Diciottesima finestra del Calendario dell'Avvento del Focolare dell'Anima - IX Edizione Natale 2022
Giacobbe disse:
«No, ti prego, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, accetta dalla mia mano il mio dono, perché io sto alla tua presenza, come davanti a Dio, e tu mi hai gradito.
Accetta il dono augurale che ti è stato presentato, perché Dio mi ha favorito e sono provvisto di tutto!». Così egli insistette e quegli accettò.
Esaù disse: «Partiamo e mettiamoci in viaggio: io camminerò davanti a te».
Genesi 33, 10 -12
Riconciliazione di Giacobbe ed Esaù
1628
Peter Paul Rbens
Palazzo di Schleisheim - Monaco di Baviera Germania
Il dono, compagno dell'ospitalità, in ebraico מתנה/mţnh, in greco δῶρον/doron, in latino donum, ha la stessa radice indoeuropea del verbo dare *deh₃ che indica il δος/dôs - l'idea del dono che si esprime nella δωρεά/dôreá - l'azione del dare spontaneamente senza pretendere nulla in cambio.
Una luce splendida brillerà sino ai confini della terra:
nazioni numerose verranno a te da lontano,
gli abitanti di tutti i confini della terra
verranno verso la dimora del tuo santo nome,
portando in mano i doni per il re del cielo.
Generazioni e generazioni esprimeranno in te l’esultanza
e il nome della città eletta durerà per le generazioni future.
Tobia 13, 13
Il dono rinsalda i vincoli di appartenenza e tende a crearne di nuovi, trova le sue radici nella storia dell'uomo che appena nasce lo riceve gratuitamente come nutrimento attraverso il latte che sugge dal seno materno, ma il δόσις/dósis dono o veleno in potenza può attualizzare se stesso come portatore di pace o come portatore di veleno che rompe i vincoli.
Nel VI canto dell'Iliade, sul campo di battaglia, Glauco, guerriero troiano, e Diomede, guerriero greco, scoprono di aver ereditato dai loro padri il vincolo di ospitalità e per non romperlo depongono le armi, Diomede offre le sue di bronzo e Glauco ricambia con le sue d'oro, offrendo così come prevede la consuetudine un bene superiore a quello ricevuto ma poiché Giove lo ritiene impari toglie la ragione a Glauco:
" ... Glauco, d’Ippòloco figlio, nel mezzo, e il figliuol di Tidèo,
d’ambe le parti convennero, entrambi bramosi di pugna.
Or quando l’un contro l’altro movendo, già eran vicini,
primo a parlare prese l’ardito guerrier Dïomede:
«Da quale umana stirpe provieni tu mai, valoroso,
ch’io prima d’ora non t’ho visto mai nella nobile zuffa?...
... «Ospite dunque antico per parte di padre a me sei.
Sappi che accolse Enèo magnanimo sotto il suo tetto,
per venti giorni, Bellerofonte, l’eroe senza pecca.
Fecero poi, l’uno e l’altro, ricambio di doni ospitali.
Enèo diede una fascia di porpora bella, fulgente,
Bellerofonte una coppa di gemina faüce, d’oro,
ch’io custodita in casa lasciai quando venni alla guerra.
Non mi ricordo Tidèo: ché quando ero piccolo tanto,
ei mi lasciò; ché quel sire d’Achivi spirò sotto Tebe.
Ospite dunque io sono per te, se tu in Argo venissi,
tu ne la Licia a me, se tra il popolo io giungo dei Lici.
Anche per ciò nella pugna le lancie evitiam l’un dell’altro.
Molti a me restano sempre Troiani e valenti alleati
da sterminare, se un Dio me li offre, se al corso li aggiungo:
restano molti Achivi per te, se ad ucciderli vali.
Su via, dunque, tu ed io scambiamoci l’arme: ché tutti
veggano quale ci stringe dagli avi legame ospitale».
Dette queste parole, balzati dai cocchi giú a terra,
strinser la mano l’uno dell’altro, scambiaron la fede.
Ed il Croníde Giove del senno qui Glauco fe’ privo,
che col figliuol di Tidèo scambiò l’armi sue: queste d’oro,
quelle di bronzo; e die’ cento giovenchi per nove giovenchi ... "
Iliade - Canto VI
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli
Lo scambio di doni tra Glauco e Diomede - Pelike attico a figure rosse
420 a.C. circa
Gela - Museo Archeologico Regionale
Nel VII canto il combattimento tra Ettore e Aiace non produce alcun vincitore, il sangue non viene versato e per tradizione le loro armi diventano dono l'uno dell'altro.
" ... Aiace, un dio t'ha dato forza e grandezza
e sapienza; con l'asta sei il primo degli Achei;
mettiamo fine adesso alla battaglia e alla lotta
per oggi; poi combatteremo ancora, fin che un dio
ci divida e conceda agli uni o agli altri vittoria;
ormai scende la notte, buono è obbedire alla notte.
... E diamo entrambi nobili doni all'altro,
che possa dir qualcuno fra i Troiani e gli Achei
"Han lottato quei due nella lotta che il cuore divora,
ma si son separati riconciliati e amici"».
Parlando così gli diede la spada a borchie d'argento,
col fodero gliela donò e la cinghia tagliata con arte;
Aiace gli diede la fascia splendente di porpora ... "
Iliade - Canto VII
Omero
Traduzione Rosa Calzecchi Onesti
Nel XXIV canto dell'Iliade il dono esprime tutto il suo potere distruttivo generato dal giudizio di Paride:
Al banchetto delle nozze di Teti e Peleo non viene invitata la dea della discordia Eris che per vendicarsi getta tra gli invitati una mela d'oro su cui è incisa la frase "alla più bella", Era, Atena e Afrodite se la contendono litigando e poiché Giove non vuole decidere a chi darla incarica Ermes di portare le tre dee da Paride principe di Troia, il più bello dei mortali prediletto da Ares. Era in cambio del dono gli promette la ricchezza, il potere e la gloria, Atena la sapienza e l'imbattibilità in guerra, Afrodite l'amore di Elena, la donna più bella del mondo che è sposa di Menelao. Paride dona la mela ad Afrodite attirandosi l'ira delle altre due dee che diventa l'antefatto per cui si scatena la guerra di Troia.
" ... Fu tale avviso a tutti gradito; ma spiacque alla sposadi Giove,
e all’occhiazzurra Fanciulla, e al Signore del ponto:
serbavano essi l’ira concetta contro Ilio, ed il sire
Príamo, e la gente d’Ilio, per colpa di Pàride, quando
egli le Dive offese, venute a cercarlo all’ovile,
e quella esso prescelse che offerta gli fe’ del piacere ... "
Iliade - Canto XXIV
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli
Il giudizio di Paride
1632 - 1635
Peter Paul Rubens
National Gallery - Londra
Nell'Odissea il dono come elemento integrante dell'ospilità lo troviamo nel canto primo offerto da Telemaco ad Atena:
" ... «Ospite, tu mi rivolgi parole che ispira l’affetto,
come a suo figlio un padre; né mai m’usciranno di mente.
Ma su, rimani adesso, per grande che sia la tua fretta,
sí che tu faccia un bagno, che possa allegrare il tuo cuore,
ed alla nave lieto ritorni, recandovi un dono,
bello, d’eccelso pregio, che tu per ricordo mio serbi,
come l’usanza vuole che l’ospite all’ospite porga».
E gli rispose cosí la Diva dagli occhi azzurrini:
«Non trattenermi, ché assai del viaggio mi spinge la brama;
e il dono che l’amico tuo cuor ti consiglia di darmi,
me lo darai, che a casa lo porti, quando io qui ritorno.
Sceglilo bello assai, ché n’avrai ben degno ricambio» ... "
Nel canto ottavo, undicesimo e tredicesimo i feaci i doni li offrono a Ulisse:
" ... Taccia Demòdoco, dunque, ché tutti vogliamo esser lieti,
l’ospite, e noi che ospizio gli diamo: ché questo è pel meglio.
Ché noi per reverenza di lui tutto abbiamo apprestato,
la scorta, e i cari doni che a lui con affetto porgiamo.
Un peregrino, un ospite, al par d’un fratello è diletto
all’uom che in seno accolga barlume, anche poco, di senno.
Ma non volermi anche tu celare con scaltri artifizi
quanto io chieder ti voglio. Per te meglio val favellare.
Dimmi il tuo nome, come solevano in patria chiamarti,
la madre, il padre, i tuoi cittadini, le genti vicine:
ché non c’è uomo al mondo, sia nobile, sia della plebe,
che senza nome affatto rimanga, una volta ch’ei nacque;
ma, quanti nascono, a tutti lo pongono i lor genitori.
Dimmi la patria tua, la città, la tribú: ché le navi
possano a quella mèta rivolger la mente, e condurti.
Odissea - Libro Ottavo
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli
" ... Or l’ospite, per quanto gli tardi tornare alla patria,
sino al novello giorno s’induca a restare, ch’io tutti’
abbia raccolti i doni. Si lasci il pensier del viaggio
alle mie genti, e a me, che sono del popol signore».
E gli ripose Ulisse, i’accorto, con queste parole:
«Alcinoo re, che insigne sei tanto fra gli uomini tutti,
anche se voi mi diceste che un anno io restassi, e frattanto
in’apparecchiaste voi la scorta, e m’offriste presenti,
contento io ben sarei: ché certo sarebbe pel meglio
ch’io con le mani colme tornassi alla terra materna:
piú mi farebbero onore, piú allora diletto sarei
a quanti me tornato vedessero in Itaca alpestre» ... "
Odissea - Libro Undicesimo
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli
" ... Ed a ciascuno di voi propongo e fo invito, o signori,
che nella casa mia solete il purpureo vino
bevere annoso, e udire le dolci canzoni del vate:
l’ospite nel forziere lucente già vesti possiede,
l’oro foggiato in vari lavori possiede, e i regali
tutti che gli hanno qui recati i signori Feaci;
ma via, ciascuno adesso doniamogli un tripode grande,
ed un lebete: ché poi, chiamate a raccolta le turbe,
ci rivarremo: che è duro largir senza avere compenso» ... "
Odissea - Libro Tredicesimo
Omero
Traduzione Ettore Romagnoli
Ulisse alla corte di Alcinoo re dei Feaci
1813 circa
Francesco Hayez
Collezione d’Arte della Banca d’talia - Roma
Nel canto quindicesimo i doni ospitali Menelao li offre a Telemaco che è alla ricerca del padre:
" ... «O Menelao, figliuolo d’Atrèo conduttore di genti,
stirpe di Numi, dammi congedo ch’io torni alla patria;
perché l’animo mio già brama la casa paterna».
E Menelao, maestro dell’arte di guerra, rispose:
«Piú lungo tempo non vo’, Telemaco, qui trattenerti,
se ritornare tu brami. Ch’io biasimo ad altri darei
che verso l’ospite suo mostrasse fervore eccessivo,
od eccessiva freddezza; ché in tutto val meglio misura.
Mal si comporta, cosí chi l’ospite contro sua voglia
spinge a partire, come chi vuol trattenerlo se ha fretta.
Resta però, sin ch’io bei doni ti rechi, e sul carro
li abbia disposti, che tu li vegga; e comandi a le ancelle
che ne la casa bene provvista preparino il pranzo.
Gloria fiorita, e ristoro, sono esse due cose che gode
chi ben pasciuto viaggia sovressa la terra infinita.
E se tu vuoi far viaggio per l’Ellade, e in mezzo al paese
d’Argo, i cavalli aggiungo, che súbito vengano teco,
e nelle varie città ti guidino. E niun rimandarti
a mani vuote vorrà, ma farti ciascuno un presente,
sceltolo dai lebèti, dai tripodi fusi nel bronzo,
od una coppia di muli, o qualche bel calice d’oro».
Stiamo, sinché Menelao, l’insigne figliuolo d’Atrèo
giunga, e i doni ospitali ci rechi, e li ponga sul cocchio,
e, favellando parole soavi, il congedo ci dia.
Chi l’ospitalità riceve, per tutta la vita
l’uomo ricorda che a lui l’offerse con cuore amoroso».
Disse; e ben presto spuntò l’Aurora dall’aureo trono ... "
Odissea - Libro Quindicesimo
Omero
Ettore Romagnoli
Il dono come strumento che avvelena i rapporti e li rompe attraverso l'inganno è ben ravvisabile in vari miti:
Giove inganna Πανδώρα/Pandora, il cui nome da πᾶv/pân - tutto e δῶρον/dôron - dono significa tutti i doni; sfrutta la sua curiosità che la indurrà ad aprire il vaso da cui usciranno tutti i mali destinati ad affligere il genere umano
" ... chiamò questa donna
Pandòra; perché quanti Celesti han soggiorno in Olimpo,
a lei diedero un dono che fosse cordoglio ai mortali.
Compiuto or questo inganno sottil, senza scampo, il Croníde
mandò l’araldo pronto dei Numi, l’insigne Argicída,
a Epimetèo, ché il dono gli offrisse; né quegli ricordo
ebbe che Prometèo predetto gli aveva che doni
non accettasse mai dal Sire d’Olimpo, ma invece
li respingesse: ché poi, non toccassero danni ai mortali:
l’accolse; e poi comprese che aveva accattato il malanno.
Ché pria vivean le stirpi degli uomini sopra la terra,
dai mali immuni, senza gravosi travagli, lontano
dai tormentosi morbi che gli uomini adducono a morte:
ché, tra i malanni, presto vecchiaia colpisce i mortali.
Ma quella femmina il grande coperchio del doglio dischiuse,
con luttuoso cuore, fra gli uomini, e i mali vi sparse.
Solo il Timor del futuro restò sotto l’orlo del doglio,
nell’infrangibile casa, né fuori volò dalla porta,
perché prima Pandora del vaso il coperchio rinchiuse,
come l’egíoco Giove, che i nuvoli aduna, le impose ... "
Le opere e i giorni
Esiodo
Taduzione Ettore Romagnoli
1896
John William Waterhouse
Collezione privata - Melbourne
Il centauro Nesso in punto di morte dona a Deianira il suo sangue facendole credere che le sarà utile come filtro d'amore, lei lo spargerà su quella veste che donata a Ercole ne provocherà la morte tra dolori atroci.
" ... «O figlia del vecchio Eneo, se presti ascolto alle mie
parole
ricaverai un grande guadagno da questo mio guado,
perché è l’ultimo.
Raccogli nelle tue mani il sangue che si rapprende sulle
mie ferite,
proprio nel punto in cui l’Idra di Lerna
ha intriso il dardo con la sua bile scura, velenosa:
sarà per te un incantesimo sul cuore di Eracle
e qualunque donna egli veda non la amerà più di te».
E io mi sono ricordata di questo, mie care,
e ho imbevuto questa tunica con il sangue di Nesso
che avevo conservato ben nascosto dentro casa, dopo la
sua morte,
seguendo anche tutte le istruzioni che mi aveva dato da
vivo.
Tutto è stato compiuto.
Io non vorrei sapere, e neanche apprendere, sacrilegi
rischiosi,
e detesto le donne che si azzardano a compierne.
Ma se incatenando Eracle con filtri e incantesimi potessi
spuntarla su questa ragazza,
l’inganno è pronto ... "
Trachinie
Sofocle
Traduzione Angelo Tonelli
Ratto di Deianira
1620-1621
Guido Reni
Museo del Louvre - Parigi - Francia
Medea, come dono di nozze, offre a Glauce, promessa sposa del suo Giasone, un peplo che una volta indossato la ucciderà prendendo fuoco.
" ... Medea - Ti aiuterò in questo tentativo.
Le manderò i doni, lo so bene,
di gran lunga più belli che ci siano:
un peplo sottile e una corona d’oro,
e saranno i nostri figli a consegnarglieli.
Che un’ancella me li porti qui, al più presto!
Sarà felice non una, ma diecimila volte,
perché ha sposato un uomo eccellente come te,
ed entra in possesso di quei beni preziosi
che il Sole, padre di mio padre,
aveva donato ai suoi discendenti.
Su, bambini, prendete questi regali di nozze,
e offriteli alla principessa, alla sposa felice!
Non sono certo da disprezzare, i doni che riceverà...
...Medea Piantala!
Si dice che i doni riescano a persuadere anche gli dei.
L’oro vale più di infinite chiacchiere, per i mortali.
La buona sorte è con lei, il dio la fa prosperare,
è così giovane ed è già una regina.
Io darei la mia vita, non solo l’oro,
per risparmiare l’esilio ai miei bambini.
Forza, figli miei, entrate nel palazzo sontuoso
e scongiurate la nuova sposa di vostro padre, e mia padrona,
offritele peplo e corona, imploratela
che non vi bandisca da questo paese!
Bisogna che riceva questi doni
proprio nelle sue mani, al più presto.
Presto, andate! Fate tutto per bene!
E poi tornate, riportando a vostra madre
il lieto annuncio che ha raggiunto il suo scopo.
Messaggero - Quando i tuoi due figli arrivarono con il padre
ed entrarono nelle stanze della sposa,
noi servi che soffrivamo per le tue disgrazie ne fummo felici.
E subito correva di orecchio in orecchio l’annuncio
che tu e tuo marito avevate fatto la pace.
C’era chi baciava le mani dei bimbi, chi la testolina bionda.
Anch’io ero contento di accompagnare i tuoi figli
negli appartamenti delle donne.
La padrona, a cui adesso vanno gli onori che un tempo
tributavamo a te,
prima di vedere i tuoi due bambini,
volge su Giasone il suo sguardo innamorato.
Ma poi si coprì gli occhi e girò dall’altra parte il suo viso
candido,
disgustata per l’arrivo dei tuoi figli.
E tuo marito placava lo sdegno e la rabbia della giovinetta con
queste parole:
«Non odiare chi amo, deponi la tua collera e voltati,
considera tuoi cari coloro che lo sono per il tuo sposo.
Accetta i doni e chiedi a tuo padre di liberarli dall’esilio, per
amor mio».
E lei, a vedere il peplo e il diadema, non seppe resistere
e cedette a tutte le richieste dello sposo.
E prima che il padre e i tuoi figli fossero lontani dalla casa
prende il peplo multicolore e lo indossa;
e dopo essersi messa sui riccioli il diadema d’oro
si acconcia i capelli davanti allo specchio fulgido,
sorridendo all’immagine inanimata del suo corpo.
Poi si alza dal seggio e attraversa le stanze,
incedendo con eleganza sul candido piede,
e gioisce fin troppo dei doni, e più di una volta
si volta indietro, sulla punta dei piedi, per rimirarsi tutta
quanta.
Quello che accadde dopo fu spettacolo tremendo a vedersi:
muta colore, arretra sghemba, è tutta un tremito,
e a stento riesce a rovesciarsi su un seggio, a non cadere per
terra.
Medea
Euripide
Traduzione Angelo Tonelli
Medea offre i suoi doni a Glauce
Cratere a campana a figure rosse - 390 a.C. circa
Louvre - Parigi - Francia
Il Cavallo di Troia dono funesto dei greci è percepito come tale da Laocoonte che, con la famosissima frase Timeo Danaos et dona ferentes, tenta di avvertire i suoi compagni troiani e paga con la vita, sua e dei suoi figli, l'opposizione alla volontà degli dei.
" ... Qui avanti a tutti, alla testa di una grande folla che lo accompagna,
Laocoonte con ardore corre giù dall’alta rocca
e da lontano: “O sventurati, che follia è la vostra, cittadini?
Credete i nemici lontani o pensate che mai
un dono dei Danai manchi d’inganni? Così vi è noto Ulisse?
O chiusi in questo legno si celano gli Achivi,
o questa è una macchina eretta contro i nostri muri,
per guardare nelle case e per scendere dall’alto nella città;
o qualche altra trama si nasconde: a un cavallo non credete, o Teucri.
Ma sia che sia, temo i Danai, anche se doni essi portano” ... "
Eneide
Virgilio Marone
Traduzione Carlo Carena
Laocoonte e i suoi due figli morsi da serpenti
17 secolo
Pieter Claesz Soutman
Museo di Belle Arti - Bordeaux
Bene e male dunque nella dualità del dono che è anche δοτινε/dôtínê - controdono, do ut des, alleanza, patto, reciprocità, scambio che unisce ma, divide se degenera nell'obbligo che genera debitori e creditori, padroni e servitori e uccide la libertà. Il dono in questa prospettiva diventa regalo, diritto prerogativa del re che può usufruirne per concederlo a quei sottoposti che gli rendono dei servigi.
Nell’antica Roma il dono per assicurarsi il favore del popolo, mostrare la propria munificenza e conquistare un'elevazione spirituale e l'autocompiacimento, si manifesta attraverso la largitio, l'elargizione di beni durante le feste con l'allestimento dei banchetti pubblici, la concessione di terre, la distribuzione di grano, denaro, olio e vino e con la sparsio, il lancio dei beni quali cibo e denaro sulla folla radunata in occasione dei giochi popolari.
Per Cicerone il rapporto di reciprocità tra colui che riceve un beneficium e colui che lo offre si deve fondare sull'utilitas communis* e implica l'officium, il dovere morale di ricambiare mentre per Seneca il rapporto tra donatore e ricevente si fonda sull'amor e sulla benevolentia per cui controdoni auspicabili sono la sapienza e la virtù che derivano dal gesto in se stesso che non ha lo scopo di mettere in difficoltà chi si trova nelle condizioni di non poter restituire.
communis* = Composto da cum e mūnŭs che dalla radice *mei-, la stessa di communitas - comunità e di communĭco - comunicare, che indica lo scambio reciproco e il condividere, si traduce con-obbligo, con-dovere, ma anche con-favore, con-dono, e contiene la dicotomia insita nella relazione sociale.
Il taonga, nome con cui i maori indicano il dono, ha in sé un hau - un potere spirituale che sente il desiderio di ritornare nel suo luogo di nascita e spinge chi lo riceve a un utu - una compensazione che può assumere qualsiasi forma purchè produca un valore dello stesso peso o addirittura superiore rispetto a quello accettato che renderà il ricevente, donatore e lo porterà ad acquisire potere su colui che da donatore diventerà ricevente. Anche le karakia - formule magiche della loro tradizione dedicate a un singolo soggetto erano considerate degli amuleti cedibili ad altri. Autorità, competizione, agonismo e potere portano il dono a entrare anche nel rito del potlàc, che significa sia nutrire che consumare nella lingua dei chinook, era praticato dalle tribù delle Montagne Rocciose e della costa nel Nord-ovest americano, i Tlingit e gli Haida nelle assemblee invernali, caratterizzate da feste banchetti, fiere e mercati o in occasione di assunzioni di cariche, matrimoni e nascite, facevano un grande sfoggio di ricchezza per esaltare il loro rango sociale elargendo, in più giorni, agli ospiti, cibo in abbondanza e doni in cui rientravano prodotti manufatturieri di grande valore artistico come bassorilievi in rame, pregiate coperte di lana di capra intrecciata con fibre di corteccia, cucchiai, scodelle, statue e vari oggetti in legno o in osso, decorati, incisi e intarsiati con frammenti di conchiglia. Gli ospiti così ben pasciuti non stavano certo a guardare e realizzando a loro volta il potlàc si adoperavano per donare un bene equivalente o maggiore rispetto a quello ricevuto. L'apice della competizione tra i vari clan rivali si raggiungeva quando i doni venivano distrutti per mostrare alla controparte la propria superiorità e il proprio disinteresse per i beni materiali.
Nelle isole Trobriand invece, al largo della costa orientale della Nuova Guinea, i vaygu'a - oggetti di prestigio si dividevano in mwali - braccialetti di conchiglie bianche e in soulava collane di conchiglie rosse, entrambi venivano assemblati per girare in senso orario e per essere usati nel kula, un rituale di scambio doni che garantiva un'alleanza a vita tra le persone che prendevano parte alla cerimonia; per attualizzare il principio di reciprocità patrilineare che doveva essere obbligatoriamente perpetuato dalla propria discendenza i trobriandesi si spostavano tra un'isola e l'altra percorrendo centinaia di chilometri e se offrivano mwali ricevevano come controdono i soulava mentre se offrivano i soulava ricevevano in contraccambio mwali.
La massima espressione del dono nella sua essenza originale si esplica nell'offerta di oro incenso e mirra dei Re Magi per il Re dei Re Gesù Cristo che fa di se stesso un dono per l'umanità.
I Tre Magi
Mosaico seconda metà del IV secolo
Sant'Apollinare Nuovo - Ravenna
Continua ... A domani
P.S. Sono un tantino in ritardo, avrei dovuto pubblicare la finestra del calendario questa mattina e nel pomeriggio, per la prima volta nella storia di Anima Mundi, un secondo post con l'accensione della candela della Quarta Domenica D'Avvento, ma ho avuto un imprevisto, mi dispiace. Più tardi il post sull'accensione della candela e la diciannovesima finestra del calendario domani nel pomeriggio. Vi abbraccio.
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