La storia delle piante
Teofrasto
L'Ocimum basilicum, dal greco ὤκῐμον/ócimon deriva di ὄζω/ózo - emanare odore, odorare, e βᾰσῐλικός/Basilicós deriva di βᾰσῐλεύς/Basileús - re regio, regale; con le conserve e la pasta al pomodoro, con la pizza Margherita e con il pesto alla genovese è un'erba aromatica che fa parte della tradizione italiana, ma per trovare la sua origine dobbiamo addentrarci nell'India centro-settentrionale dove la varietà Ocimum sanctum/Ocimum tenuiflorum - basilico sacro, che in sanscrito è definito tulasī e in hindī tulsī - incomparabile - senza eguali, entra nel mondo del mito per diventare Vaishnavi - appartenente a Vishnu e Vishnu Vallabha - amato da Vishnu, se ha le foglie verdi, consacrato alla sposa di Vishnu, Lakshmi, prende il nome di Shri-Tulsi - Tulsi Fortunata; consacrato invece a Rama, una delle avatara* di Vishnu prende il nome di Rāma-Tulsi - Tulsi Luminosa o Tulsi di Rāma; se ha le foglie verdi e il fusto che virano verso il viola, consacrato a Krishna, altra avatara di Vishnu dalla carnagione blu o nera che porta al collo una ghirlanda di foglie e fiori di basilico sacro, prende il nome di Shyama-Tulsi - Tulsi Scuro o di Krishna-Tulsi - Tulsi di Krishna.
Il tulasī, su una sorta di altare a quattro lati, viene coltivato, nei templi e nelle case dei vaishnavi - devoti, per accrescere la compassione e potenziare la meditazione, la protezione e la purificazione; con il suo legno si scolpiscono i grani dei tulsī-mālā - ghirlande di tulsi ovvero i rosari che vengono portati intorno al collo e usati, nella sadhana - pratica spirituale, per contare gli japa - ripetizioni di mantra e di preghiere.
Poiché si crede che il basilico sacro possa aprire le porte dell'aldilà, nella ritualità funeraria, una sua foglia viene posta sul petto del defunto a cui si lava la testa con dell'acqua in cui è stato immerso il basilico insieme a dei semi di lino mentre i rami sono inseriti nella pira su cui il morto viene cremato affinché possa raggiungere la moksha - liberazione dal saṃsāra - ciclo di vita, morte e rinascita.
avatara* = discesa, apparizione
Dall'Asia attraverso il Medio Oriente, dove è di casa il sharbat tokhume preparato con i semi del basilico ammollati in acqua di rose o di fiori d'arancio, dolcificati con miele o melassa d'uva, e acidificati con il lime o con il limone, l'erba del re si fa strada in Occidente, la leggenda racconta che fu l'imperatrice Elena madre di Costantino a diffonderlo in tutto l'Impero Romano dopo averlo trovato sul Golgota luogo della Crocifissione e Plinio il Vecchio ci dice che:
" Il basilico è la pianta più feconda: si dice che la semina debba essere accompagnata da maledizioni e ingiurie, per farlo crescere più abbondante; dopo la semina si batte la terra.
... Si dice che il momento migliore per seminare il basilico sia il periodo dei Parilia; alcuni ritengono adatto anche l'autunno, e avvertono di bagnare d'aceto la semenza, quando si semina il basilico per l'inverno.
... I momenti adatti ali» irrigazione sono il mattino e la sera, per evitare che l'acqua venga scaldata dal sole; solo il basilico può essere bagnato anche a mezzogiorno : in effetti si ritiene che anche appena seminato spunti fuori in brevissimo tempo se fin dall'inizio viene innaffiato d'acqua calda.
...Crisippo ha mosso pesanti accuse anche al basilico, che considera dannoso allo stomaco, alla minzione, alla vista, e capace inoltre di provocare pazzia, stato di torpore e disturbi al fegato: per questo le capre lo disdegnano e, secondo lui, anche gli uomini dovrebbero evitarlo. Certi aggiungono che, se viene tritato e coperto con una pietra, fa nascere uno scorpione, mentre se viene masticato e messo al sole fa nascere i vermi. Gli Africani poi ritengono che se uno viene punto da uno scorpione Io stesso giorno in cui ha mangiato del basilico, non ha possibilità di salvarsi. Ché anzi alcuni riferiscono che un pugno di basilico tritato con I o granchi di mare o di fiume attira tutti gli scorpioni che si trovano nelle vicinanze. Diodoro sostiene, nei suoi Empirica, che cibarsi di basilico fa venire i pidocchi. La generazione successiva ha difeso energicamente questa pianta, asserendo che le capre ne mangiano,
che nessuno ne ha avuto la mente sconvolta, e che costituisce un rimedio contro le punture degli scorpioni di terra e il veleno di quelli di mare, se è preparata con vino e con l'aggiunta di un po' di aceto. La pratica ha anche dimostrato che il basilico messo nell'aceto e annusato fa bene in caso di svenimento, come pure in caso di letargia e infiammazione, dato che ha un effetto rinfrescante. In impacco, con olio di rose o di mirto, o con aceto, fa cessare il mal di testa; applicato insieme con vino è un rimedio in caso di lacrimazione. Fa bene anche allo stomaco: preso con aceto, dissipa il gonfiore provocando rutti; applicato in impacco, ha effetto astringente sull'intestino, stimola la diuresi; in questo
modo giova anche a chi è affetto da itterizia e idropisia; anche nei casi di malattie biliari impedisce la formazione di catarri gastrici.
Per questo motivo Filistione Io prescriveva anche ai malati di morbo celiaco e, cotto, ai malati di dissenteria; Plistonico contro . . ., alcuni anche nei casi di tenesmo e di espettorazione di sangue, se messo in vino, e inoltre per l'indurimento dell'epigastrio. Applicato sulle mammelle, il basilico ne fa uscire il latte. Fa molto bene alle orecchie dei bambini, soprattutto se è unito a grasso d'oca. I semi, tritati e inalati, . . . gli starnuti e, in impacco, anche i raffreddori di testa; presi come alimento, in aceto, purgano l'utero. Mescolati a tintura nera da calzolaio fanno scomparire le verruche. Hanno effetto afrodisiaco, per cui vengono fatti ingerire anche ai cavalli e agli asini nel periodo della monta. Per tutti questi usi il basilico selvatico ha maggiore efficacia, mentre ha proprietà specifiche per i disturbi provocati da vomito ripetuto, per gli ascessi all'utero; la radice, presa con vino, è ottimo rimedio contro le morsicature degli animali. "
Storia Naturale - Libro XIX
Plinio Il Vecchio
Traduzione Francesca Lechi
Ocimum basilicum - Basilico rosso
Basilico, affabica, arancio del ciabattino, basaco, basalecc, basiri, basigat, baxaico, bergamò, brasile, erba reale, frabrica, ocimo, vasalico, vasenecola o vasinicola a Napoli per la leggenda del re persiano Nicola che attraverso la coltivazione e il commercio delle piantine di basilico favorì così tanto il benessere di tutto il suo regno che alla sua morte i sudditi non lasciarono seccare il basilico e lo usarono per le loro pietanze; vasileche, albahaca e alhábega in spagnolo, basil in inglese, königskraut in tedesco, basilic commun in francese; appartiene alla famiglia delle Lamiaceae e annovera circa 35 specie, è annuale, raggiunge i 50 centimetri di altezza, ha il fusto quadrangolare, eretto, ramificato, pubescente rossastro e legnoso a maturità, le foglie di un verde o rosso/viola brillante, picciolate, opposte a due a due sono ovali lanceolate, glabre con i margini leggermente e sparsamente dentati, i fiori bianchi o rosei hanno due brattee cordiformi sono tubulari con il labbro inferiore diviso in quattro lobi, sono raccolti in verticilli disposti lungo una spica terminale. Ha per frutti quattro acheni ovali bianchi da immaturi e neri a raggiunta maturità.
" Il basilico è volgarmente conosciuto. Mangiato copiosamente ne i cibi iscurisce la vista, mollifica il corpo, commovee la ventosità, provoca l'orina, aumenta il latte: ma difficilmente si digerisce. Impiastrato con fiore di farina di polenta, olio rosado, e aceto, giova all'infiammagioni
del polmone: e per se solo, alle punture del drago marino, e de gli scorpioni: e insieme con vino di Chio, à i dolori degli occhi. Il succo messo negli occhi mondifica le caligini, e disecca i flussi di quegli . Il sème bevuto giova à coloro, ne cui corpi si generano humori malinconici, alla difficultà dell'orina, e alle ventosità del corpo. Tirato su per il naso fa starnutare: il che similmente fa l’herba, ma bisogna nel starnutare comprimersi gli occhi. Astengonsi alcuni dal mangiarlo ne cibi: imperoche masticato, e posto al sole genera vermicelli. Dissero gli Arabi, che essendo trafitti da gli scorpioni coloro, che quel giorno han mangiato basilico, non sentono dolore alcuno.
E' Il basilico odoriferissima pianta, e notissima à ciascuno in Italia. imperoche poche sono quelle case, e massimamente nelle città, che non habbiamo la state il Basilico in su le finestre, in su le loggie, e ne i giardini. Enne à i tempi nostri in Italia di tre sorti: di quello ciò è, che produce le frondi larghe, lunghe, e grasse, assai maggiori di quelle dell'amaranto, e quasi simili à quelle degli aranci, e de cedri: il secondo fa le foglie e i rami minori assai del su detto, e quello è di due fsrti l'uno ciò è che ha vero odore di basilico, e l'altro, segnalatamente di cedro, come la melissa, e però chiamato particolarmente da gl'Arabi Ocimo citrato come lo chiama Mesue. Il terzo per far egli le foglie molto minute, e per esser molto più odorato di tutti li altri, si chiama Basilico gentile. Et di queste tre spetie intese Serapione, facendo di ciascuno particolare capitolo, ciò è per lo Basilico commune, e mezzano, di cui intende qui Dioscoride, intese quello, che esso chiama ozimo non gariofilato: per il gariofilato, il minuto, il quale è più odorifero di tutti: e per il citrato quello, che ha odore simile al cedro, come leggendo in Serapione tutti questi capitoli può molto bene conoscere ciascuno di buon ingegno. Et però non so come si possono vantare Frati dei zoccoli commentatori di Mesue nel comento del lettovario di gemme d'esser essi stati ritrovatori del Basilico gariofilato: avenga che quello, che scrive Serapione, produca le sue foglie piccoline, e il fusto quadrangolo, come fa à punto il nostro chiamato gentile: e il Fratesco facci le frondi maggiori di quelle della melissa, per intorno dentate, e il fusto senza cantoni. Al che considerando molto ben io, credo più presto, che se l’habbiano sognato, che altrimenti. Ne d’altro, che di quesio nostro gentil intese Mesue, imperoche per essere molto più odorifero, e aromatico de gli altri due, ragionevolmente debba egli effer più confortativo, e più cordiale, e più degli altri convenevole per mettere nel lettovario di gemme composto per l’infirmità del cuore. Et però si da eglì à odorare pesto con aceto nelle sincopi e altri difetti del cuore. Scrive il Brasavola nel suo libro delle essaminationi de i semplici stampato in Roma, che tanta contrarietà è nel Basilico tra Plinio, e Dioscoride, che necessaria cosa è, ch'uno di loro habbia veramente fallato, imperoche, secondo che dice Dioscoride, che coloro, che quel giorno havranno mangiato Basilico, essendo trafitti dagli scorpioni non sentiranno dolore alcuno; Plinio per il contrario à XII. capitoli del XX. libro dice, che non può guarire, havendo quel giorno mangiato Basilico, chi sia stato trafitto dagli scorpioni. Nel che poca patienza nel finir di leggere il capitolo, dimostra havere havuto il Brasauola: percioche se havesse egli letto quel capitolo di Plinio fino all'ultimo, havrebbe conosciuto quanto bene l'istesso Plinio risolva la controversia, e risponda à gli obietti, che Crisippo, e alcuni altri fanno contra il Basilico. Nel che accioche n'apaia il vero ad ogni candido lettore, così di parola in parola ne scrisse Plinio. Biasimò Crisippo gravemente il Basilico, dicendo nuocere allo, stomaco, all'orina, e alla vista: e oltre à ciò causare pazzia, lithargia, e difetti nel fegato: e così come le capre non ne fanno stima, e non ne mangiano; debbia similmente non mangiarsi da gli huomini. Dissero alcuni, che mettendosi trito sotto una pietra ne nascono gli scorpioni: e che masticato, e posto al sole se ne generano alcuni vermi. Ma gli Arabi dissero, che se alcuno sarà trafitto dagli scorpioni il di che havrà mangiato del Basilico, non potrà guarire. Ma la età, che è seguita dopo costoro, difende allegramente il Basilico, provando, che le capre il mangiano: e che bevuto con vino, e con un poco di aceto sana le punture degli scorpioni marini, e terrestri, non meno che fi faccia la ruta, e la menta. E oltre di questo stato isperimentato essere il Basilico salutifero à farlo odorare con aceto à coloro, che tramorticoono, e ei vengono meno: e medesimamente à i lethargici, e àgli infamati. Giova applicato con olio rosado, ovèro mirtino à i dolori del capo: e con vino alle nuvolette degli occhi: e conferisce anchora allo stomaco, questo tutto del Basilico scrisse Plinio. Nel che manifestamente si conosce reprobar Plinio l’opinioni di tutti coloro, che così agramente lo biasimarono. Trasormasi il Basilico, come scrive, Theophrasto all'VIII.capo del V. libro delle cause delle piante, agevolmente in serpollo, quando si semina in luoghi valorosamente scaldati dal sole. nella qual permutatione perde egli la grandezza delle frondi e acquista maggior odore. Ma, e però da pensare, che cotali trasformationi non facciano con effetto la spetie vera delle cose, in cui si permutano; ma solamente in un certo modo si gli rassimiglino. Discorda oltre a questo Avicenna da Dioscoride in dir egli nel secondo trattato delle forze del cuore, che genera l'uso del Basilico sangue torbido e malinconico. Fece del Basilico mentione Galeno al II. delle facultà de gli alimenti, così dicendo. Sono assai che usano il Basilico nelle vivande, come che poco si commendi. Mentonsi coloro, che dicono, che mettendosi trito in un vaso di terra ben coperto, e massime posto al sole, generi gli scorpioni, imperoche questo è del tutto alieno dal vero. Ma si può ben dire con verità questo di lui, ciò è, che sia, nimico dello stomaco, per esser egli molto duro da digerire. E' oltre di questo (secondo che riferìsce pur egli al fine dell' VIII. delle facultà de i semplici) caldo nel secondo ordine: e ha in se una superflua humìdìtà. Et però non è al proposito ne i cibi: come che amministrato dì fuori sia per maturare, e per digerire molto convenevole. Chiamano i Greci il Basilico akimon: e i Latini ocimum. Onde è da sapere, che non poca differenza è tra l'ocimo scritto per i, e l'ocymo scritto per y. Imperoche ocymo scritto per y, appresso àgli antichi era una certa spetie di cibo d'herba da pasturare i buoi: così chiamato ò perché crescesse presto; ò perché fusse la prima herba, che venisse la primavera fuor di terra; overamente perché ella solvesse, e purgasse i buoi, movendo loro il corpo, così chiamato da questa parola Greca okùs, la quale sìgnifica presto. Ma ocimo scritto per i, altro non è che il Basilico herba odorata, di cui babbiamo assai detto di sopra: denominata da questo verbo Greco oXo il quale sgnifica spirare d'odore. onde che forsè più ragionevolmente si scriverebbe per z, che per c. L’Ocymo adunque scritto per y, appresso alcuni antichi era un cibo per i buoi di biade tagliate in herba, avanti che diventassero dure: overamente di diverse sorti di seme seminato insieme ne i campi. Per ilche fare prendevano gli antichi dieci moggia dì fave, due di veccia, altrettanti d'eurilia: e mescolato ogni cosa insieme, seminavano poi tutto sòtto sopra in tanto terreno, che paresse loro bastare: e come erano cresciuti questi semi in herba, la tagliavano fresca e tenera, e la davano à i buoi. Ben che Catone seminasse il suo ocymo, mescolandosì insieme veccia, fiengreco, fave, e orobo, e seminandolo, e tagliandolo nel modo medesimo. Onde crederei io l'ocymo appresso àgli antichi non solamente esser stato un herba nata d'una mescolanza di molti semi, per dar mangiare à i buoi nella prima pastura la primavuera; ma anchora d'ogni sorte di biada, ò di legume senza altra compagnia, come d’orzo da per se, di vena da per se, di veccia, d'orobo, e d'altri simili: perché di questo pascolo non solaamente si nutriscono i buoi, e i cavalli; ma si purgano anchora nel tempo della primavera. Il che si fa anchora à i tempi nostri in piu luoghi d'Italia, e spetialmente con l'orzo, con l'ervo, e con la veccia. Ne mi piace l'opinione di coloro, i quali senza ragione alcuna, e senza testimonio d’approvati scrittori si persuadono, che l’ocymo sia una pianta così chiamata di sua propria spetie. Imperoche ( per quanto io ho mai letto ) non ho ritrovato alcuno de gli antichi scrittori, che habbia fatto memoria di pianta alcuna di questo nome. Ma bene ho io ricavato, che cotal vocabolo non si conviene più à questa sorte di pascolo, che a quella: ma che si possa accomodare, ad ogni sorte di pastura d’herba, che sia la prima, che nasca, e che cresca la primavera. Onde non è in modo alcuno d'accettare la opinione d'Adamo Lonicero, il quale non senza ridicolo errore vuole, che quella pianta , che in sul Trentino si chiama Formentone, e in Friuli Saracino dalla nerezza del seme, sia l'ocymo, tenendosi ciò per certo. Ma non bastandogli questo, erra poi molto maggiormente in attribuire à cotal suo ocymo tutte le facultà, e le virtù, che si danno all'altro ocimo odorato, cio è al Basilico, come fa parimente il Trago stando poco avvertito à quello che egli scriveva. Ne per altro vuole egli, che il Formentone sia l'ocymo de gli antichi, se non perché ( come dice egli ) nasce tre giorni dapoi che è seminato ne i campi. Ma l'ocymo (per quanto io me ne stimi ) non è chiamato così per cotal ragione, ma perché cresca e venga più presto alla perfettione nel tempo della primavera d'ogni altro herbatico. Percioche se tutti i semi, che presto nascono, si dovessero chiamare ocymo, veramente infinite sarebbero le sue spetie. Chiamano (come sé detto) i Greci il Basilico, Okimon; i Latini, Ocimum: gli Arabi, Berendaros: e Bedarog: i Tedeschi, Basilien, e Basilgram: li Spagnoli, Albahaca: i Francesi, Basilic, "
Dioscoride a cura di Pietro Andrea Mattioli
Ocimum basilicum - Basilico al limone
Oriente e Occidente dunque nella storia del basilico, un connubio che si riversa nei racconti e nelle leggende che lo riguardano con un sottile riferimento all'atto pratico della cimatura dei fiori che lo rende forte, vigoroso e non lo fa morire.
Salomè chiese la testa del Battista e dopo averla ricevuta la conservò in un vaso da cui spuntarono delle piantine di basilico.
Intorno all'anno 1000, quando la Sicilia era sotto il dominio degli arabi, nel quartiere della Kalsa di Palermo un Moro si innamorò di una giovane fanciulla che usciva sul balcone per prendersi cura delle piante, la corteggiò, le promise eterno amore, riuscì ad essere ricambiato, ma l'idillio durò fin quando la fanciulla maturò un'atroce vendetta per aver scoperto che il suo amato sarebbe dovuto tornare in Oriente dove l'aspettavano moglie e figli. Delusa e ferita una notte mentre il Moro dormiva la fanciulla gli tagliò la testa e la usò come vaso per piantare il basilico che innaffiò con le sue lacrime, il vaso con la pianta di basilico suscitò l'interesse dei vicini per la sua bellezza e fu fatta riprodurre dagli artigiani del luogo che iniziarono così a realizzare i vasi Testa di Moro, in una variante della leggenda si racconta che fu la famiglia contraria all'amore clandestino tra i due giovani a tagliare la testa di entrambi e a esporla come monito sul balcone.
La storia che ci racconta il Boccaccio nel Decamerone non è certo meno struggente e sempre di teste mozzate e basilico parla:
" I fratelli dell'Isabetta uccidon l'amante di lei; egli l'apparisce in sogno e mostrale dove sia sotterrato. Ella occultamente disotterra la testa e mettela in un testo di bassilico; e quivi su piagnendo ogni dì per una grande ora, i fratelli gliele tolgono, ed ella se ne muore di dolore poco appresso.
Finita la novella d'Elissa, e alquanto dal re commendata, a Filomena fu imposto che ragionasse; la quale, tutta piena di compassione del misero Gerbino e della sua donna, dopo un pietoso sospiro incominciò.
La mia novella, graziose donne, non sarà di genti di sì alta condizione, come costoro furono de' quali Elissa ha raccontato, ma ella per avventura non sarà men pietosa; e a ricordarmi di quella mi tira Messina poco innanzi ricordata, dove l'accidente avvenne.
Erano adunque in Messina tre giovani fratelli e mercatanti, e assai ricchi uomini rimasi dopo la morte del padre loro, il qual fu da San Gimignano, e avevano una lor sorella chiamata Lisabetta, giovane assai bella e costumata, la quale, che che se ne fosse cagione, ancora maritata non aveano.
E avevano oltre a ciò questi tre fratelli in uno lor fondaco un giovinetto pisano chiamato Lorenzo, che tutti i lor fatti guidava e faceva, il quale, essendo assai bello della persona e leggiadro molto, avendolo più volte l'Isabetta guatato, avvenne che egli le 'ncominciò stranamente a piacere. Di che Lorenzo accortosi e una volta e altra, similmente, lasciati suoi altri innamoramenti di fuori, incominciò a porre l'animo a lei; e sì andò la bisogna che, piacendo l'uno all'altro igualmente, non passò gran tempo che, assicuratisi, fecero di quello che più disiderava ciascuno.
E in questo continuando e avendo insieme assai di buon tempo e di piacere, non seppero sì segretamente fare che una notte, andando l'Isabetta là dove Lorenzo dormiva, che il maggior de'fratelli, senza accorgersene ella, non se ne accorgesse. Il quale, per ciò che savio giovane era, quantunque molto noioso gli fosse a ciò sapere, pur mosso da più onesto consiglio, senza far motto o dir cosa alcuna, varie cose fra sé rivolgendo intorno a questo fatto, infino alla mattina seguente trapassò.
Poi, venuto il giorno, a'suoi fratelli ciò che veduto avea la passata notte dell'Isabetta e di Lorenzo raccontò, e con loro insieme, dopo lungo consiglio, diliberò di questa cosa, acciò che né a loro né alla sirocchia alcuna infamia ne seguisse, di passarsene tacitamente e d'infignersi del tutto d'averne alcuna cosa veduta o saputa infino a tanto che tempo venisse nel qua le essi, senza danno o sconcio di loro, questa vergogna, avanti che più andasse innanzi, si potessero torre dal viso.
E in tal disposizion dimorando, così cianciando e ridendo con Lorenzo come usati erano avvenne che, sembianti faccendo d'andare fuori della città a diletto tutti e tre, seco menarono Lorenzo; e pervenuti in un luogo molto solitario e rimoto, veggendosi il destro, Lorenzo, che di ciò niuna guardia prendeva, uccisono e sotterrarono in guisa che niuna persona se ne accorse. E in Messina tornati dieder voce d'averlo per lor bisogne mandato in alcun luogo; il che leggiermente creduto fu, per ciò che spesse volte eran di mandarlo attorno usati.
Non tornando Lorenzo, e l'Isabetta molto spesso e sollicitamente i fratei domandandone, sì come colei a cui la dimora lunga gravava, avvenne un giorno che, domandandone ella molto instantemente, che l'uno de'fratelli le disse:
- Che vuol dir questo? Che hai tu a fare di Lorenzo, ché tu ne domandi così spesso? Se tu ne domanderai più, noi ti faremo quella risposta che ti si conviene.
Per che la giovane dolente e trista, temendo e non sappiendo che, senza più domandarne si stava, e assai volte la notte pietosamente il chiamava e pregava che ne venisse, e alcuna volta con molte lagrime della sua lunga dimora si doleva e, senza punto rallegrarsi, sempre aspettando si stava.
Avvenne una notte che, avendo costei molto pianto Lorenzo che non tornava, ed essendosi alla fine piagnendo addormentata, Lorenzo l'apparve nel sonno, pallido e tutto rabbuffato e con panni tutti stracciati e fracidi indosso, e parvele che egli dicesse:
- O Lisabetta, tu non mi fai altro che chiamare e della mia lunga dimora t'attristi, e me con le tue lagrime fieramente accusi; e per ciò sappi che io non posso più ritornarci, per ciò che l'ultimo dì che tu mi vedesti i tuoi fratelli m'uccisono.
E disegnatole il luogo dove sotterrato l'aveano, le disse che più nol chiamasse né l'aspettasse, e disparve.
La giovane destatasi, e dando fede alla visione, amaramente pianse. Poi la mattina levata, non avendo ardire di dire al cuna cosa a'fratelli, propose di volere andare al mostrato luogo e di vedere se ciò fosse vero che nel sonno l'era paruto. E avuta la licenza d'andare alquanto fuor della terra a diporto, in compagnia d'una che altra volta con loro era stata e tutti i suoi fatti sapeva, quanto più tosto potè là se n'andò; e tolte via foglie secche che nel luogo erano, dove men dura le parve la terra quivi cavò; né ebbe guari cavato, che ella trovò il corpo del suo misero amante in niuna cosa ancora guasto né corrotto; per che manifestamente conobbe essere stata vera la sua visione. Di che più che altra femina dolorosa, conoscendo che quivi non era da piagnere, se avesse potuto volentieri tutto il corpo n'avrebbe portato per dargli più convenevole sepoltura; ma, veggendo che ciò esser non poteva, con un coltello il meglio che potè gli spiccò dallo 'mbusto la testa, e quella in uno asciugatoio inviluppata e la terra sopra l'altro corpo gittata, messala in grembo alla fante, senza essere stata da alcun veduta, quindi si partì e tornossene a casa sua.
Quivi con questa testa nella sua camera rinchiusasi, sopra essa lungamente e amaramente pianse, tanto che tutta con le sue lagrime la lavò, mille baci dandole in ogni parte. Poi prese un grande e un bel testo, di questi nei quali si pianta la persa o il bassilico, e dentro la vi mise fasciata in un bel drappo, e poi messovi su la terra, su vi piantò parecchi piedi di bellissimo bassilico salernetano, e quegli di niuna altra acqua che o rosata o di fior d'aranci o delle sue lagrime non inaffiava giammai; e per usanza avea preso di sedersi sempre a questo testo vicina, e quello con tutto il suo disidero vagheggiare, sì come quello che il suo Lorenzo teneva nascoso; e poi che molto vagheggiato l'avea, sopr'esso andatasene, cominciava a piagnere, e per lungo spazio, tanto che tutto il bassilico bagnava, piagnea.
Il bassilico, sì per lo lungo e continuo studio, sì per la grassezza della terra procedente dalla testa corrotta che dentro v'era, divenne bellissimo e odorifero molto. E servando la giovane questa maniera del continuo, più volte da'suoi vicini fu veduta. Li quali, maravigliandosi i fratelli della sua guasta bellezza e di ciò che gli occhi le parevano della testa fuggiti, il disser loro:
- Noi ci siamo accorti, che ella ogni dì tiene la cotal maniera.
Il che udendo i fratelli e accorgendosene, avendonela alcuna volta ripresa e non giovando, nascosamente da lei fecer portar via questo testo. Il quale, non ritrovandolo ella, con grandissima instanzia molte volte richiese; e non essendole renduto, non cessando il pianto e le lagrime, infermò, né altro che il testo suo nella infermità domandava.
I giovani si maravigliavan forte di questo addimandare e per ciò vollero vedere che dentro vi fosse; e versata la terra, videro il drappo e in quello la testa non ancor sì consumata che essi alla capellatura crespa non conoscessero lei esser quella di Lorenzo. Di che essi si maravigliaron forte e temettero non questa cosa si risapesse; e sotterrata quella, senza altro dire, cautamente di Messina uscitisi e ordinato come di quindi si ritraessono, se n'andarono a Napoli.
La giovane non restando di piagnere e pure il suo testo addimandando, piagnendo si morì; e così il suo disavventurato amore ebbe termine. Ma poi a certo tempo divenuta questa cosa manifesta a molti, fu alcuno che compuose quel la canzone la quale ancora oggi si canta, cioè:
Quale esso fu lo malo cristiano,
che mi furò la grasta, ecc. "
Giornata quarta - Novella Quinta
Decamerone
Giovanni Boccaccio
Il basilico contiene fenilpropeni: anetolo, estragolo, eugenolo, metileugenolo; monoterpeni; 'α-terpineolo, cis-ocimene, eucaliptolo, fencone, limonene, linalolo, pinene; sequiterpeni: 'α-bergamotene, β-cariofillene, epi-alfa-cadinolo, germacrene-D; sali minerali: calcio, ferro, fosforo, magnesio, potassio, sodio; saponine; sostanze glucosidiche, vitamine A, B2, B9, C, E, K, ha proprietà antibatteriche, antidolorifiche, antinfiammatorie, antimicrobico, antiossidante, antisettiche, antispasmodiche, antispastiche, aromaterapiche, carminative, digestive, diuretiche, galattogoghe, oftalmiche, sedative, stomachiche, toniche, tossifughe.
Distillato con assenzio, issopo, maggiorana, menta piperita, puleggio, rosmarino, ruta, salvia, semi di finocchio, serpillo, timo, era usato per preparare l'Acqua Vulneraria chiamata anche Archibugiata perché nel Medioevo curava le ferite provocate dagli archibugi.
Caterina Sforza, faceva distillare il basilico con anice, cannella, garofano, ginepro, incenso, menta, noce moscata, rose, rosmarino, salvia e sambuco per ottenere un tonico che chiamava Acqua celeste.
Le sue foglie macerate nel vino creano una soluzione tonica e a quanto pare afrodisiaca.
Il suo decotto è un utile colluttorio per l'alitosi.
A Palermo veniva intrecciato con fiori d'arancio, rosmarino, ruta e posto nelle culle a protezione dei neonati.
Il suo olio essenziale si usa nella preparazione dei liquori, dei profumi, dei saponi ed è tossico per gli insetti.
Sconsigliato l'uso alle donne in stato interessante.
Nel dizionario universale economico rustico del 1797 il basilico è descritto così:
" Basilico, lat. Ocymum, fr. Basilic. Pianta annuale notissima, odorifera ed aromatica. I suoi fiori sono bianchi o porporini. Allora quando si semini deve comprimersi la terra sovra dei semi; se questa sia soffice quelli facilmente marciscono. Nasce presto e sarà tal prestezza anche maggiore se il seme si bagni d'acqua bollente oppure d'aceto. Ama il basilico terreno umido e leggiero. Il freddo gli nuoce, il caldo lo fa illanguidire, il tepido gli è confacente. Si moltiplica di seme, benché riesca di piantarne ancor dei rampolli con buon successo. I giardinieri ne distinguono più specie, il grande o maggiore si alza un piede e mezzo ed è guernito di foglie grandi verdi e porporine. Il mezzano è similissimo al grande ma più in piccolo, fra tutti il più odoroso e il più in uso. Il piccolo ha fogliette sottili e minute simili alla maggiorana.
Si coltiva nelle ajuole de'giardini e nei vasi. Quest'ultimo colle forbici si riduce a quella figura che più aggrada di palla, di piramide, di colonna ec. Dicesi che il basilico maggiore masticato o pistato fra due mattoni nuovi generi degli scorpioni, e che sia talmente abborrito dalle donne che basta metterne un ramoscello sotto al loro piatto per far perdere loro l'appetito, che preso per il naso come il tabacco generi scorpioni entro il cervello. Non è ora più il tempo di dar a credenza simili pappolate. Serve fresco e secco polverizzato egregiamente alla cucina, e vi sono de'cuochi cosi intelligenti i quali col basilico, timo e savotegia fanno manicaretti di tal sapore che sembrano conditi colle spezierie più scelte de'paesi forestieri. La sua virtù medicinale è cordiale e cefalica. L'infusione presa a guisa di the è ottima per li dolori di testa: molte persone si adattano meglio alla polvere del basilico secco che al tabacco, il quale irrita loro troppo le fibrille nervose della membrana pituitosa, Si semina il basilico in aprile e fiorisce in luglio ed agosto. "
Dizionario universale economico rustico
Ocimum basilicum - Basilico greco
Nel linguaggio dei fiori il basilico rappresenta l'odio; un rametto può andare a comporre il mazzetto delle sette o nove erbe di san Giovanni, entrambi i numeri sono sacri.
" ... La vita è ricca, come vedete, nella sua inesauribile varietà; e voi potete godervi senza scrupoli quella parte di ricchezza che è toccata a voi, a modo vostro. Quella ragazza, per esempio, che faceva capolino dietro i vasi di basilico, quando il fruscio della vostra veste metteva in rivoluzione la viuzza, se vedeva un altro viso notissimo alla finestra di faccia, sorrideva come se fosse stata vestita di seta anch'essa. Chi sa quali povere gioie sognava su quel davanzale, dietro quel basilico odoroso, cogli occhi intenti in quell'altra casa coronata di tralci di vite? E il riso dei suoi occhi non sarebbe andato a finire in lagrime amare, là, nella città grande, lontana dai sassi che l'avevano vista nascere e la conoscevano ... "
Fantasticherie - Vita dei campi - 1880
Giovanni Verga