giovedì 27 gennaio 2022

La strada del perdono

Il primo compleanno di Miriam e Eva Mozes

Il primo compleanno di Miriam e Eva Mozes
Foto dall’archivio di Eva Mozes e dal Museo dell’Olocausto e centro educativo CANDLES

Eva e Miriam Mozes, nascono nel 1934 a Portz in Romania, vengono deportate ad Auschwitz nel maggio del 1944, con loro i genitori e due sorelle che moriranno nelle camere a gas.
Eva e Miriam hanno 10 anni e si salvano perché sono gemelle e come cavie possono essere sottoposte agli esperimenti eseguiti da Josef Mengele.
Nonostante le atrocità subite riescono a sopravvivere e il 12 gennaio 1945 vengono liberate, raggiungono Israele quando hanno 16 anni, dieci anni dopo si trasfericono in America e si stabiliscono a Terre Haute nell'Indiana, qui nel 1985, con lo scopo di ritrovare i bambini sopravvissuti ai lager nazisti, fondano il Candles Holocaust Museum and Education Center.
Miriam a causa degli esperimenti fatti su di lei muore di cancro alla vescica il 6 giugno del 1993, Eva continua a essere testimone dell'Olocausto e nel 2015 stringe la mano a Oskar Gröning che viene processato come ragioniere di Auschwitz, nello stesso anno adotta Rainer Höß nipote del membro delle SS Rudolf Höß perché sceglie la strada del perdono che le permette di liberarsi del passato; muore il 4 luglio del 2019 durante il viaggio annuale in Polonia organizzato dal Candles Holocaust Museum and Education Center.

Miriam e Eva Mozes, la prima a destra e la seconda vicina seminascosta - 1945 - USA Holocaust Memorial Museum, Courtesy of Belarusian State Archive of Documentary Film and Photography

Miriam e Eva Mozes, la prima a destra e la seconda vicina seminascosta - 1945 
USA Holocaust Memorial Museum, Courtesy of Belarusian State Archive of Documentary Film and Photography

" CONOSCO l’odio. So bene che sapore ha, in tutte le sue sfumature. So come si diffonde nello stomaco e, poco per volta, condiziona anche il modo di pensare. E so che cosa vuol dire desiderare la vendetta.
Cosa accadrà?
Conosco l’odio e ancora oggi riesco a vedermi mentre percorro l’Alta Baviera per raggiungere la casa di un uomo, Hans Münch, un medico che lavorava ad Auschwitz, il lager dove ho perso la famiglia e l’infanzia; un «collega» del dottor Mengele, di colui che mi ha umiliata, seviziata e mi ha costretta a guardare in faccia la morte. Mi vedo diretta in Algovia, precisamente a Roßhaupten, un pittoresco paesino di duemila abitanti circondato da prati e montagne, che si sviluppa in modo concentrico intorno a una chiesa barocca con il caratteristico campanile a bulbo, lambendo le sponde di un altrettanto pittoresco lago di montagna.
Porto con me – lo ricordo bene – la mia inquietudine e la mia rabbia contro il mondo e soprattutto contro i tedeschi. Nel mio vocabolario la parola «perdono» non esiste, non è nemmeno lontanamente presente nei miei pensieri, e la sola idea di incontrare un nazista di Auschwitz mi sembra una follia.
Prima di affrontare il viaggio mi ero documentata in modo molto dettagliato, leggendo tutto quello che ero riuscita a trovare riguardo a quell’uomo. Sapevo che il dottor Hans Münch era un vero nazista, mi faceva paura e il mio nervosismo cresceva di chilometro in chilometro, ma non potevo tornare indietro. Avevo affrontato molte notti insonni e, nonostante tutti gli scrupoli e i dubbi sull’esito di quell’incontro, dovevo sapere quali virus e batteri erano stati iniettati a me e a mia sorella Miriam, morta da un anno, dopo che i medici si erano arresi di fronte a insoliti effetti collaterali.

Miriam e Eva Mozes  ad Auschwitz in prima fila - 1945 - Wytwornia Filmow Dokumentalnych I Fabularnych

Miriam e Eva Mozes  ad Auschwitz in prima fila - 1945
Wytwornia Filmow Dokumentalnych I Fabularnych

Miriam e Eva Mozes, ritorno ad  Auschwitz  - Dicembre del 1991

Miriam e Eva Mozes, ritorno ad  Auschwitz nello stesso posto della foto precedente - Dicembre del 1991
Foto dall’archivio di Eva Mozes e dal Museo dell’Olocausto e centro educativo CANDLES
 
Dovevo incontrare quell’ex medico nazista! E non solo perché quando decido di fare una cosa vado fino in fondo, rispettando la parola data come una regola, ma anche perché volevo sapere… Volevo sapere che cosa fosse successo a quell’uomo, come aveva potuto lavorare in un campo di sterminio, come aveva potuto vivere immerso in quell’orrore, come aveva potuto continuare a vivere dopo Auschwitz…
Ricordo una bella casa, circondata da un giardino alberato, e il dottor Münch che mi apre la porta con un sorriso amichevole e mi stringe la mano. Non avevo pensato che potesse succedere. Nella mia mente quell’individuo era solo uno spietato nazista che, dall’alto della propria arroganza, aveva concesso udienza a una povera sopravvissuta come me. Ero partita con l’idea di vedere non solo un tedesco serio che non sorride mai (così immaginavo più o meno tutti i tedeschi), ma un vero e proprio mostro: il sottotenente delle SS Hans Münch, medico di Auschwitz, seguace di Hitler e complice di uno dei peggiori crimini dell’umanità. Quello che mi stringe la mano è però un uomo anziano e gentile con la barba bianca, alto e di bella presenza (anche a ottantadue anni) che assomiglia un po’ a Laurence Olivier nel film Il maratoneta. Il nostro incontro viene documentato da una troupe televisiva che si muove timidamente intorno a noi. La presenza di cameraman e tecnici del suono rende piuttosto anomala l’atmosfera di un momento così intenso. Se pongo domande critiche un produttore olandese mi zittisce con fermezza e il dottor Münch interrompe subito la conversazione. Un addetto si lamenta della cattiva illuminazione. Nel frattempo Münch lascia più volte la stanza per procurarmi dei cuscini. Tutto questo non corrisponde a quanto mi aspettavo.
La notte prima non avevo dormito. Perdo il controllo. «Perché mi porta così tanti cuscini?» «Voglio essere sicuro che stia comoda.»
Un nazista che si preoccupa di queste cose! Non ha alcun senso! Mi sento impaurita e quasi non riesco a parlare; proprio ora che devo cominciare a interrogarlo. Mi sento del tutto impreparata e inizio a fare domande stupide. Un po’ di convenevoli con un medico di Auschwitz che ha visto morire migliaia di persone! Eppure non posso fare diversamente, sia per la presenza del produttore olandese, sia perché avevo già stabilito di cominciare in modo innocuo e di fare soltanto alla fine domande scomode, come: «Cosa sa degli esperimenti che venivano fatti ad Auschwitz?» oppure: «Cosa ha fatto alla fine della guerra?»
Intanto, però, gli chiedo quali sono i suoi hobby… Perché diavolo mi interessano i passatempi di uno sgherro delle SS? Eppure voglio provare a capire la sua mentalità, svelarne il meccanismo. Faccia a faccia.
«Mi piace leggere», risponde, «e cercare funghi!»
Il tono è molto gentile; io sono incredula, non capisco… Dov’è il mostro?
Il diavolo?
«Come ha vissuto ad Auschwitz?» gli chiedo con la bocca asciutta
«Ad Auschwitz», dice sottovoce, «la sera tutte le guardie erano ubriache. L’unica persona vicina a me che rimanesse sobria era Mengele. Era anche l’unico con cui potevo parlare, però non mi ha raccontato niente degli esperimenti. Era tutto top secret.»
Secondo lui, io e Miriam presto o tardi saremmo state uccise e, anzi, gli esperimenti ci avevano preservate da una morte immediata. Mengele gli aveva detto che i gemelli dovevano essergli grati per questo.
Non posso più aspettare.
«Lei era ad Auschwitz, dottor Münch: sapeva dov’erano le camere a gas? Le ha viste? Ne sapeva qualcosa?»
L’uomo deglutisce e china la testa. Poi la rialza e i suoi occhi, che prima mi guardavano in modo così dolce e gentile, improvvisamente sembrano attraversarmi e fissare il nulla. Deglutisce un’altra volta e la parola lascia il posto a un sospiro. «Questo è il mio problema…» deglutisce di nuovo, «è un incubo con cui devo vivere ogni giorno da circa cinquant’anni.» E aggiunge: «A causa dei ricordi di Auschwitz, nella mia vita non ho più avuto un momento di gioia». Poi si chiude in sé per la vergogna e l’orrore. Di fronte a me c’è un uomo distrutto. 
Taccio. "

Ad Auschwitz ho imparato il perdono
Eva Mozes Kor e Guido Eckert
Traduzione di Anna Maria Foli

Eva e Miriam Mozes al tempo del liceo a Kluj - Romania - 1949 Foto dall’archivio di Eva Mozes e dal Museo dell’Olocausto e centro educativo CANDLES

Eva e Miriam Mozes al tempo del liceo a Kluj - Romania - 1949
Foto dall’archivio di Eva Mozes e dal Museo dell’Olocausto e centro educativo CANDLES

7 commenti:

  1. Quanto sa essere grande e potente il cuore di una persona. Sono commossa.
    Ogni volta che leggerò di piccinerie, di stupidaggini scambiate per novità, quando mi intristirò per quel che accade, penserò a questo post e a quello che mi ha raccontato.

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  2. Non resta altro che ricordare!Nelle scuole e nelle famiglie se ne deve parlare.

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  3. Questa storia, e chissà quante altre ce ne sono, ci fa comprendere che dietro i "mostri" resta sempre l'uomo. Grazie Sciarada.
    sinforosa

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