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venerdì 28 dicembre 2012

L'Uomo di Neve

Le pitture rupestri degli uomini preistorici raccontano della primordiale e innata voglia dell'essere umano di rappresentare sé stesso e il mondo attraverso una forma d'arte; non è difficile pertanto pensare, anche se di ciò non possiamo averne memoria, che, durante l'inverno, la neve fosse adoperata come materiale per realizzare piccole o grandi ed effimere figure che arricchivano di giovialità le lunghe e fredde giornate di una stagione così ostica per la sopravvivenza. L'uomo di neve nel corso dei secoli ha abbattuto le classi sociali ponendo la sua esistenza egualmente nelle mani di ricchi e poveri e nella fantasia di tutta la gente che aveva, ha e avrà il desiderio di dare libera esternazione al genio della propria immaginazione. 

Il pupazzo di neve

Nella vita secunda S. Francisci scritta tra il 1246 e il 1247, da Tommaso da Celano incontriamo una famiglia di pupazzi di neve: 
116. Nell'eremo dei frati di Sarteano il maligno, che sempre invidia il progresso spirituale dei figli di Dio, ebbe addirittura questa presunzione. Vedendo che il Santo attendeva continuamente alla sua santificazione, e non tralasciava il guadagno di oggi soddisfatto di quello del giorno precedente, una notte, mentre pregava nella sua celletta, lo chiamò per tre volte: "Francesco, Francesco, Francesco". "Cosa vuoi?". E quello: "Nel mondo non vi è nessun peccatore, che non ottenga la misericordia di Dio, se pentito. Ma chiunque causa la propria morte con una penitenza rigida non troverà misericordia in eterno ". Il Santo riconobbe subito, per rivelazione, l'astuzia del nemico, come cercava di indurlo alla tiepidezza. Ma, cosa crederesti? Il nemico non tralasciò di rinnovargli un altro assalto. Vedendo che in tale modo non era riuscito a nascondere il laccio, ne prepara un altro, cioè uno stimolo carnale. Ma inutilmente, perché non poteva essere ingannato dalla carne, chi aveva scoperto l'inganno dello spirito. Gli manda dunque il diavolo, una violentissima tentazione di lussuria. Appena il Padre la nota, si spoglia della veste e si flagella con estrema durezza con un pezzo di corda. "Orsù, frate asino,--esclama--così tu devi sottostare, così subire il flagello! La tonaca è dell'Ordine, non è lecito appropriarsene indebitamente. Se vuoi andare altrove, va' pure ". 117. Ma poiché vedeva che con i colpi della disciplina la tentazione non se ne andava, mentre tutte le membra erano arrossate di lividi, aprì la celletta e, uscito nell'orto, si immerse nudo nella neve alta. Prendendo poi la neve a piene mani la stringe e ne fa sette mucchi a forma di manichini, si colloca poi dinanzi ad essi e comincia a parlare così al corpo: "Ecco, questa più grande è tua moglie; questi quattro, due sono i figli e due le tue figlie; gli altri due sono il servo e la domestica, necessari al servizio. Fa' presto, occorre vestirli tutti, perché muoiono dal freddo. Se poi questa molteplice preoccupazione ti è di peso, servi con diligenza unicamente al Signore ". All'istante il diavolo confuso si allontanò, ed il Santo ritornò nella sua cella, glorificando Dio. Un frate di spirito, che allora attendeva alla preghiera, osservò tutto, perché splendeva la luna in cielo. Ma, quando più tardi il Santo si accorse che un frate l'aveva visto nella notte, molto spiaciuto, gli ordinò di non svelare l'accaduto a nessuno, fino a che fosse in vita. 
Capitolo LXXXII Il diavolo lo chiama per tentarlo di lussuria, ma il santo lo vince 

Pupazzi di neve

In un Libro delle Ore risalente al 1380 d.C. conservato alla Koninklijke Bibliotheek dell'Aia, precisamente in una pagina che parla della crocifissione di Gesù Cristo, incontriamo invece la prima miniatura di un uomo di neve che ci dà le spalle con il volto di profilo, indossa un cappello di stile ebraico e si trova sopra uno sgabello posto su un braciere acceso che potrebbe simboleggiare la forza di affrontare il dolore 

Uomo di neve

e se nel 1461 Francois Villon nella ballata delle "Dame di un Tempo" si rammarica per l'assenza della neve:
 
Ditemi dove, in quale contrada
è Flora, la bella Romana
dov'è Taide, Archiapada,
che fu sua cugina germana;
Eco, che parla se su sullo stagno 
o sul fiume voce si dà,
e più che umana ebbe beltà.
Dove le nevi dell'altro anno?

Dov'è Eloisa tanto dotta
per il cui amore fu castrato
Pietro Abelardo e poi accolto 
a San Dionigi, tonsurato? 
E dov'è la regina al cui cenno 
chiuso in un sacco fu gettato 
Buridano dentro la Senna? 
Dove le nevi dell'altro anno? 

Bianca, regina, ch'era un giglio,
e voce aveva di sirena, 
Berta-gran-piè, Beatrice,Alice, 
Aremburgi,signora del Maine, 
e di Lorena la buona figlia, 
Giovanna, arsa viva a Rouan; 
dove, o Vergine, dove mai stanno? 
Dove le nevi dell'altro anno? 

Di loro Principe, non chiedete
dove sono, ora o fra un anno, 
se il ritornello non volete: 
dove le nevi dell'altro anno? 

L'uomo di neve con mantelle e cappello a cilindro

il grande Michelangelo il 20 gennaio del 1494, dopo un'abbondante nevicata su Firenze, per volere di Piero de' Medici, realizza un uomo di neve con le fattezze di Ercole che resistette integro per ben otto giorni e che gli permise di riacquistare il privilegio di frequentare palazzo De' Medici dopo la morte del suo mecenate Lorenzo, avvenuta nel 1492.

Michelangelo Buonarroti - Jacopino del Conte

Nel 1510 nel diario di un farmacista fiorentino Luca Landucci si legge: " Un certo numero dei più bei leoni di neve sono stati effettuati a Firenze ... e molte figure nude sono state fatte anche da buoni maestri " e 
nel 1511, complice la temperatura che per sei settimane non superò lo zero, in ogni angolo di Bruxelles, furono create con la neve numerose figure che si rifacevano a temi di vario genere tra le quali spiccavano quelle di soggetti verso cui gli abitanti manifestavano il loro dissenso, tali opere originarono una sorta di contrasti che spinsero i funzionari locali a diffondere dei volantini in cui si leggeva: " Gli uomini nobili della città di Bruxelles proclamano che nessuno, durante il giorno o di notte, può danneggiare un qualsiasi personaggio di neve " e chiunque avesse disobbedito sarebbe incorso in pene severissime, situazione questa, opposta a quella di Zurigo che vedeva e vede tutt'oggi ad Aprile, nella festa di primavera, il falò del fantoccio Böögg e l'esplosione dei pupazzi di neve che salutano e pongono fine all'inverno, la festa è chiamata Sechseläuten - sei rintocchi, a ricordo della campana del Grossmünster che alle sei, durante il periodo estivo, annunciava la fine della giornata lavorativa.

Il falò dell'uomo di neve

L'otto febbraio 1690 due ore prima dell'alba, durante la guerra che vedeva contrapposti gli inglesi e i francesi per la supremazia delle colonie del Nord America, le truppe francesi sostenute dai nativi americani, Mohawk, Sault e Algonquin, saccheggiando e bruciando case e fienili, causando la morte di 62 vittime tra cui 30 uomini, 10 donne e 12 bambini e facendo prigioniere 27 persone, misero in atto un incursione nel villaggio di Schenectady New York State, superando l'avamposto composto da due pupazzi di neve che le sentinelle, non immaginando che in una notte così fredda qualcuno potesse attaccarli, lasciarono illusoriamente di guardia davanti al portone rimasto socchiuso a causa del gelo.

Massacro di Schenectady 1690

Nel XVII e XVIII secolo anche i marinai a bordo delle loro navi solevano costruire i loro pupazzi di neve.
Si racconta che nel 1851 l'equipaggio della Pioneer mentre era intrappolato tra i ghiacci della Groenlandia impiegò il tempo nella messa in opera di statue di neve tra cui quella di una donna seduta con un una lancia ed uno scudo, la Britannia allegoria della Gran Bretagna.

Britannia

" Fa così freddo che scricchiolo tutto" disse l'uomo di neve. " Il vento, quando morde, fa proprio resuscitare! Come mi fissa quello là!" e intendeva il sole, che stava per tramontare. "Ma non mi farà chiudere gli occhi, riesco a tenere le tegole ben aperte. " Infatti i suoi occhi erano fatti con due pezzi di tegola di forma triangolare. La bocca invece era un vecchio rastrello rotto, quindi aveva anche i denti. Era nato tra gli evviva dei ragazzi, salutato dal suono di campanelli e dagli schiocchi di frusta delle slitte. Il sole tramontò e spuntò la luna piena, rotonda e grande, bellissima e diafana nel cielo azzurro."Eccolo che arriva dall'altra parte!" disse l'uomo di neve. Credeva infatti che fosse ancora il sole che si mostrava di nuovo.
"Gli ho tolto l'abitudine di fissarmi, ora se ne sta lì e illumina appena perché io possa vedermi. Se solo sapessi muovermi mi sposterei da un'altra parte. Vorrei tanto cambiare posto! Se potessi, scivolerei sul ghiaccio come hanno fatto i ragazzi, ma non sono capace di correre."
"Via, via!" abbaiò il vecchio cane alla catena. Era un po' rauco, lo era diventato da quando non stava più in casa e non dormiva più vicino alla stufa. "Il sole ti insegnerà senz'altro a correre! L'ho già visto con il tuo predecessore dell'anno scorso, e con quello dell'anno prima. Via, via! e tutti ve ne andrete!"
"Non ti capisco, amico!" disse l'uomo di neve. "Quello lassù mi deve insegnare a correre?" e intendeva la luna. "È corso via infatti, quando l'ho fissato prima, ma ora spunta fuori da un'altra parte!"
"Tu non sai nulla" gli rispose il cane alla catena "ma sei appena stato fatto! Quella che tu vedi si chiama luna, quello che se n'è andato era il sole. Tornerà domani e ti insegnerà a scorrere nel fosso. Tra poco cambierà il tempo, lo sento dalla zampa posteriore che mi fa male. Cambierà il tempo."
"Non lo capisco" commentò l'uomo di neve "ma ho la sensazione che stia dicendo qualcosa di spiacevole. E quello che mi fissava e se ne è andato si chiama sole, non deve essermi amico neppure lui, lo sento."
"Via! Via!" abbaiò il cane alla catena, poi girò tre volte su se stesso e si ritirò nella cuccia per dormire.
Il tempo cambiò davvero. Una nebbia fitta e umida si stese durante la mattinata su tutto il territorio, all'alba cominciò a soffiare il vento, un vento gelato che fece spuntare dappertutto il ghiaccio, ma che splendore quando comparve il sole! Tutti gli alberi e i cespugli erano ricoperti di ghiaccio, era come vedere un intero bosco di coralli bianchi, come se tutti i rami fossero ricoperti di lucenti fiori bianchi. Quei rami sottili che d'estate non si possono vedere a causa delle molte foglie si mostravano ora uno per uno, sembravano un ricamo, e tutto era bianco splendente come se da ogni ramo sgorgasse un bianco splendore. La betulla si piegava al vento, c'era vita in lei, come in tutti gli alberi nel periodo estivo, era uno splendore senza fine. Quando brillò il sole ogni cosa scintillò, come se tutto fosse stato ricoperto di una polvere lucente, e sulla distesa di neve che ricopriva la terra luccicavano grandi diamanti, o meglio si poteva credere che bruciassero infiniti lumini ancora più bianchi della bianca neve.
"È una meraviglia incredibile!" disse una fanciulla che con un giovane attraversava il giardino, poi si fermò proprio vicino all'uomo di neve e si mise a guardare quei meravigliosi alberi "In estate non c'è una vista così bella!" disse, e le brillavano gli occhi."E non abbiamo neppure un tipo come questo qui!" disse il giovane indicando l'uomo di neve. "È proprio bello!"La fanciulla rise, fece una riverenza all'uomo di neve e ballò col suo amico sulla neve che scricchiolò sotto di loro, come fosse stata di celluloide."Chi erano quei due?" chiese l'uomo di neve al cane alla catena. "Tu vivi da più tempo qui nel cortile, li conosci?" "Certo!" disse il cane alla catena. "Lei mi ha accarezzato, e lui mi ha dato un osso. Così non li mordo."
"Ma che cosa rappresentano qui?" chiese l'uomo di neve.
"Innamo-o-r-a-t-i" disse il cane. "Si trasferiranno in un canile e rosicchieranno insieme le ossa. Via! Via!"
"E due come loro sono importanti quanto te e me?" chiese l'uomo di neve.
"Appartengono alla classe dei padroni" disse il cane. "Non si sa proprio nulla quando si è nati ieri, lo vedo bene guardando te! Io invece sono vecchio e ho una grande conoscenza delle cose, conosco tutti qui nel cortile! E ho conosciuto un tempo in cui non stavo qui al freddo e alla catena. Via! Via!"
"Il freddo è bello» disse l'uomo di neve. "Racconta, racconta! ma non devi agitare la catena perché mi fa scricchiolare."
"Via! Via!" abbaiò il cane. "Io ero un cucciolo; piccolo e grazioso, così dicevano, quando stavo su una sedia di velluto o mi prendeva in grembo il padrone più importante; mi baciavano sulla gola e mi asciugavano le zampette con un fazzoletto ricamato. Mi chiamavamo “Bellissimo”, “Tesoruccio”, ma poi divenni troppo grande per loro, allora mi diedero alla governante. Passai così al pianterreno. Lo puoi vedere da dove ti trovi, puoi vedere in quella cameretta dove io sono stato padrone, quando ero dalla governante. Naturalmente era più piccola di quella di sopra, ma era molto più piacevole: non venivo stuzzicato e trascinato dappertutto dai bambini, come accadeva di sopra; e avevo del buon cibo, proprio come prima, anzi di più! avevo il mio cuscino e poi c'era una stufa che in questa stagione è la cosa più bella del mondo! Mi raggomitolavo lì sotto e era come se sparissi. Oh, quella stufa me la sogno ancora. Via! Via!"
"È bella la stufa?" chiese l'uomo di neve. "Mi assomiglia?"
"È proprio il tuo contrario! È nera come il carbone, ha un lungo collo e uno sportelletto d'ottone; divora pezzetti di legno, così le esce il fuoco dalla bocca. Bisogna mettersi proprio di fianco, vicini vicini, o anche sotto, che meraviglia! Tu dovresti riuscire a vederla attraverso la finestra!"
L'uomo di neve guardò e vide veramente un grande oggetto nero, lucido, con una porticina di ottone, e il pavimento intorno tutto illuminato. L'uomo di neve si sentì molto strano, aveva una sensazione che non riusciva a spiegarsi, sentiva qualche cosa che non conosceva, ma che tutti conoscono se non sono fatti di neve. "Perché l'hai lasciata?" chiese l'uomo di neve: sentiva che doveva essere una creatura femminile. "Come hai potuto lasciare un posto simile?"
"Ci fui costretto" spiegò il cane alla catena. "Mi cacciarono fuori e mi misero alla catena. Avevo morso il padrone più giovane alla gamba, perché aveva dato un calcio a un osso che stavo rosicchiando. Osso per osso, pensai io! Ma loro se la presero molto e da allora mi trovo alla catena e ho perso la mia bella voce: senti come sono rauco! Via! Via! E così finì la bella vita per me."
L'uomo di neve non ascoltava più, fissava continuamente la stanza della governante dove si trovava la stufa sulle quattro gambe di ferro: sembrava alta quanto lui. "Come scricchiolo!" disse. "Riuscirò mai a entrare? Sarebbe un desiderio innocente e tutti i nostri desideri innocenti dovrebbero venire esauditi. È la mia massima aspirazione, il mio unico desiderio, e sarebbe quasi ingiusto se non venisse esaudito. Devo andare lì dentro, devo arrivare fino a lei, anche se devo rompere il vetro."
"Non entrerai mai!" rispose il cane alla catena. "E se mai arrivassi alla stufa, allora te ne andresti, hai capito? te ne andresti."
"È come se fossi già andato!" disse l'uomo di neve. "Mi viene da vomitare."
Per tutto il giorno l'uomo di neve guardò in quella stanza; nella penombra il locale sembrava ancora più bello, dalla stufa proveniva una luce così tenue che neppure la luna o il sole sapevano eguagliare, un bagliore tipico di una stufa quando c'è qualcosa dentro. Se aprivano la porta, allora usciva una fiammata, era una sua abitudine; questa fece diventare il bianco volto dell'uomo di neve tutto rosso, e lo illuminò fino al petto. "Non resisto più!" disse. "Come le dona tirar fuori la lingua!"
La notte fu molto lunga, ma non per l'uomo di neve che si era abbandonato ai suoi bellissimi pensieri, e questi, gelando, scricchiolavano. Al mattino le finestre del pianterreno erano gelate, ricoperte dei più bei fiori di ghiaccio che un uomo di neve possa desiderare, ma gli toglievano la vista della stufa. Il ghiaccio dei vetri non voleva sciogliersi, così lui non riusciva a vederla. Si sentiva uno scricchiolio, un crepitio, era proprio un tempo da gelo che doveva divertire un uomo di neve, ma lui non era per niente divertito: avrebbe potuto sentirsi felicissimo ma non lo era, perché aveva nostalgia della stufa.
"È una pessima malattia per un uomo di neve!" commentò il cane alla catena. "Ho sofferto anch'io di quella malattia, ma ormai l'ho superata. Via! Via! Ora cambierà il tempo."
E infatti il vento cambiò, e sciolse la neve. Venne il caldo, e l'uomo di neve dimagrì. Non disse nulla, non scricchiolò, e questo era proprio il segno della fine. Una mattina crollò. Nel punto in cui si trovava rimase infilzato qualcosa che assomigliava a un manico di scopa: i ragazzi ce lo avevano costruito intorno. "Adesso capisco quella sua nostalgia!" disse il cane alla catena. "L'uomo di neve aveva un raschiatoio della stufa in corpo; è quello che lo turbava, ma adesso tutto è finito. Via! Via!"
E ormai anche l'inverno era quasi finito.
"Via! Via!" abbaiava il cane alla catena, ma le bambine in giardino cantavano:
Affrettati, mughetto, bello e fresco,
getta i rametti, o salice.
Venite, cuculi, allodole, cantate!
C'è già primavera alla fine di febbraio!
Io canto con voi, cuculi, cucù!
Vieni, caro sole, esci anche tu!
E nessuno pensò più all'uomo di neve.

L'Uomo di Neve
Hans Christian Andersen

N.B. Jackie Wullschlager, biografo di Andersen sostiene che l'uomo di neve del 1861, sia una favola complementare all'Abete scritta nel 1844, lo scrittore manifesta tutto il suo tormento e la sua frustrazione per la insoddisfacente ma felice relazione d'amore con Harald Scharff, ballerino del Royal Theatre di Copenaghen.

L'Uomo di neve

La diffusione dei biglietti e delle cartoline augurali nel XIX secolo (vedi post di Elettra: I biglietti augurali) su cui viene ampiamente raffigurato, colloca l'uomo di neve tra le icone del Natale; caratterizza lo spirito invernale che accompagna Babbo Natale, è il Jokul Frosti ( Jack Frost) - ghiacciolo di ghiaccio, il Padre inverno degli antichi vichinghi che aveva il compito di far nevicare per mimetizzare e nascondere le tracce di Santa Claus durante la consegna dei regali.

l'Uomo di neve

Bisogna avere una mente da inverno 
Per contemplare il gelo e i rami
Dei pini incrostati di neve; 

Ed aver avuto freddo a lungo
Per osservare i ginepri irti dal ghiaccio,
I rudi abeti spogliati nel luccichio remoto 

Del sole di gennaio; e non pensare
Ad una infelicità nel gemito del vento,
Nel suono delle poche foglie, 
Voce della terra visitata
da quel vento che sempre
Soffia nello stesso luogo spoglio 

Per l'ascoltatore, che ascolta nella neve,
E, niente lui stesso, osserva
Niente che non è li e il niente che è.


L'uomo di neve 
Wallace Stevens
1921

Nella notte dell'inverno,
galoppa un grande uomo bianco.
E' un pupazzo di neve
con un pipa di legno
un grande pupazzo di neve
perseguitato dal freddo.
In una piccola casa
entra senza bussare
e per riscaldarsi
si siede sulla stufa rovente
e sparisce d'un tratto
lasciando solo lo sua pipa
in mezzo ad una pozza d'acqua
ed il suo vecchio cappello.

Il pupazzo di neve
Jacques Prevert

Di certo il testo e le poesie che vi ho proposto stringono un po' il cuore, ma l'uomo di neve in realtà non muore, si trasforma per far si che il ciclo della natura continui in una vita perpetua.

Nevicò per due notti e due giorni. Ininterrotamente e a larghi fiocchi asciutti, che si posavano pesantemente sugli strati precedenti ispessendoli e consolidandoli. In quei giorni e in quelle notti nessuno uscì di casa, chi aveva gli stivali per non rovinarli, chi non li aveva per non riempirsi gli zoccoli di neve. Gli unici percorsi che si vedevano segnati dalla neve per il frequente calpestio andavano dalla porta di casa alla stalla, ed erano i più brevi possibili. I soli ad uscire erano i bambini. Anzi, stavano fuori tutto il giorno, incuranti del freddo che neppure sentivano, riscaldati come erano da frenetici giochi. In quei due giorni il paese appartenne a loro, alle primitive slitte di legno che uno tirava con una fune mentre un altro stava seduto, alle palle e ai pupazzi di neve, in cui esprimevano la loro fantasia, ironica e talvolta perversa. Il paese risuonava dei richiami di madri irate, degli appelli disperai perché rientrassero a spaccar legna o a fare qualche lavoretto: aiutare alla mungitura, rimuovere il bastone nella zagola per il burro, scavare un buco nell’orto per raccogliere un cavolo o una rapa per la cena. Ma erano richiami senza risposta, e loro lo sapevano. Alla sera tutti i bambini rientravano nelle loro case, spinti dalla fame, dal buio che scendeva improvviso; ed erano sgridate, strilli, scapaccioni mentre i padri più avveduti tacevano, pur gettando sui figli occhiate severe, ché ricordavano i tempi della loro infanzia, quando anch’essi aspettavano la neve per impadronirsi della città, proprio come ora facevano i figliuoli. 

La lunga notte di Exilles
Laura Mancinelli
2006

Il pupazzo di neve con sciarpa e cappello

" Potrei leggere il desiderio d'eternità perfino negli occhi di un pupazzo di neve."

Valeriu Butulescu

Il pupazzo di neve porta doni

Nel 2008 i cittadini di Bethel nel Maine hanno innalzato un pupazzo di neve da Guinnes dei primati, si sono mobilitati e per quattordici giorni hanno accumulato tanta neve per realizzare Olympia, la donna delle nevi, un colosso alto 37,21 metri, con tre metri di braccia di sempreverdi, con un naso di mussola a forma di carota di due metri e mezzo, con una bocca di pneumatici, con occhi di 4 piedi e con una sciarpa rossa lunga 30 metri, hanno superato il precedente record che nel febbraio 1999 li vedeva vincitori con Angus King of the mountain, un gigante alto all'incirca 34 metri, chiamato così in onore del loro governatore.
Sembra che il momento opportuno per realizzare il pupazzo di neve perfetto sia dopo un abbondante nevicata che può raggiungere dai 5 ai 10 centimetri di spessore, nelle ore pomeridiane quando l'aria è più calda e la neve tende a fondersi diventando più compatta.

La donna delle nevi

Olympia

martedì 25 dicembre 2012

Preghiera di Natale


Verbo Incarnato, che nuovamente
condividi con noi il tuo Natale
insegnaci a condividere con gli altri
i nostri progetti di pace e solidarietà.

Tu che nella Grotta di Betlemme
hai proposto agli uomini di ogni tempo
un itinerario di amore e riconciliazione
illumina l’umanità di oggi a ritrovare
la strada che porta ad incontrare l’altro
nel dialogo, nell’amore e nel rispetto profondo.

Piccolo grande Dio, che nell’umiltà più sentita
hai indicato in Te la via maestra che porta alla verità
aiutaci ad eliminare da questa terra l’orgoglio,
la falsità e la menzogna, cause dirette
del male del mondo moderno.

Tu che leggi nel profondo di ogni cuore
trasforma i nostri personali risentimenti
in atteggiamenti e comportamenti fraterni,
gli unici che danno gioia vera e
trasformano il Natale in festa vera.

Messia atteso da secoli
e giunto nella pienezza dei tempi
guida l’umanità del terzo millennio
verso mete di giustizia più certe
per ogni uomo di questa terra.

Tu che tutto sai e puoi
conosci le attese di ciascuno di noi
anche per questo annuale anniversario della tua venuta tra noi
fa nascere nel cuore di tutti gli uomini della terra
un solo raggio della tua infinita carità
e della tua bontà illimitata.

Non permettere, Gesù, figlio dell’uomo,
che nessun bambino, giovane, adulto ed anziano
del pianeta terra continui a soffrire a causa
della cattiveria che si annida nel cuore di tanta gente.

Fa di tanti cuori segnati dall’odio e dalla morte
cuori capaci di amare e di perdonare
come tu hai perdonato alla Maddalena,
ai tuoi crocifissori ed al buon ladrone
morto in croce accanto a Te sul Golgota.

Dalla capanna di Betlemme
anche quest’anno si irradi in tutto il mondo
la luce del tuo Natale, che è sempre
motivo di speranza e di pace per l’intera umanità.

Papa Giovanni Paolo II

venerdì 21 dicembre 2012

Il Ramo d'oro

Il 21/12/2012 alle ore 11.11, secondo la profezia dei Maya, si conclude la cosiddetta "era dell'oro" che ha rappresentato per il mondo un periodo di grande negatività ed inizia un nuovo ciclo positivo di ben quattrocento anni che permetterà all'intera umanità di sviluppare l'aspetto spirituale dell'esistenza.


Il solstizio d'inverno che annuncia il ritorno della luce era nell'antichità celebrato con riti che prevedevano l'uso del vischio, il Ramo d'oro considerato simbolo di vita e di immortalità già nell'Eneide di Virgilio scritta nel I° secolo, tra il 29 e il 19 a.C.
Enea su consiglio della Sibilla Cumana, si procura un ramo di vischio che gli permetterà di entrare da vivo nell'Averno e di essere traghettato da Caronte sullo Stige per incontrare il padre Anchise


...Così pregando avea le braccia avvinte
al sacro altare, allor che la Sibilla
a dir riprese: Enea, germe del cielo,
lo scender ne l'Averno è cosa agevole
ché notte e dí ne sta l'entrata aperta;
ma tornar poscia a riveder le stelle,
qui la fatica e qui l'opra consiste.
Questo a pochi è concesso, ed a quei pochi
ch'a Dio son cari, o per uman valore
se ne poggiano al cielo. A questi è dato
come a' celesti. Il loco tutto in mezzo
è da selve intricato, e da negre acque
de l'infernal Cocíto intorno è cinto.
Ma se tanto disio, se tanto amore
t'invoglia di veder due volte Stige
e due volte l'abisso, e soffrir osi
un cosí grave affanno, odi che prima
oprar convienti. È ne la selva opaca, 
tra valli oscure e dense ombre riposto
e ne l'arbore stesso un lento ramo
con foglie d'oro, il cui tronco è sacrato
a Giuno inferna: e chi seco divelto
questo non porta, ne' secreti regni
penetrar di Plutone unqua non pote.
Ciò la bella Prosèrpina comanda,
che per suo dono il chiede; e svèlto l'uno,
tosto l'altro risorge, e parimente
ha la sua verga e le sue chiome d'oro.
Entra nel bosco, e con le luci in alto
lo cerca, il trova, e di tua man lo sterpa;
ch'agevolmente sterperassi, quando
lo ti consenta il fato. In altra guisa
né con man, né con ferro, né con altra
umana forza mai fia che si schianti,
o che si tronchi. Oltre di ciò, nel lito
(mentre qui badi e la risposta attendi)
giace, lasso! d'un tuo, che tu non sai,
disanimato e non sepolto un corpo,
che tutti rende i tuoi legni funesti.
A questo procurar seggio e sepolcro
pria converratti. Or per sua purga in prima
negre pecore adduci; e 'n cotal guisa
vedrai gli elisi campi, e i stigi regni
cui vedere a' mortali anzi a la morte
non è concesso". E qui la bocca chiuse.
Enea gli occhi abbassando, afflitto e mesto
de l'antro uscio, tra se stesso volgendo
l'oscure profezie. Giva con lui
il fido Acate, e con lui parimente
traea pensieri e passi. Erano entrambi
ragionando in pensar di qual amico,
di qual corpo insepolto ella parlasse,
che coprir si dovesse: allor che giunti
nel secco lito in su l'arena steso
vider Miseno indegnamente estinto;
Miseno il figlio d'Eolo, ch'araldo
era supremo e col suo fiato solo
possente a suscitar Marte e Bellona.
Era costui del grand'Ettòr compagno,
e de' piú segnalati intorno a lui
combattendo, or la tromba ed or la lancia
adoperava: e poi che 'l fiero Achille
Ettore ancise, come ardito e fido,
seguí l'arme d'Enea: ché non fu punto
inferiore a lui. Stava sul mare
sonando il folle con Tritone a gara,
quando da lui, ch'astio sentinne e sdegno
(se creder dêssi), insidïosamente
tratto giú da lo scoglio ov'era assiso,
fu ne l'onde sommerso. Al corpo intorno
convocati già tutti, amaro pianto
ed alte strida insieme ne gittaro;
e piú de gli altri Enea. Poscia seguendo
quel ch'era lor da la Sibilla imposto,
gli apprestaron l'esequie. Entrâr nel bosco,
di fere antico albergo; ed elci ed orni
e frassini atterrando, alzâr gli altari;
poser la tomba, fabbricâr la pira,
e la spinsero al cielo. Il frigio duce
fra le sue schiere di bipenne armato
a par degli altri, e piú di tutti ardente,
di propria mano adoperando, a l'opra
esortava i compagni; e fra se stesso
pensoso, inverso il bosco il guardo inteso,
cosí pregava: "Oh se quel ramo d'oro
ne si scoprisse in questa selva intanto,
come n'ha la Sibilla, ahimè, pur troppo
di te, Miseno, annunziato il vero!"
Ciò disse a pena, ed ecco da traverso
due colombe venir dal ciel volando,
ch'avanti a lui sul verde si posaro.
Conobbe il magno eroe le messaggiere
de la sua madre, e lieto orando: "O, - disse, -
siatemi guide voi, materni augelli,
s'a ciò sentier si truova; ite per l'aura
drizzando il nostro corso, ov'è de l'ombra
del prezioso arbusto il bosco opaco.
E tu, madre benigna, in sí dubbioso
passo, del lume tuo ne porgi aíta".
E, ciò detto, fermossi. Elle pascendo,
andando, saltellando, a scosse, a volo,
quanto l'occhio scorgea, di mano in mano
giunsero ove d'Averno era la bocca:
e 'l tetro alito suo schivando, in alto
ratte l'ali spiegaro, e dal ciel puro
al desiato loco in giú rivolte,
si posâr sopra a la gemella pianta;
indi tra frondi e frondi il color d'oro,
che diverso dal verde uscia raggiando,
di tremulo splendor l'aura percosse.
Come ne' boschi al brumal tempo suole
di vischio un cesto in altrui scorza nato
spiegar verdi le frondi e gialli i pomi,
e con le sue radici ai non suoi rami
abbarbicarsi intorno; cosí 'l bronco
era de l'oro avviticchiato a l'elce,
ond'era surto, e cosí lievi al vento
crepitando movea l'aurate foglie.
Tosto che 'l vide Enea, di piglio dielli,
e disioso, ancor che duro e valido
gli sembrasse, a la fin lo svelse; e seco
a l'indovina vergine lo trasse...

...Enea troiano
è questi, di pietà famoso e d'armi,
che per disio del padre infino al fondo
de l'Èrebo discende; e se l'esempio
di tanta carità non ti commove,
questo almen riconosci". E, fuor del seno
d'oro il tronco traendo, altro non disse.
Ei, rimirando il venerabil dono
de la verga fatal, già di gran tempo
non veduto da lui, l'orgoglio e l'ira
tosto depose, e la sua negra cimba
a lor rivolse, e ne la ripa stette.
Indi i banchi sgombrando e 'l legno tutto,
l'anime, che già dentro erano assise,
con súbito scompiglio uscir ne fece,
e 'l grand'Enea v'accolse. Allor ben d'altro
parve che d'ombre carco; e sí com'era
mal contesto e scommesso, cigolando
chinossi al peso, e piú d'una fissura
a la palude aperse. Alfin pur salvi
ne l'altra ripa, tra le canne e i giunchi,
sul palustre suo limo ambi gli espose...

Eneide Libro VI
Publio Virgilio Marone

Le bacche del Ramo d'oro, accompagnate, in volo dagli uccelli, di albero in albero trovano su di essi una nuova germinazione protette dal benestare degli dei, sostegno di cui non godono invece quelle che cadendo per terra rimarranno sterili; la vita del vischio è misticamente e misteriosamente annunciata dagli uccelli messaggeri della volontà divina

Non bisogna dimenticare a questo proposito anche l 'ammirazione di cui il vischio è fatto oggetto in Gallia. I Druidi - così si chiamano i maghi di quei paesi - non considerano niente più sacro del vischio e delralbero su cui esso cresce, purché si tratti di un rovere. Già scelgono come sacri i boschi di rovere in quanto tali, e non compiono alcun rito religioso se non hanno fronde di questo albero, tanto che il termine di Druidi può sembrare di derivazione greca. In realtà essi ritengono tutto ciò che nasce sulle piante di rovere come inviato dal cielo, un segno che l'aibero è stato scelto dalla divinità stessa. Peraltro il vischio di rovere è molto raro a trovarsi e quando viene scoperto lo si raccoglie con grande devozione: innanzi tutto al sesto giorno della luna ( che segna per loro l'inizio del mese e dell'anno e del secolo, ogni trent'anni ), e questo perché in tale giorno la luna ha già abbastanza forza e non è a mezzo. Il nome che hanno dato al vischio significa « che guarisce tutto )) . Dopo aver apprestato secondo il rituale il sacrificio e il banchetto ai piedi dell'albero, fanno avvicinare due tori bianchi a, cui per la prima volta vengono legate le corna. Il sacerdote, vestito di bianco, sale sull'albero, taglia il vischio con un falcetto
d'oro e lo raccoglie in un panno bianco. Poi immolano le vittime, pregando il dio perché renda il suo dono propizio a coloro ai quali lo ha destinato. Ritengono che il vischio, preso in pozione, dia la capacità di riprodursi a qualunque animale sterile, e che sia un rimedio contro tutti i veleni: così grande è la devozione che certi popoli rivolgono a cose per lo più prive d 'importanza.

Storia naturale - Libro XVI
Plinio il Vecchio
Traduzione Francesca Lechi

Una leggenda norrena racconta che Balder dio della luce figlio di Odino dio della guerra, della magia, della poesia e della sapienza, e di Frigg dea del cielo e signora degli dei, marito di Nanna dea della vita vegetale, afflitto dalla premonizione della maga Volva che annuncia la sua morte, viene protetto dalla madre che fa promettere a tutti gli esseri creati di non arrecare mai danno a suo figlio, ma Loki dio ingannatore dell'astuzia e del caos scopre che il vischio è sfuggito alla promessa così strappa i suoi rami e li consegna al cieco Hod che inconsapevole, in un gioco li scaglia, guidato da Loki, contro l'invulnerabile Balder che muore e viene posto sul rituale rogo insieme a Nanna morta a sua volta per il dolore. Hermod fratello di Balder decide su suggerimento di Frigg di scendere nell'Averno per chiedere attraverso questo gesto d'amore il ritorno alla vita di Balder ed Hela dea del mondo sotterraneo garantisce la realizzazione della sua richiesta a patto che tutti gli esseri creati siano coinvolti da un moto di pianto, così succede per tutti tranne per Loki che travestito da gigantessa condanna alla morte Balder, ma gli dei accortisi dell'inganno di Loki lo incatenano fino alla fine del mondo in una caverna. Dopo questo Crepuscolo degli dei, dopo che la terra sarà stata distrutta, preda di fuochi e fiamme, Balder tornerà in vita riconciliandosi in letizia con Hod, generando pace e serenità, le lacrime di gioia di Frigg si consolideranno in bacche perlate che orneranno in eterno il vischio per ricordare che l'amore sconfigge anche la morte e chi si bacerà sotto di esso sarà protetto dalla dea.

Liberamente tratta e interpretata da i Carmi dell'Edda

Balder è la personificazione del sole che muore sotto il duro attacco dell'inverno ma torna a vivere rigenerato.


Nell'antica Roma il vischio è considerato anche simbolo della pace e sotto di esso si depongono le armi e si fa tregua con i nemici.
Nel XV secolo è protagonista nelle celebrazioni bretoni che tappezzano le facciate delle case offrendo uno spettacolo gradevolmente colorato dal verde delle sue foglie e dal giallo delicato delle sue bacche.

Nel 1820 arricchisce le decorazioni natalizie, diventa complice di teneri giochi innocenti che vivono di baci e riempono il cuore d'amore e, ormai secco, il 6 gennaio alimenta il fuoco del camino.


"The mistletoe is still hung up in farm-houses and kitchens at Christmas, and the young men have the privilege of kissing the girls under it, plucking each time a berry from the bush. When the berries are all plucked the privilege ceases."

"Il vischio è ancora appeso in case coloniche e cucine a Natale, ed i giovani hanno il privilegio di baciare le ragazze sotto di esso, cogliendo di volta in volta una bacca dalla boscaglia. Quando le bacche sono tutte pizzicate il privilegio cessa."

Christmas Eve
Old Christmas/The Sketch Book of Geoffrey Crayon
pseudonimo di Washington Irving
1 Gennaio 1820


Nel 1836 viene definitivamente riconosciuto come solenne contrassegno spirituale del Natale

"... se ne scesero tutti e tre nella vasta cucina, dove tutta la famiglia era già raccolta per solennizzare il Natale, secondo il costume di tutti gli anni, osservato da tempo immemorabile dagli antenati del vecchio Wardle. Nel mezzo del soffitto di questa cucina aveva appunto il vecchio Wardle sospeso con le proprie mani un grosso ramo di vischio, il quale diede subito occasione ad una battaglia campale e ad una scena della più graziosa confusione. Il signor Pickwick, stando nel mezzo, con una galanteria che avrebbe fatto onore ad un discendente della stessa lady Tollimglower, prese per mano la vecchia signora, la menò sotto il mistico ramo, e con tutto il decoro e la cortesia la baciò. La vecchia signora si assoggettò a questa parte di galanteria pratica con tutta la dignità che si conveniva ad una solennità così seria ed importante; ma le signorine, non essendo pienamente imbevute di una superstiziosa venerazione per l’antica usanza, e figurandosi forse che il valore di un saluto vien accresciuto di molto dalla fatica che si fa per ottenerlo, strillavano, e si difendevano, e si rincantucciavano, e minacciavano, e protestavano, e tutto facevano fuorché lasciar la camera, fino a che qualcuno dei meno avventurati cavalieri era sul punto di desistere, ed esse allora tutto ad un tratto trovarono inutile ogni sorta di resistenza e consentirono di buonissima grazia a farsi baciare. Il signor Winkle baciò la signorina dagli occhi neri, e il signor Snodgrass baciò Emilia e il signor Weller, non tenendo precisamente a trovarsi più o meno sotto al vischio, baciò Emma e tutte le altre fantesche come gli veniva fatto di acchiapparle. I due parenti poveri poi baciavano tutte, nemmeno eccettuate le signorine più semplici e alla buona, le quali, nella eccessiva loro confusione, corsero diritte sotto al vischio non appena fu attaccato al soffitto, senza sapere di che si trattasse. Wardle se ne stava con le spalle al fuoco, guardando con la massima soddisfazione a questa bella scena; e il ragazzo grasso colse il buon destro per appropriarsi e divorare sommariamente uno squisito pasticcino, che era stato messo da parte per qualcun altro.
Le grida s’erano man mano chetate, i visi erano in fiamma, le chiome in un grande arruffio, e il signor Pickwick dopo aver baciato, come abbiam detto, la vecchia signora, se ne stava sotto il mistletoe contemplando con aria beata tutto ciò che gli passava dintorno; quando la signorina dagli occhi neri, dopo avere un po’ bisbigliato con le altre signorine, fece un improvviso balzo in avanti, e cingendo con un braccio il collo del signor Pickwick, gli appiccò un bacio affettuoso sull’una e l’altra guancia; e prima che il signor Pickwick potesse capire di che si trattasse, si vide circondato da tutta la frotta delle signorine e baciato da tutte, una per una.
Era una gran bella cosa vedere il signor Pickwick nel centro del gruppo, ora tirato di qua, ora di là, e prima baciato sul mento, e poi sul naso, e poi sugli occhiali, e udire gli scoppi di risa che suonavano da tutte le parti... "

Il Circolo Pickwick
Charles Dickens
Traduzione Federigo Verdinois


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