Romano de Roma, tu ci tenevi. 10 album da cantante, 8 opere liriche dirette, 33 fiction, 42 film, 51 spettacoli teatrali da attore e 37 da regista, il Brancaccio, il Globe Theater, maestro di grandi talenti: Chiara Noschese, Enrico Brignano, Flavio Insinna, Francesca Reggiani, Gabriele Cirilli, Giorgio Tirabassi, Massimo Wertmüller, Paola Tiziana Cruciani, Rodolfo Laganà, Sveva Altieri. 54 anni di carriera.
Il tuo cuore ha smesso di battere questa mattina alle 5.30, lo stesso giorno in cui 80 anni fa a Villa Margherita emise il suo primo palpito.
Ciao Gigi
" ... Il palazzo si trova in via di Sant’Eligio, una traversa di via Giulia, esattamente nel cuore di Roma. La casa in cui sono nato.
Mi piace sapere d’essere venuto al mondo lì, nel centro assoluto della città, anche se di quel periodo non ho alcun ricordo.
M’hanno detto, e tutto sommato ci credo, che, ahimè, sono nato il 2 novembre del 1940, da Romano Proietti e Giovanna Ceci, già benedetti cinque anni prima dall’arrivo di mia sorella Annamaria, una donna dolce, intelligente e solare come nessuna. La mia era una famiglia di cui non è semplice parlare, e non perché non ci volessimo bene – tutt’altro –, ma perché quando comincio a raccontare le storie di mia madre e mio padre ho sempre l’impressione che i fatti in sé non dicano mai abbastanza, oppure che spingano chi mi ascolta a concentrarsi su dettagli fuorvianti. Quando si ha a che fare con due persone come loro, chi scrive deve andarci piano con gli aggettivi ed evitare di spingere troppo sul pedale della nostalgia, mentre chi legge deve sforzarsi di cancellare e ricostruire da zero le proprie idee sul significato di parole impegnative come «sofferenza» e «povertà».
Tenete presente che stiamo parlando di due persone cresciute all’ombra di due guerre, in famiglie dell’Ottocento, nella provincia contadina di un’Italia che ancora non parlava una lingua sola, ma che era una giungla di dialetti, dove pochi chilometri erano una distanza abissale e dove il lavoro manuale – fatta eccezione per pochissimi ricchi – non era prerogativa dei più poveri: era semplicemente la regola.
Perché faccio questo preambolo? Semplice, perché non amo la commiserazione. Oggi si tende troppo spesso a pensare a quel passato come a un’epoca di miseria nera, di sofferenze indicibili. Però, quelli erano anche anni in cui si viveva di poco, quasi di niente, perciò parlare di quei tempi calcando la mano sulle scene strappalacrime vuol dire concentrarsi sul melodramma del particolare e perdere di vista l’insieme. Che cosa vuol dire «povertà» se tutti intorno a te mangiano lo stesso pane nero? Che cosa significa «sofferenza» se tutti quelli che conosci affrontano le tue stesse difficoltà? Certo, ai nostri occhi la vita quotidiana di un italiano medio dei primi del Novecento non può che sembrare un inferno. Vale anche per me, che sono figlio di due persone cresciute in quel mondo, ma questo non vuol dire che i miei genitori mi abbiano cresciuto facendomelo pesare. Né io né mia sorella Annamaria abbiamo mai dovuto sorbirci racconti epici di marce nella neve o di interminabili digiuni, eppure mia madre e mio padre avevano cominciato a lavorare che erano ancora piccoli, beccandosi la dose di fatica e sacrificio comune ai bambini della loro epoca ... "
Tutto sommato
Gigi Proietti
Condoglianze alla famiglia
RispondiEliminaGrande Proietti... come artista e come persona.
RispondiEliminaFra i doni che madre natura gli ha concesso, c'erano anche la bellezza e il fascino... e sono rimaste anche sul suo viso di ottantenne.
Ciao Sciarada.
P.S.: Non conoscevo quel tratto di biografia... grazie.
Er core suo batte ner nostro
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