Vi è mai capitato di incontrare il Natale, il Capodanno, la Pasqua o il Ferragosto? E vi è mai capitato che almeno uno di loro, guardandovi negli occhi, vi spiegasse l'origine del proprio nome e il motivo per cui dovesse essere celebrato?
A Michelangelo Buonarroti Il Giovane è capitato, una notte il Ferragosto, svegliatosi la mattina dal suo sonno annuale per esser festeggiato, gli si presenta davanti e gli fa capire la necessità della sua esistenza e Michelangelo si prodiga per raccontare l'accaduto agli Accademici della Crusca.
Il testo risale al 1863 ed è importante sottolineare, come conferma anche il poeta Elio Pecora, che la lingua italiana sia l'unica ad avere la capacità di comprendere sé stessa a distanza di così tanto tempo:
Agosto - Miniatura
XIV secolo
Giacomo Nicolò
Palazzo Pepoli - Bologna
" Conciossiacosaché io, cruschevolissimo nostro Arciconsolo, al cospetto degli amatissimi vostri Crusconi, di alcun tratteniento piacevole, in questa solenne notte, comandandolmi voi, avessi in animo di sollazzarvi; mi era l'ultima sera del passato mese di luglio, per andar pensando della materia, tutto solo nella mia camera, lontano da ogni domestico strepito, già ritirato, quando, avendo pur di quella diliberato (checché se ne fosso cagione), a me parve che in un subito tutta la strada di armi e di grida si sentisse romoreggiare: per la qual cosa, avvisandomi qualche scompiglio nel vicinato esser dovuto succedere, alla finestra incontanente affacciatomi, ebbi veduto due che, ravviluppandosi insieme con istrumenti si fatti che il buio della notte non mi lasciava discernere, si percotevano malamente, i quali poco appresso, per se medesimi dividendosi, l'un dietro l'altro in verso la piazza di Santa Croce a correre incominciarono. Ma perciocché il desiderio degli uomini per picciola dotta non mai s'acqueta, come accade a chi molto di veder cose nuove è vago, io, non contento di quello che aveva veduto, preso a correre incontanente giù per la scala così in farsetto com'era, e quasi del tutto in camicia, e con una rosta in mano, aperto la porta di casa, ed appresso uscendo serratala, per la medesima strada che essi avean preso inviandomi, non ristetti sin fui alle scalee di Santa Croce arrivato. Ed allora alquanto fermatomi, e guardato in verso la piazza, e poscia voltatomi intorno intorno, niuno vergendovi, fortemente presi a maravigliarmi; e venutomi già in pensiero di ritornarmene per la medesima, e alla mia conceputa opera dar principio, udito un non so che di strepito in verso il palazzo de' Cocchi, colaggiù trassi, dove alcuni facchini vi vidi che cosi snellamente come sapete scherzavano e si diportavano; i giuochi de' quali cotanto mi seppero buono che buona pezza di tempo vi spesi riguardandoli perciocché alcuni primieramente di essi a sedere in terra sendosi posti, e tra loro in mezzo posato un fiasco di vino, in terzo alla mora giocavano in questa maniera, cioè, che due per volta , e non più, insieme giocando, chi di loro vinceva, con quello che da prima era rimaso fuori del giuoco veniva alle mani; e così, girando lor sorte, quegli che primieramente alle cinque dita pervenuto era, di un bicchier di vino rimaneva guadagnatore e si lo bevea, e questo fare alla mora in terzo chiamavano eglino il toccafondo. Ma altri poi, che più sobriamente volevan darsi piacere, intorno alla fonte, che quivi ha, un cerchio facendo di lor persone, uno di essi, a cui la sorte toccava, a seder ponevano, cacciandoli sotto un cercine, sovra quel pilastrello che a guisa di piramide nel mezzo di quella fonte si vede su rilevare, e così tutti a uno a uno di buone cercinate lo investivano; e fini a tanto che colle mani uno di quei cercini non carpiva, colassù stava; ma carpendolo, a quello, di cui era il carpito cercine, toccava a esser bersaglio; per la qual cosa molte volte mi risi io del cattivello facchino, cui gli sventurati tempiali da' colpi degli avventali cercini indiscretamente percossi erano. Ma poscia che io quivi a riguardare questo badalucco lungamente fui dimorato, facendomi a credere che a pormi a scrivere l'ora fosse pur troppo tarda, mi misi in cuore, prima che a casa mi ritraessi, per procurarmi più dilettevole il sonno, voler prender un po' di fresco, avvegnaché quivi, per lo riverbero che il giorno vi aveva lasciato il Sole, niente se ne sentisse, dimodoché lunghesso verso le case de' Peruzzi, giù per lo Borgo de' Greci, con animo di arrivare alla fonte di piazza, e quivi alla mia volontà satisfare, presi la via: dove alla fine pervenuto, postomi appoggiato a quei ferri chela circondano, e facendomi vento colla mia rosta, a niuna cosa pensava del mondo, e come uomo a cui niente calesse, attendeva a contar così al barlume, quanti fossero gli sporti ed i merli, che a modo di corona il Palazzo pubblico veggiamo cingere. Ma mentre che io in quella maniera, spensierato del tutto, mi trastullava, ed ecco dalla sinistra parte di verso le Logge venire incontro di me un uomo tutto solo con lento passo, il quale comunque mi si cominciò accostare, mi parve un nuovo uomo; imperciocché egli era di statura corta, di pelle vermiglia, di pelo rosso e lunga, grasso, nerboruto, e di piacevolissima faccia (la quale per lo che io ne vidi dipoi, ben corrispondeva al costume suo), ed era il suo vestimento un lenzuolo, nel quale egli tutto si rinvolgeva.
Costui, appressandomisi appoco appoco, quando per ispazio di quattro passi mi fu vicino, inchinandomisi e salutandomi, disse: Bene stia lo 'mpastato. Io non voglio negare, Accademici , che, sentendomi nominare da una cosi fatta persona, in su quell' ora tra l' ombre della notte che gli spirili e le fantasime sogliono andare in ronda, e da me per allora non conosciuta, non mi sentissi tutto in un tratto rimescolare; ma di ciò accorgendosi egli, per assicurarmi, soggiunse: Non temer niente di mia venuta, imperocché io sono un amico tuo. Al che io subitamente risquotendomi, fui per credere che l'anima dello Infarinato, o dello Stritolato, o di alcun altro de' nostri Padri Accademici apparendomi, mi volesse ad uopo dell'Accademia alcuna cosa parlare, con alcuno ammonimento avvertendomi; ma, veggendolo di cosi fresca figura e cosi diversa da quella che eglino ebbero in vita, che si magri e sparuti furono, una cotal credenza tolsi dell'animo, e delle sue parole, che amico diceva d'essere, feci buon cuore e presi tanto d'ardire, che io l'addomandai di suo essere, e perché cagione da me, che noi conosceva, fosse venuto. Alla qual domanda esso così rispose: Già ho io detto che sono un amico tuo, né per altro che per giovarti mi t'appresso d'avanti. Molti (soggiunsi io) possono essere amici ad altrui, e molti loro intendono giovare; e però, acciocché quelli che il giovamento ricevere dee, al donatore ne abbia grado, ragionevol cosa è che del nome di esso sia fatto certo; sicché molto carissimo mi sarebbe, che tu il tuo nome mi palesassi. Oh, disse egli, tu di' vero, né '1 ti voglio io a patto veruno tener celato; e però sappi che io il Ferragosto sono, persona da te e qualunque altra persona discreta e piacevole, conosciutissimo. Udito questo da me, non potetti tener le risa, e immantinente feci ragione, che, o costui per lo sollione anfanasse a secco, o che l'aria di Vinegia, donde mostrava venire, gli avesse di mala maniera offeso la testa. Ma egli, veggendomi così ridere, prese a dire: Tu ridi, Impastato, credendo forse il nome di Ferragosto esser vano, e non avere dove fondarsi niun soggetto, ed esser totalmente a caso. Certo, che io non tel vo' negare, risposi. Cui egli soggiunse, dicendo: Deh stolto! A che ti trasporta la vana credenza del folle popolo; che tu a rider di me ti muova, da cui ogni tua salute depende e ogni tuo bene? Ascoltami adunque, e perché a ciascuno, e spezialmente a gli Accademici tuoi quello che io dico racconti, attendi alle mie parole, acciocché a te e a loro quello non avvenisse che avvenir suole a coloro che né di me, né del nome mio hanno cura. Tu dei primieramente sapere che non senza la provvidenza di Ferragosto (che, come io t' ho detto, sono io) in questo luogo tu ti ritrovi; imperocché io non vo' che tu creda che quei due che dianzi d' avanti alla tua camera questionavano, uomini vulgari di questa terra fossero che in quel luogo a quel fare, menati dal case si ritrovassero; ma sì benché fossero miei Ferratini (che il medesimo viene a dire quello che voi direste garzoni), i quali quello fanno che a me piace, e vanno invisibili; né ad altra fine quivi vennero, che per trarti di casa, acciocché tu ti dovessi meco incontrare, onde, discorrendo noi insieme, tu apparassi quelle cose che già indovino io che tu mi se' per addomandare. Che coloro fossero invisibili, molto bene il potesti conoscere dallo sparir che fecero quando tu fusti sull'uscio. Allora, forte maravigliatomi io di quel caso, ricominciai a parlare: O benignissimo Ferragosto, assai bene discerno la mia cecità, e conosco esser pur troppo vero quello che tu ragioni, perchè, appena serrato l'uscio, niuno vi vidi e noi potea credere, sì mi pareva una novissima cosa; ma deh! Se tu hai tanta volontà di giovarmi, come tu di', non mi negare queste cose, di che io vorrei che tu mi facessi conoscitore. E pregoti in prima che ti piaccia farmi assapere , chi tu ti sii per origine e qual sia quel gran giovamento che tu mi vogli prestare. Ben lo vedeva io, rispose egli, che tu me n'eri per domandare; ma prima che io tel dica, perciocchè mi conviene trovare alcuni miei amici, sarà buono avviarsi in colà verso la Colonna. Ed io che molto volentieri dissi; e, attraversata la piazza, andando per Calimaruza, giunti alla fine, mi volsi a passare per Mercato Nuovo, pensando per quella via dovere a Santa Trinità pervenire; ma egli, tiratomi un cotal poco per una manica, disse che quella non era la strada nostra, sicché piegando per Calimara, stava aspettando a qual colonna costui mi volesse guidare che di niuna altra mi ricordava. Ma giunti in Mercato Vecchio: Questa, disse, è quella colonna, dove io mi soglio trovare con li miei compagni. Ed accennatami quella, dove i baroni del reame di San Tommaso appoggiatisi, a suon di trombe e di salterelli, prendon la collana del ferro, a piè di essa su gli scaglioni mi fe sedere; e quivi, aspettando io che alla domanda soddisfacesse, così cominciò:
Nel tempo che Carlo Magno re di Francia e imperador di Roma passò in questi paesi, molti grandi uomini, a onor di lui e piacer loro, ne vennero seco, intra' quali il padre mio, che fu un gran baccalare della contea di Belgiojoso, e fu uno, il quale poco dopo la nostra partenza, accomandati a Carlo quattro suoi figliuoli, che tra maschi e femmine eravamo venuti con lui, mori per via. Noi adunque quel buon omaccion seguitando, giungemmo in questa città, dove egli, poiché chiamati i cittadini delle ville, come tu sai, l'ebbe restaurata, qualche tempo ci dimorò, e molti de' suoi ci fe' accasare, e dì nobili privilegj dono lor fece; ed io con tutta la mia brigata ci rimanemmo. Ma Carlo, poiché ebbe acconce queste faccende, deliberato di andarsene, volle prima andar visitando i luoghi circonvicini; per la qual cosa, essendo noi una volta intra l'altre a Fiesole andati, e molte belle cose vedutevi, capitammo colà a quella buca, che delle Fate si dice, dove fin'oggi tu sai molto bene che elle dimorano, le quali ci fecero un bell'onore, imperocché lo Imperadore di belli doni, e di belle cose aveva loro recato: ma quelle in ricompensa li fecero molte cortesie e fatarono molti di quelli ch'erano venuti seco; ma chi in una cosa fatarono e chi in un'altra, perché elle in dimoltissime cose sanno fatare, e da loro fu fatato Orlando, cioè, che non gli potesse essere forala la pelle mai, che da prima non era così, ancorché alcuni dicano che e' nascesse inforabile, e allora fu che Malagigi imparò a gittar l'arte della negromanzia; e così molti di belle fatagioni ebbero da esse. Io, Calendimaggio mio fratello, e la Befana mia sirocchia, fummo tutti, ma variamente, fatati: una scrocchia ebbi che non volle fatarsi mai; in quello che io mi facessi fatare, ti dirò ora. Io chiesi loro che elle facesser sì che ogn'anno da oggi a domani a otto io fossi sempre mai vivo, e che ciascuno dovesse onorare la tornata mia e facessene festa; e così stamani a buon'ora fui fatto vivo. A queste parole non mi potetti tenere, che io noi domandassi, come le fate facessero a farlo vivo. Dirolti, diss'egli; ma prima mi convien dirti come io faccia a morire. Quando io ho a farmi morire, io me ne vo a mezza notte alle Fate, chè non mi è tenuto mai porta, e quivi mettendomi un buon barlotto di vino a bocca, ne beo tanto quanto me ne posso, sicché, addormentandomi, mi muojo allora sì dolcemente che io non me n'accorgo punto. Morto che io sono, le Fate hanno quivi una bella troja grande salata, dove elle mi sotterrano, e poi ricuciono lo sparato da capo a' piè. Quando io mi ho a far vivo, vengon le Fate con un popon di Legnaja, e ponendo il fior al niffolo, ovvero grugno della troja, tengonlovi fermo un gran pezzo, onde io a quello odore, passandomi al cerebre, subito mi rinvengo: sdrucono lo sparato della troja, ed io rizzatomi allora su, son bello e vivo. Ma che si fa egli poi di quella troja, diss'io. Oh mangiansela le Fate, rispose; e ogn'anno quando elle insalano il porco, insalano una troja apposta per sotterrarmivi dentro.
Ma, innanzi che io il mi dimentichi, soggiunsi, dimmi di grazia, Ferragosto, di che fatamento e il tuo fratello e le tue sirocchie fosser fatati. Chi in una cosa e chi in altra, rispose. Calendimaggio si fe fatar nella musica; e però tu vedi che ogn'anno, in quel di ch' e' mori, se gli cantano le canzoni, e più giorni poi: e volle, che in quel tempo i devoti suoi, a suo grand'onore, gli appiccassero il majo. La mia sirocchia maggiore volle esser fatta di lor numero; e fu un grand'animo il suo a chieder una cosi fatta domanda, imperocchè elle non ne soglion fare, se non quando l'anno bisesta, e non vi aveva più che un anno, che era stato bisesto e vi avemmo molto da fare, perché ciò ottenesse ; ma le Fate pur l' accettaron con questo patto, che insieme con l'Orco, castaido loro, ella dovesse far paura a; bambini , che non mangiavano il pan bollito, e che la notte de'sei di di gennajo, a quelli che non avean ben ben cenato, forasse il corpo collo stidione; per la qual cosa, come tu sai, i fanciulli vi si pongon sopra il tagliere, o veramente l'asse del pane. E voler credere, come vogliono alcuni, che la Befana fusse maschio e avesse nome di femmina, e che ella bucasse il corpo alle donne e non a' fanciulli, sarebbe una stoltissima scioccheria, perché non è vero niente. Ben lo credo, diss'io, che mi ricordo purtroppo bene, che, per non esser forato da lei, mi metteva addosso il mortajo, e sentitala alcune volte venire, la conobbi all'odore che ell'era femmina. Quell'altra sirocchia che io ebbi (seguitò egli) non fu altrimenti fatata, ma molto meglio sarebbe stato per lei ch'ella fosse stata fatata, perocché ella non si sarebbe condotta a morir con tanto strazio, come ella fece quella meschina. Io ripresi a chiedere, perché modo ella fosse morta. Al che rispose così: Costei, ritrovandosi una volta gravida, nel tempo della Quaresima, le venne voglia d'un salsicciotto bolognese, e procacciatolo tutto intero, crudo crudo in una volta sel trangugiò. Fu scoperto alla Mozzalingua, la quale in breve processatala, la condannò ad esser segata viva; e perché le fate le addomandassero in dono la vita di lei, non vi fu modo a scamparla dalla mala ventura. Venuta adunque la mattina che ella doveva morire, chiese a coloro che a guastar la menavano, acciocché ella non fosse riconosciuta, che di alcuna cosa la volessero trasfigurare: i segatori tolta la spugna e tuffatala in quel calamajo, dove e' dovean tigner le corde per far la riga a segarla dirittamente, la le fregarono al viso, e un vestire che pareva da monaca indosso le misero; e poscia, fattale una tacca, i denti appiccativi della sega, segarono lei e chi le era in corpo in un medesimo tratto, senza niuna misericordia. E da quell'ora in qua ogn'anno nel dì della mezza Quaresima, i fattori delle vostre botteghe, in memoria di tanto caso, fregate le lor berrette al cammino o alla padella, si tingono l'un l'altro la faccia, come vedete, ed al luogo che forse per questa cagione è chiamato Piazza Padella, rinnuovano il doloroso spettacolo in una immagine di legno, che, a similitudine di quella vestita, chiaman la Monaca; come tu, portando la tua scala in ispalla, debbi a guisa, come molti fanno, più volte esser andato a vedere. E qui fermatosi alquanto, segui dicendo: E avvegnaché io non ti abbia ancora detto per qual cagione io Ferragosto mi chiami, io '1 pur ti dirò, perché tu a favole d'abbajatori non porti fede. Sappi adunque che io solamente cosi son detto, perché, siccome i manescalchi quando ferrano i cavalli, gli asini e l'altre bestie, le rendon più gagliarde e più forti, così io, quando voi la mia solennità celebrate, perché vi fo empiere lo stomaco di buone cose, onde voi più prodi e più gagliardi vi fate, vengo in un certo modo a ferrarvi; e perché nel mese di agosto avviene, Ferragosto mi addomando; quantunque voi, anzi grossi che no, chiamiate ferrare agosto, quando pur da Ferragosto voi stessi ferrati siete; ed in segno di ciò (non già che di questi strumenti a ferrare avesse mestieri), apertosi un lembo di quel lenzuolo che lo cigneva, mostrommi (siccome i nostri manescalchi veggiamo avere) il grembiule di cordovano, nel mezzo del quale una tasca stava cucita, e dalla cintola pendergli un pajo di tanaglie, un martellino e una campanella, dentro la quale un incastro col manico all'ingiù era fitto.
La Fruttivendola
1578 - 1581
Vincenzo Campi
Pinacoteca di Brera
Ma perché tu mi domanderesti forse, diceva egli, perché questo tempo più che altro abbia eletto a ferrarvi, dirolti: e ciò avviene, perciocché miglior ferri, cioè migliori vivande, e che più ringagliardiscono altrui che in tutto il tempo dell'anno, di questo mese si trovano. E prima dirò de' poponi, i quali tante virtù portan seco che tutta la notte passerebbe a contarleti: i fichi e l'uve (queste l'ambrosia e quelli il nettare degli Dei) e mille buone frutte che il soverchio ardore ne' corpi intiepidiscono;
La Pollivendola
1590 - 1591
Vincenzo Campi
Pinacoteca di Brera
ma quello che importa i pippioni di più sorte, i pollastri, i leproni, gli starnotti, i rigogoli, i beccafichi, i vini più preziosi che mai, i quali si vivaci ed odorosi spiriti mandano al capo che bene è morto colui che a tale odore non si risente; tutte cose son queste dalla mensa di Giove quaggiù cadute, il quale anch'egli il Ferragosto lassù facendo, delle sue vivande migliori a voi mortali distribuisce, nè d'altro tempo tante insieme mai le fa piovere. E dove hai tu veduto che d'altra stagione tanti doni l' aria e la terra insieme producono, che vaghe di rinnovellare anch'elle l'onoranza di Ferragosto, par che si sforzino in partorirgli? Per queste parole da me udite, mi sentii prendere il cuore da tanta dolcezza che, abbandonate le membra d'ogni virtù, nelle braccia di Ferragosto mi svenni. La qual cosa da lui veduta, tratto subitamente della sua tasca un turacciol di fiasco e un picciuol di popone, gli smarriti spiriti in me al lor officio incontanente ritrasse; e considerato questo accidente, perché di nuovo non mi assalisse, di cotal materia più non parlò ; ed io che cosi fuor di me era stalo, non mi ricordando di quello che da prima ragionavamo, uscendo un po' di proposito, dissi aver disiderio sapere, quello che nel restante dell' anno, quando non è vivo, facesse. Laonde, rincominciando egli a parlare, rispose: Tu mi hai giunto oramai a quel passo che io per soddisfare all'ultima tua domanda e mostrarti l'utilità in te di mia apparizione, voleva varcare; e però dicoti che e' si vuole aver mente al mio favellare. Subito che io son rinchiuso in quella troja, come hai inteso, vengono a me invisibilmente quattro de' miei Ferratini; e trattomi di quella, senza che punto si paja (con intenzione di riportarmivi un diinnanzi che io mi debba far vivo), mi mettono in un bellissimo letto di rensa, che ha le coperte tutte dj seta, con bellissima arte ricamate che mai una cosi fatta cosa non fu veduta; e portanmi in un baleno, che io non m'avveggo, in terra de' godenti, che è uno pur de' più bei paesi che sia in tutto il mappa mondo di terra ferma, e quivi in una contrada, a un palagio che si chiama Dolcemagione, mi fermano, dove subito che io son giunto, vengono a me i Godenti a vedermi e a visitarmi, e di bonissime cose mi recano: nè ti potrei mai dire, quanti siano i capponi, le cotornici belle e cotte, e le torte che coloro mi portino. Ma in che modo fai tu, allora diss'io, che queste tante cose, ora che è sì gran caldo, non ti si infracidino? Infracidare, diss'egli? I miei Ferratini, ed io, ce le mangiamo tutte in un desinare, come se elle fosser niente. I balli, le feste, le merende, che si fanno così alla mia tornata, come d'ogni tempo, non si veggono in niun lato: e di più ti dico che io son signore di quel luogo, e posso comandare a' godenti e a tutti gli altri, che ve ne capitano tuttavia. Oh de' nostri paesi, soggiunsi io, vienv'egli persona mai? Mai sì, che ve ne viene, rispose, ma pochi: nè da Maso del Saggio in qua e Ribi da S. Godenzo, non si trova esservi venuto de' vivi altri che il Lasca vostro, il quale molto vi fa accarezzato. Gli altri (che è quanto a tao giovamento spezialmente ti debbo dire), così uno come tutti, d'ogni parte vi capitano, i quali se qua mi hanno avuto in venerazione, colà guiderdone riportano; e se mi han dispregiato quelle pene che udirai patiscono.
La Cucina
1590 - 1591
Vincenzo Campi
Pinacoteca di Brera
Perciocché quando a Dolcemagione arrivano uomini che qua mi siino stati fedeli, io gli fo lutti Piomboni di mia man propria che sono come se tu dicessi in volgare cavalieri e conti, ed investoli di buone possesioni, e di belle tenute li fo signori; e a chi dono un barco di lepri, a chi uno di fagiani e di tortole; e a chi una peschiera di trote: e a chi altro: Basta che, senza niun costo loro, io gli fo diventare uomini di gran conto. Ma per lo contrario coloro che non mi fecero di qua onore, venuti in terra de' godenti, non già a Dolcemagione arrivano; ma pervengono in una scurissima valle, al fine della quale in una gran selva, dove s'appiattano molte fiere mordaci, trovano una caverna in una grotta che è chiamata Portascura, la quale, perché nell'entrata è alquanto bassa, fa bisogno che trapassino a capo chino; ma quella passata, si trovano in una gran largura, dove senza niun dimoro, sopraggiunti dai miei Ferratini, e strettamente legati, sono da loro al martoro, che tu udirai, subitamente condotti. Imperocchè e' sono menati a ferrarsi ; ed il modo del ferrarsi si è che i Ferratini, affettati certi cocomeri, e misurate le fette a modo di suolo, le conficcano ne' piedi de' condennali; e questo fanno, perché, siccome essi di qua non voller esser ferrati da Ferragosto, cosi quivi conversa pena sofferir debbano del loro fallo: e questo fatto, insieme legano loro gli stinchi e le mani di dietro; e guidatili giù per una ruga molto lunga che si nomina Batticul, che ha il pavimento tutto di pan di sapone, in diverse schiere accoppiatili, al suon d'una zucca vota (come voi i barberi colla tromba) tutti si fanno muovere; e poi son lor dietro con istaffili di sovattolo, e si gli percuotono come i vostri fanciulli fanno colle bucce d' anguille intorno quel bordelletto ch' e' chiaman Fattore; e fin che gli sciagurati non hanno ben quattro volte in questo modo quella via corsa, per quel giorno non rifinano di staffilarli. Le culate e i cimbottili che i miseri a otta a otta baltan per terra, pensali tu! Quest'altra pena usano ancora per gastigarli, perché eglino gli menano sopra quella montagna di formaggio grattato che tu sai che Maso del Saggio esservi a Calandrin raccontava; e quivi, facendoli stare intorno a quella caldaja, cavali con certe mestole i ravioli di essa, così bollienti gli cacciano loro giù per la gola. Se per avventura gli sputano, sono da' Ferratini rinvolti que' raviuoli in un vaso pieno di pania e di nuovo rimessi in gola a coloro, i quali biasciando e appiastricciando la lingua e '1 palato insieme, non li potendo sputare, lunga pezza a inghiottirli penano. E con questi dimoltissimi altri tormenti danno loro, i quali se io te li volessi contare, non potrei mai. Dimodoché per queste cose hai potuto comprendere di quanta importanza sia l'avermi in venerazione, e quinci veduto il giovamento che io dissi averli recato la mia venuta, la quale più a te che ad altro è apparsa, acciocché tu, che più anni continovi non m'onorasti, al tutto non ti dimenticassi di Ferragosto. E avvegnaché a te tocchi di breve a ragionare colla tua Crusca, in vece di dirle novelle, una cotal visione i' vo' che le narri, acciocché non si cessi di farmi onore; e così a tutte le tue domande, quantunque confusamente, mi pare aver soddisfatto. Udite queste cose da lui, tremando tutto per la paura di que' ravioli bollienti e di quelle malissime staffilate, incominciai a dire: O giustissimo e sapientissimo Ferragosto, alla cui solennità celebrare, dopo tante perturbazioni di malattie, le Fate mi han riserbato, grazie immortali ti rendo del singolarissimo beneficio: e sta' pur sicuro che io colla mia Crusca ti mostrerò coll'onorarti sovente, quanto gratissimo mi sia stato. Egli allora, veduto un non so chi (che a me sembrava il Gallina), baciatomi in fronte amichevolmente, mi disse, non potersi meco più dimorare; e partitosi, verso colui andandone, per contentissimo mi lasciò. Rimaso io così solo, e pieno di lieto stupore, perciocché era molto tardi, a casa mi ritornai: e prima messo bocca a un fiasco, ed un buon sorso di vino tiratone giù, con quel lattovaro me n'andai a letto. Ora tutte queste cose a voi, Accademici, ho narrate per la commissione di Ferragosto, la qual commissione che io in altri discorsi non sia entrato (come intendeste che io far dovea) è stata cagione. Nò prima che ora l'ho raccontate, conciossiaché il preparamento che io sapeva voi per quest'anno di Ferragosto aver di già messo in ordine, dilazione mi concedesse. Onoriamolo adunque sempre, perciocché avete veduto che dal farlo o no, molto di male e di bene ne puote nascere e resultare; e se a mio senno faceste, niun mese trapasserebbe, in cui la solennità del giocondissimo Ferragosto non fosse orrevolissimamente rinnovatala da voi. "
Sopra il Ferragosto
Michelangelo Buonarroti - Il Giovane
Buon Ferragosto!
Cara Sciarada, questo si che è un grandioso post, oggi il tempo premia coloro che festeggiano il ferragosto!
RispondiEliminaCiao e buon ferragosto cara amica.
Tomaso
Mi è piaciuto moltissimo leggere questo articolo!
RispondiEliminaBuon ferragosto!
Un abbraccio!
Nuovo post sul mio blog!
Ti aspetto da me se ti va!
http://lamammadisophia2016.blogspot.it
Buon fine agosto,Sciarada,corre il tempo (o sono lenta io?)Sempre piacevole passare da Te e arricchire la mente,Un abbraccio.
RispondiEliminaE il povero Augusto? Buon fine agosto Sciarà!
RispondiEliminaPatrizia
Sta a dormì'
EliminaConciossiacosaché ha funzionato e bravo Michelangelo.
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