Ventesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'Anima
" Ma a che scopo dilungarci? Vediamo l'origine dell'aruspicìna; così giudicheremo nel modo più facile quale autorità essa abbia. Si dice che un contadino, mentre arava la terra nel territorio di Tarquinia, fece un solco più profondo del solito; da esso balzò su all'improvviso, un certo Tagete e rivolse la parola all'aratore. Questo Tagete, a quanto si legge nei libri degli etruschi, aveva l'aspetto di un bambino, ma il senno di un vecchio. Essendo rimasto stupito da questa apparizione il contadino, e avendo levato un alto grido di meraviglia, accorse molta gente, e in poco tempo tutta l'Etruria si radunò colà. Allora Tagete parlò a lungo dinanzi alla folla degli ascoltatori, i quali stettero a sentire con attenzione tutte le sue parole e le misero poi per iscritto. L'intero suo discorso fu quello in cui era contenuta la scienza dell'aruspicìna; essa poi si accrebbe con la conoscenza di altre cose che furono ricondotte a quegli stessi principi. Ciò abbiamo appreso dagli etruschi stessi, quegli scritti essi conservano, quelli considerano come la fonte della loro dottrina. C'è dunque bisogno di Carneade per confutare cose del genere? O c'è bisogno di Epicuro? Può esserci qualcuno tanto insensato da credere che un essere vivente, non saprei dire se dio o uomo, sia stato tratto di sotterra da un aratro? Se devo considerarlo un dio, perché, contro la natura degli dèi, si era nascosto sotterra, sì da veder la luce solo quando fu messo allo scoperto da un aratro? Non poteva, essendo un dio, esporre agli uomini la sua dottrina dall'alto? Se, d'altra parte, quel Tagete era un uomo, come poté vivere soffocato dalla terra? Da chi, inoltre, poté aver appreso egli stesso ciò che andava insegnando agli altri? Ma sono io più sciocco di quelli che credono a queste cose, io che perdo tanto tempo a discutere contro di loro!
È molto spiritoso quel vecchio motto di Catone, il quale diceva di meravigliarsi che un arùspice non si mettesse a ridere quando vedeva un altro arùspice. Quante delle cose predette da costoro si sono verificate? E se qualche evento si è verificato, quali prove si possono addurre contro l'eventualità che ciò sia accaduto per caso? Il re Prusia, quando Annibale, esule presso di lui, lo esortava a far guerra a oltranza, diceva di non volersi arrischiare, perché l'esame delle viscere lo dissuadeva. "Dici sul serio?" esclamò Annibale; "preferisci dar retta a un pezzetto di carne di vitella che a un vecchio condottiero?" E Cesare stesso, dissuaso dal sommo arùspice dall'imbarcarsi per l'Africa prima del solstizio d'inverno, non s'imbarcò egualmente? Se non l'avesse fatto, tutte le truppe dei suoi avversari avrebbero avuto il tempo di concentrarsi in un solo luogo. Devo mettermi a fare l'elenco (e potrei fare un elenco davvero interminabile) dei responsi degli aruspici che non hanno avuto alcun effetto o lo hanno avuto contrario alle previsioni? In quest'ultima guerra civile, quante predizioni, per gli dèi immortali!, ci delusero! Quali responsi di arùspici ci furono trasmessi da Roma in Grecia! Quali cose furono predette a Pompeo!... "
Della Divinazione - XXIII - XXIV
Marco Tullio Cicerone
Traduzione a cura di Sebastiano Timpanaro
Cicerone ci spiega come la leggenda racconti che sia stato Tagete a insegnare l'aurispicina agli etruschi.
Nella versione più popolare della storia il contadino che scopre Tagete sotto una zolla di terra mentre sta arando è Tarconte, il fondatore di Tarquinia, co-fondatore con il fratello Tirreno della dodecapoli etrusca i cui rituali divinatori si basano sugli insegnamenti ricevuti dal canto del fanciullo con la mente di un saggio che scompare subito dopo la donazione dei suoi precetti, raccolti nei sacri libri tagetici o haruspicini e nella parte più antica dei libri acherontici.
L'arte augurale si diffonde nel Lazio e ad essa Romolo deve la conquista del titolo di re; come primo augure romano costituisce il Collegio degli Auguri composto da tre sacerdoti scelti dalle curie come rappresentanti di ognuna delle tre tribù che inizialmente compongono il popolo romano, Ramnes i Latini, Tities i Sabini e Luceres gli Etruschi.
Specchio etrusco
Pava Tarchie insegna l'aruspicina a Avl Tarchunus
Tuscania - IV - III sec. a. C.
Museo archeologico - Firenze
" ... Sotto il consolato di Marco Valerio e Quinto Apuleio all’esterno la situazione fu abbastanza tranquilla:
gli Etruschi erano costretti dalla sconfitta e dalla tregua a rimanere in pace; i Sanniti, prostrati dalle perdite di lunghi anni di guerra, per il momento non erano malcontenti del nuovo trattato. Anche a Roma il trasferimento di un buon numero di cittadini nelle colonie aveva reso la plebe più tranquilla e meno gravata.
Tuttavia, ad impedire che la calma fosse totale, i tribuni della plebe Quinto e Gneo Ogulnio accesero una contesa fra patrizi e plebei delle famiglie più eminenti.
Costoro, dopo aver cercato in più occasioni di mettere in cattiva luce i patrizi presso la plebe, visti fallire gli altri tentativi, presero un’iniziativa che interessava non la parte più bassa della plebe, ma i suoi capi, cioè i plebei che erano stati consoli ed avevano riportato il trionfo,
ai quali ormai fra tutti gli onori mancavano soltanto le cariche sacerdotali, non ancora accessibili ai plebei.
Proposero dunque questa legge, che al fine di aumentare il numero dei sacerdoti, ai quattro àuguri e quattro pontefici allora esistenti fossero aggiunti quattro pontefici e cinque àuguri tratti dalla plebe.
Non trovo spiegazione di come il collegio degli àuguri abbia potuto allora trovarsi ridotto al numero di quattro, a meno che ne fossero morti due è noto infatti che il numero degli àuguri dev’essere dispari, in modo che le tre antiche tribù dei Ramnensi, Tiziensi e Luceri abbiano ciascuna un proprio àugure,
oppure, se si rende necessario un numero superiore, i sacerdoti devono essere moltiplicati sempre in pari proporzioni, come avvenne quando, a quattro àuguri aggiuntine cinque, si raggiunse il numero di nove, tre per ogni tribù.
Però i patrizi del fatto di avere degli àuguri tratti dalla plebe si indignarono altrettanto di quando avevano visto il consolato diventare accessibile al volgo.
Volevano far credere che la cosa riguardava più gli dèi che loro stessi: gli dèi avrebbero provveduto a che non venissero contaminati i sacri riti; essi si auguravano solo che non si abbattesse sulla repubblica una qualche calamità.
Tuttavia non opposero molta resistenza, avvezzi ormai com’erano ad essere sconfitti in contese di tal genere; vedevano che i loro avversari ormai non solo aspiravano alle cariche maggiori, che un tempo a stento osavano sperare, ma avevano raggiunto già tutte le mete per cui la lotta era stata più incerta, consolati e censure e trionfi in gran numero.
Ab Urbe Condita - Libro X
Tito Livio
Traduzione a cura di Luciano Perelli
Rappresentazione di aruspice con cappello a punta
III sec. a. C.
Museo archeologico - Firenze
Con l'aumento delle tribù gli auguri diventano cinque e sono selezionati tra i patrizi; dal 300 a. C. con la lex Ogulnia, che prende il nome da Gneo Ogulnio, il collegio si apre alla plebe e i membri salgono a nove, cinque arruolati tra i patrizi e quattro tra la plebe, con Silla si aggiungono altri sei sacerdoti che come in origine mantengono un numero dispari, con Cesare si raggiunge la quota sedici che nell'età imperiale, in cui si perde la distinzione tra patrizi e plebei optando per una scelta che prediliga il grado senatorio, può essere oltrepassata dal diritto degli imperatori che nominano i loro familiari.
L'elezione avviene per cooptazione, nel 103 con la lex Domizia la designazione si realizza attraverso i comizi composti da 17 tribù estratte a sorte a cui il collegio presenta i candidati proposti da non più di due dei suoi membri che in assemblea garantiscono sulla loro dignità. Silla nel 63 a. C. abroga la lex Domizia che successivamente viene di nuovo ripristinata e Tiberio affida il suffragio augurale, relativo all'imperatore e ai suoi familiari, al senato che comunica al collegio il risultato della votazione che pro forma coopta gli eletti.
I nuovi sacerdoti che diventano tali a vita acquisiscono il privilegio di non essere estromessi dal collegio qualsiasi sia il delitto di cui possano macchiarsi, giurano di non rivelare a nessuno i segreti dell'arte augurale e vengono consacrati con la consultazione divinatoria per poi offrire un banchetto cerimoniale.
Il Collegio degli Auguri che vede nel più anziano di loro il presidente non ha una sede stanziale, si riunisce nelle case dei membri alle none di ogni mese, e con le regole della disciplina augurale custodisce le proprie decisioni nell'archivio collegiale, i membri sono assistiti dai servi pubblici dello Stato e da calatori personali pagati con le rendite del collegio.
Nel IV secolo al tempo di Teodosio il Giovane la grande considerazione di cui aveva goduto il Collegio degli Auguri viene a mancare e si spegne definitivamente con l'imperatore Costanzo che ne proibisce il consulto.
Statuetta di augure
480 a.C.
Museo archeologico - Firenze
Con la maturazione culturale si comprende che il futuro non può essere previsto da quell'arte augurale giunta dal Medio Oriente in Occidente, ma gli si può andare incontro per viverlo e per renderlo presente, di quell'antica pratica rimane la parola augurio e in un codice concettuale condiviso, si fa speranza che vuole realizzare per tutti il buono e non il cattivo, il bene e non il male, il meglio e non il peggio, Dio e non Satana.
Domani per la ventunesima finestra siamo tutti invitati ad andare nel blog di Chicchina AcquadiFuoco
" ... «Un Buon Natale a tutti noi, miei cari. Che Dio ci benedica!»
E tutta la famiglia ripeté quell’augurio ... "
Canto di Natale - Terza Strofa - Il secondo dei tre spiriti
Charles Dickens
Traduzione Stella Sacchini
Per ulteriori informazioni:
Hospĭtālĭtās tra hostis e hospĕs