Agosto - Miniatura
XIV secolo
Giacomo Nicolò
Palazzo Pepoli - Bologna
" Conciossiacosaché io, cruschevolissimo nostro Arciconsolo, al cospetto degli amatissimi vostri Crusconi, di alcun tratteniento piacevole, in questa solenne notte, comandandolmi voi, avessi in animo di sollazzarvi; mi era l'ultima sera del passato mese di luglio, per andar pensando della materia, tutto solo nella mia camera, lontano da ogni domestico strepito, già ritirato, quando, avendo pur di quella diliberato (checché se ne fosso cagione), a me parve che in un subito tutta la strada di armi e di grida si sentisse romoreggiare: per la qual cosa, avvisandomi qualche scompiglio nel vicinato esser dovuto succedere, alla finestra incontanente affacciatomi, ebbi veduto due che, ravviluppandosi insieme con istrumenti si fatti che il buio della notte non mi lasciava discernere, si percotevano malamente, i quali poco appresso, per se medesimi dividendosi, l'un dietro l'altro in verso la piazza di Santa Croce a correre incominciarono. Ma perciocché il desiderio degli uomini per picciola dotta non mai s'acqueta, come accade a chi molto di veder cose nuove è vago, io, non contento di quello che aveva veduto, preso a correre incontanente giù per la scala così in farsetto com'era, e quasi del tutto in camicia, e con una rosta in mano, aperto la porta di casa, ed appresso uscendo serratala, per la medesima strada che essi avean preso inviandomi, non ristetti sin fui alle scalee di Santa Croce arrivato. Ed allora alquanto fermatomi, e guardato in verso la piazza, e poscia voltatomi intorno intorno, niuno vergendovi, fortemente presi a maravigliarmi; e venutomi già in pensiero di ritornarmene per la medesima, e alla mia conceputa opera dar principio, udito un non so che di strepito in verso il palazzo de' Cocchi, colaggiù trassi, dove alcuni facchini vi vidi che cosi snellamente come sapete scherzavano e si diportavano; i giuochi de' quali cotanto mi seppero buono che buona pezza di tempo vi spesi riguardandoli perciocché alcuni primieramente di essi a sedere in terra sendosi posti, e tra loro in mezzo posato un fiasco di vino, in terzo alla mora giocavano in questa maniera, cioè, che due per volta , e non più, insieme giocando, chi di loro vinceva, con quello che da prima era rimaso fuori del giuoco veniva alle mani; e così, girando lor sorte, quegli che primieramente alle cinque dita pervenuto era, di un bicchier di vino rimaneva guadagnatore e si lo bevea, e questo fare alla mora in terzo chiamavano eglino il toccafondo. Ma altri poi, che più sobriamente volevan darsi piacere, intorno alla fonte, che quivi ha, un cerchio facendo di lor persone, uno di essi, a cui la sorte toccava, a seder ponevano, cacciandoli sotto un cercine, sovra quel pilastrello che a guisa di piramide nel mezzo di quella fonte si vede su rilevare, e così tutti a uno a uno di buone cercinate lo investivano; e fini a tanto che colle mani uno di quei cercini non carpiva, colassù stava; ma carpendolo, a quello, di cui era il carpito cercine, toccava a esser bersaglio; per la qual cosa molte volte mi risi io del cattivello facchino, cui gli sventurati tempiali da' colpi degli avventali cercini indiscretamente percossi erano. Ma poscia che io quivi a riguardare questo badalucco lungamente fui dimorato, facendomi a credere che a pormi a scrivere l'ora fosse pur troppo tarda, mi misi in cuore, prima che a casa mi ritraessi, per procurarmi più dilettevole il sonno, voler prender un po' di fresco, avvegnaché quivi, per lo riverbero che il giorno vi aveva lasciato il Sole, niente se ne sentisse, dimodoché lunghesso verso le case de' Peruzzi, giù per lo Borgo de' Greci, con animo di arrivare alla fonte di piazza, e quivi alla mia volontà satisfare, presi la via: dove alla fine pervenuto, postomi appoggiato a quei ferri chela circondano, e facendomi vento colla mia rosta, a niuna cosa pensava del mondo, e come uomo a cui niente calesse, attendeva a contar così al barlume, quanti fossero gli sporti ed i merli, che a modo di corona il Palazzo pubblico veggiamo cingere. Ma mentre che io in quella maniera, spensierato del tutto, mi trastullava, ed ecco dalla sinistra parte di verso le Logge venire incontro di me un uomo tutto solo con lento passo, il quale comunque mi si cominciò accostare, mi parve un nuovo uomo; imperciocché egli era di statura corta, di pelle vermiglia, di pelo rosso e lunga, grasso, nerboruto, e di piacevolissima faccia (la quale per lo che io ne vidi dipoi, ben corrispondeva al costume suo), ed era il suo vestimento un lenzuolo, nel quale egli tutto si rinvolgeva.
Costui, appressandomisi appoco appoco, quando per ispazio di quattro passi mi fu vicino, inchinandomisi e salutandomi, disse: Bene stia lo 'mpastato. Io non voglio negare, Accademici , che, sentendomi nominare da una cosi fatta persona, in su quell' ora tra l' ombre della notte che gli spirili e le fantasime sogliono andare in ronda, e da me per allora non conosciuta, non mi sentissi tutto in un tratto rimescolare; ma di ciò accorgendosi egli, per assicurarmi, soggiunse: Non temer niente di mia venuta, imperocché io sono un amico tuo. Al che io subitamente risquotendomi, fui per credere che l'anima dello Infarinato, o dello Stritolato, o di alcun altro de' nostri Padri Accademici apparendomi, mi volesse ad uopo dell'Accademia alcuna cosa parlare, con alcuno ammonimento avvertendomi; ma, veggendolo di cosi fresca figura e cosi diversa da quella che eglino ebbero in vita, che si magri e sparuti furono, una cotal credenza tolsi dell'animo, e delle sue parole, che amico diceva d'essere, feci buon cuore e presi tanto d'ardire, che io l'addomandai di suo essere, e perché cagione da me, che noi conosceva, fosse venuto. Alla qual domanda esso così rispose: Già ho io detto che sono un amico tuo, né per altro che per giovarti mi t'appresso d'avanti. Molti (soggiunsi io) possono essere amici ad altrui, e molti loro intendono giovare; e però, acciocché quelli che il giovamento ricevere dee, al donatore ne abbia grado, ragionevol cosa è che del nome di esso sia fatto certo; sicché molto carissimo mi sarebbe, che tu il tuo nome mi palesassi. Oh, disse egli, tu di' vero, né '1 ti voglio io a patto veruno tener celato; e però sappi che io il Ferragosto sono, persona da te e qualunque altra persona discreta e piacevole, conosciutissimo. Udito questo da me, non potetti tener le risa, e immantinente feci ragione, che, o costui per lo sollione anfanasse a secco, o che l'aria di Vinegia, donde mostrava venire, gli avesse di mala maniera offeso la testa. Ma egli, veggendomi così ridere, prese a dire: Tu ridi, Impastato, credendo forse il nome di Ferragosto esser vano, e non avere dove fondarsi niun soggetto, ed esser totalmente a caso. Certo, che io non tel vo' negare, risposi. Cui egli soggiunse, dicendo: Deh stolto! A che ti trasporta la vana credenza del folle popolo; che tu a rider di me ti muova, da cui ogni tua salute depende e ogni tuo bene? Ascoltami adunque, e perché a ciascuno, e spezialmente a gli Accademici tuoi quello che io dico racconti, attendi alle mie parole, acciocché a te e a loro quello non avvenisse che avvenir suole a coloro che né di me, né del nome mio hanno cura. Tu dei primieramente sapere che non senza la provvidenza di Ferragosto (che, come io t' ho detto, sono io) in questo luogo tu ti ritrovi; imperocché io non vo' che tu creda che quei due che dianzi d' avanti alla tua camera questionavano, uomini vulgari di questa terra fossero che in quel luogo a quel fare, menati dal case si ritrovassero; ma sì benché fossero miei Ferratini (che il medesimo viene a dire quello che voi direste garzoni), i quali quello fanno che a me piace, e vanno invisibili; né ad altra fine quivi vennero, che per trarti di casa, acciocché tu ti dovessi meco incontrare, onde, discorrendo noi insieme, tu apparassi quelle cose che già indovino io che tu mi se' per addomandare. Che coloro fossero invisibili, molto bene il potesti conoscere dallo sparir che fecero quando tu fusti sull'uscio. Allora, forte maravigliatomi io di quel caso, ricominciai a parlare: O benignissimo Ferragosto, assai bene discerno la mia cecità, e conosco esser pur troppo vero quello che tu ragioni, perchè, appena serrato l'uscio, niuno vi vidi e noi potea credere, sì mi pareva una novissima cosa; ma deh! Se tu hai tanta volontà di giovarmi, come tu di', non mi negare queste cose, di che io vorrei che tu mi facessi conoscitore. E pregoti in prima che ti piaccia farmi assapere , chi tu ti sii per origine e qual sia quel gran giovamento che tu mi vogli prestare. Ben lo vedeva io, rispose egli, che tu me n'eri per domandare; ma prima che io tel dica, perciocchè mi conviene trovare alcuni miei amici, sarà buono avviarsi in colà verso la Colonna. Ed io che molto volentieri dissi; e, attraversata la piazza, andando per Calimaruza, giunti alla fine, mi volsi a passare per Mercato Nuovo, pensando per quella via dovere a Santa Trinità pervenire; ma egli, tiratomi un cotal poco per una manica, disse che quella non era la strada nostra, sicché piegando per Calimara, stava aspettando a qual colonna costui mi volesse guidare che di niuna altra mi ricordava. Ma giunti in Mercato Vecchio: Questa, disse, è quella colonna, dove io mi soglio trovare con li miei compagni. Ed accennatami quella, dove i baroni del reame di San Tommaso appoggiatisi, a suon di trombe e di salterelli, prendon la collana del ferro, a piè di essa su gli scaglioni mi fe sedere; e quivi, aspettando io che alla domanda soddisfacesse, così cominciò:
Perciocché quando a Dolcemagione arrivano uomini che qua mi siino stati fedeli, io gli fo lutti Piomboni di mia man propria che sono come se tu dicessi in volgare cavalieri e conti, ed investoli di buone possesioni, e di belle tenute li fo signori; e a chi dono un barco di lepri, a chi uno di fagiani e di tortole; e a chi una peschiera di trote: e a chi altro: Basta che, senza niun costo loro, io gli fo diventare uomini di gran conto. Ma per lo contrario coloro che non mi fecero di qua onore, venuti in terra de' godenti, non già a Dolcemagione arrivano; ma pervengono in una scurissima valle, al fine della quale in una gran selva, dove s'appiattano molte fiere mordaci, trovano una caverna in una grotta che è chiamata Portascura, la quale, perché nell'entrata è alquanto bassa, fa bisogno che trapassino a capo chino; ma quella passata, si trovano in una gran largura, dove senza niun dimoro, sopraggiunti dai miei Ferratini, e strettamente legati, sono da loro al martoro, che tu udirai, subitamente condotti. Imperocchè e' sono menati a ferrarsi ; ed il modo del ferrarsi si è che i Ferratini, affettati certi cocomeri, e misurate le fette a modo di suolo, le conficcano ne' piedi de' condennali; e questo fanno, perché, siccome essi di qua non voller esser ferrati da Ferragosto, cosi quivi conversa pena sofferir debbano del loro fallo: e questo fatto, insieme legano loro gli stinchi e le mani di dietro; e guidatili giù per una ruga molto lunga che si nomina Batticul, che ha il pavimento tutto di pan di sapone, in diverse schiere accoppiatili, al suon d'una zucca vota (come voi i barberi colla tromba) tutti si fanno muovere; e poi son lor dietro con istaffili di sovattolo, e si gli percuotono come i vostri fanciulli fanno colle bucce d' anguille intorno quel bordelletto ch' e' chiaman Fattore; e fin che gli sciagurati non hanno ben quattro volte in questo modo quella via corsa, per quel giorno non rifinano di staffilarli. Le culate e i cimbottili che i miseri a otta a otta baltan per terra, pensali tu! Quest'altra pena usano ancora per gastigarli, perché eglino gli menano sopra quella montagna di formaggio grattato che tu sai che Maso del Saggio esservi a Calandrin raccontava; e quivi, facendoli stare intorno a quella caldaja, cavali con certe mestole i ravioli di essa, così bollienti gli cacciano loro giù per la gola. Se per avventura gli sputano, sono da' Ferratini rinvolti que' raviuoli in un vaso pieno di pania e di nuovo rimessi in gola a coloro, i quali biasciando e appiastricciando la lingua e '1 palato insieme, non li potendo sputare, lunga pezza a inghiottirli penano. E con questi dimoltissimi altri tormenti danno loro, i quali se io te li volessi contare, non potrei mai. Dimodoché per queste cose hai potuto comprendere di quanta importanza sia l'avermi in venerazione, e quinci veduto il giovamento che io dissi averli recato la mia venuta, la quale più a te che ad altro è apparsa, acciocché tu, che più anni continovi non m'onorasti, al tutto non ti dimenticassi di Ferragosto. E avvegnaché a te tocchi di breve a ragionare colla tua Crusca, in vece di dirle novelle, una cotal visione i' vo' che le narri, acciocché non si cessi di farmi onore; e così a tutte le tue domande, quantunque confusamente, mi pare aver soddisfatto. Udite queste cose da lui, tremando tutto per la paura di que' ravioli bollienti e di quelle malissime staffilate, incominciai a dire: O giustissimo e sapientissimo Ferragosto, alla cui solennità celebrare, dopo tante perturbazioni di malattie, le Fate mi han riserbato, grazie immortali ti rendo del singolarissimo beneficio: e sta' pur sicuro che io colla mia Crusca ti mostrerò coll'onorarti sovente, quanto gratissimo mi sia stato. Egli allora, veduto un non so chi (che a me sembrava il Gallina), baciatomi in fronte amichevolmente, mi disse, non potersi meco più dimorare; e partitosi, verso colui andandone, per contentissimo mi lasciò. Rimaso io così solo, e pieno di lieto stupore, perciocché era molto tardi, a casa mi ritornai: e prima messo bocca a un fiasco, ed un buon sorso di vino tiratone giù, con quel lattovaro me n'andai a letto. Ora tutte queste cose a voi, Accademici, ho narrate per la commissione di Ferragosto, la qual commissione che io in altri discorsi non sia entrato (come intendeste che io far dovea) è stata cagione. Nò prima che ora l'ho raccontate, conciossiaché il preparamento che io sapeva voi per quest'anno di Ferragosto aver di già messo in ordine, dilazione mi concedesse. Onoriamolo adunque sempre, perciocché avete veduto che dal farlo o no, molto di male e di bene ne puote nascere e resultare; e se a mio senno faceste, niun mese trapasserebbe, in cui la solennità del giocondissimo Ferragosto non fosse orrevolissimamente rinnovatala da voi. "
Sopra il Ferragosto
Michelangelo Buonarroti - Il Giovane
Buon Ferragosto!