricerca dei troppi Auschwitz che ancora esistono nel mondo... di cui poco o niente si parla. Fino a che ce ne sarà solo uno nessuno di noi sarà al sicuro. Ricordare è indispensabile, e anche leggere Primo Levi per tenere a mente il suo: "come facemmo a non capire, eppure i segni c'erano tutti" per trovarli nei fatti di casa nostra e da quelli allontanarsi.
    Ciao Sciarada.

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  6. Liliana SEgre... Un esempio, fulgido come la sua stella
    Ciao SCiarada

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  7. Il disprezzo dei coetanei. Tra le cose peggiori. Il prendere in giro, il voler far credere cose inesistenti costringendo ad agire falsamente, gli insulti.
    Quella piccola stella era il momento sereno, la sua compagna di speranze, il suo paradiso in terra. E che terra mamma mia!
    Ma lei è riuscita a resistere è viva e testimonia più che può quell'orrore. Grande Liliana, grande...
    Grazie Sciarada per ciò che hai proposto. Ciao.

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  8. Cara Sciarada, ognuno di noi deve crederci che la nostra stella ci proteggerà sempre.
    Ciao e buona serata con un forte forte abbraccio.
    Tomaso

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  9. Mamma mia, che testimonianza forte... Dove orrore e speranza, forza e fragilità marciano insieme dove forza e speranza sostengono l'intollerabile. Dolore, dolore immenso.

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  10. Una donna da ammirare per la forza e il coraggio. I suoi ricordi l'hanno accompagnata in ogni fase delle sua vita e chissà quante notti passate a tormentarsi. Credo che faccia bene a portare la sua testimonianza nelle aule delle scuole italiane. Ciao e buona giornata.

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  11. Bella,bella davvero
    Complimenti
    Il mio abbraccio
    Maurizio

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  12. io ho sempre amato orione e betelgeuse. perdona il mio sguardo poco profondo. buon giorno

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