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mercoledì 31 gennaio 2024

La Merla con i suoi Merlotti

In questo 31 gennaio, l'ultimo dei Tre Giorni della Merla, Giovanni Agnelli ci espone due varianti della leggenda che, attraverso la sua voce, vi ho proposto ieri, la prima, in cui la Merla si fa metafora dell'inverno che muore, è riportata nel 1886 da un cronista sul n. 25 dell'Osservatore Cattolico:    

Il cronista dell' Osservatore cattolico  reca la seguente versione: - «Una merla co' suoi merlotti erasi in un inverno, per difendersi dal rigore della stagione appiattata sotto una cappa da cammino, in una casa da contadini. Avendo creduto per poca bonaccia di gennajo finito il freddo, merla e merlotti abbandonarono là cappa ospitale, e usciti fuori, volando e spaziando per l'aere , gridavano in vecchio dialetto:

Boffa, gennè
che i me merli i ' ho già levè;

Soffia, gennajo
che i miei merli li ho allevati.

al che gennaio, indispettito, irrigidì di nuovo e più di prima: merla e merlotti perirono, e gennaio da quel tempo soffiò negli ultimi giorni più crudo».

E la seconda da un cronista del Secolo sul finire di gennaio del 1887:

Ingenuo più di tutti è il cronista del Secolo il quale, a proposito sempre della povera merla precipitata sulle ceneri per la gola del camino, dice che, di candida che era, diventò di un bel nero lucente, e neri furono i figli che ebbe di poi; neri dopo un po' di tempo tutti i merli di questo mondo.

Merula Vulgaris Ray - Storia naturale degli uccelli che nidificano in Lombardia - ad illustrazione della raccolta ornitologica dei fratelli Ercole ed Ernesto Turati - Eugenio Betton - Oscar Dressler illustratore - 1865

Merula Vulgaris Ray - Storia naturale degli uccelli che nidificano in Lombardia - ad illustrazione della raccolta ornitologica dei fratelli Ercole ed Ernesto Turati
1865
Eugenio Betton
Oscar Dressler illustratore

Per gli appassionati dei volatili lascio la descrizione del Merlo fatta da Eugenio Betton: 

Merula Vulgaris ray.
(Nido Concavo (Tav. 14) (Uova Ovate)
Turdus Merula Linné
Italiano: Merlo. - Merlo nero.
Lombardo: Mèrlo. - Merael. - Merlott. - Merla.

Il Merlo è sparso in tutta la Lombardia, estendesi però in tiitt’ Italia, in tutto il Nord europeo, Svizzera, Vosgi, ilte Alpi, Auvergne, Pirenei, Savoja, Grecia.
Alcuni individui hanno abitudine di rimanere fra noi per tutto l’anno, e molti eziandio immigrano verso di noi alla primavera provenendo da climi più caldi per cercarvi estate più mite, altri ci arrivano dalle montagne sul far dell’autunno scacciati dalla mancanza di cibo. Questi ultimi non si fermano tutti a svernare ma molti di essi raggiungono luoghi più miti per clima. Gli individui stazionarii d’inverno si recano di preferenza lungo le praterie di marcita o nei giardini ove trovano a cibarsi anche di semi di conifere.
Vive ordinariamente nei boschi o nei macchioni vicini a prati od a campi. Savi lo dichiara il primo ornamento dei boschi italiani e ciò per la sua voce che modulasi ad un canto forte, armonioso e variato.
Allevato per il canto, se vien preso giovane, impara quelle armonie che gli si vogliono apprendere, fatto prigioniero un po’ adulto può modificare e variare le strofe apprese e talora riesce ad ingentilirle. Gli uccellatori scelgono ordinariamente un Merlo che sia buon cantore e lo uniscono agli altri prigionieri, i quali apprendono da lui a cantare assomigliandolo nelle note. Libero canta al mattino ed alla sera, di raro fra la giornata. Quando disponsi a volare o teme pigola con un pigolio caratteristico che lo fa riconoscere.
Il Merlo è di carattere diffidente quantunque spesso nidifichi vicino all’abitato Nei luoghi però ove stette lungamente senza correre il menomo pericolo perde un poco la sua diffidenza pronto a riprenderla per un nonnulla che lo apprensioni. Come è di tutti gli animali timorosi, gode anche il Merlo di vista e di udito acutissimi che «li fanno più facile o la fuga od il ricorrere al nascondiglio. Vive volentieri coi Tordi (T. viscivorus, T. mimcus). Nelle ore calde si riposa silenzioso nel folto dei cespugli fra le frondi degli alberi, o infra le siepi: dall’alba fino al meriggio e verso la sera esce a far incetta di cibo o a inseguir la compagna.
Veleggia con volo poco rapido, non continuo, non alto. Piuttostochè far lunghe traversate preferisce volare da cespuglio in cespuglio, da macchione in macchione, dai quali passa alle terre basse e umide ove pedestremente cerca il nutrimento.
Questo consiste in insetti, poche lumache, c per ghiotto boccone vi si uniscono frutti e specialmente uva, per il che il Merlo è giustamente reputato dannoso alle vendemmie. In autunno si prendono i Merli in quantità nei paretai specialmente in pianura. È specie soggetta all’albinismo.
Nido. - Il Merlo è una specie che trova più numerosi i luoghi adatti a raccogliere il suo nido. Noi infatti possiamo trovare i suoi nidi a varie altezze sugli alberi sempre appoggiati ad un sol ramo, oppure alle radici, o fra le siepi o semplicemente per terra in adatte cavità, nonché sulle cataste secche non mosse da tempo. In onta alla sua diffidenza nidifica nei giardini di città. Però si disgusta con gran facilità se si accorge che il suo nido venne tocco o se venne sorpreso a costruirlo od a covare e quindi fugato.
Ai primi di marzo si trovano i primi nidi costrutti dai Merli svernanti fra noi; il numero maggiore di nidi si rinviene in maggio. Sono nidi di forma concava, costrutti con grande solidità e molta ampiezza Sono divisibili nettamente in due strati di cui l’esterno intessuto di radici vegetabili, fustelli e verso la base di foglie, per lo più, di quercia e di felce aquilina (Pteris aquilina).
L’intreccio è regolare e verso l’interno questi materiali sono impastati e tenuti in sesto con fango. Il secondo strato è una diretta continuazione dell’orlo del nido e risulta da un affastellamento di paglie, fili, che mano mano si approssima alla cavita si fa più accuratamente e con materiali più fini.
Il nido appoggia al sostegno con l’intermediario d’un grosso strato di fango entro cui si modella la base del nido e s’innesta il sostegno. La cavità è aperta, di rado perfettamente circolare, più spesso volgente all’elittica. Le frondi spesso proteggono il nido con benefica ombra e talora lo celano completamente allo sguardo.
Il diametro dell’imboccatura varia dagli 8 cent, ai 10 nei nidi circolari; in quelli a cavità quasi ovale un diametro è di 1 centim. minore dell’altro. Lo spessore delle pareti varia nei varii punti, in pochi è identico in tutto il contorno, in media 4 centimetri alla base. La profondità del cavo dai 4 ai 5,50 centimetri.
Uova - Le prime covate si trovano ai primi di aprile e se ne trovano perfino agli ultimi di luglio, e constano di 3 a 6 uova varianti molto nella grandezza e colore da nido a nido, mentre quelle di uno stesso nido affettano una quasi identità. Sono di forma ovata. Il colore del fondo varia dal verde-azzurrognolo, all’olivigno chiaro ed al rubiginoso con macchie o fine punteggiature o l'una e l'altre riunite, talvolta maggiormente sparse sul polo ottuso di colore rubiginoso volgente al caffè o al cretoso. Nel maggior numero l’asse maggiore è di mill. 30 per 22 di asse minore.
Pulcini - Nascono da queste dei pulcini nudi che si vestono poi di penne fulve con goccie mediane allungate, brune sul collo, petto e spalle. Ali nerastre, coda cinerina che grado grado volge al nerastro. Margini buccali giallastri o bianco giallastri. In alcuni si può già capire dal minor coloramento il sesso femminile. Vengono nutriti dai genitori con larve di insetti e insetti a cui si mischiano dei sassolini.
È facilissimo allevarli, con uva o bacche diverse e dopo pochi giorni si abituano a mangiare farina di crisalidi e ponno vivere a lungo. Divengono molto intelligenti e domestici, e talora ponno apprendere a imitare la voce umana.

Storia naturale degli uccelli che nidificano in Lombardia - ad illustrazione della raccolta ornitologica dei fratelli Ercole ed Ernesto Turati
1865 
Eugenio Betton
Oscar Dressler illustratore

 Per ulteriori informazioni:


P.S. - P.C. Ok.

martedì 30 gennaio 2024

La Merla uscì nera

Il 30 gennaio è il secondo di quei Tre Giorni della Merla intorno ai quali si sono sviluppate tante leggende e a tal proposito Giovanni Agnelli nel 1894 ci dice che:
 
La Merla uscì nera

La favola della merla non sarebbe però, come vorrebbe lo Scartazzini, di dubbia esistenza, od una mera presunzione, essendo comunissima nella Lombardia. Nel milanese e nei territori finitimi il racconto della favola varia alquanto nella forma, nella sostanza però viene più o meno collimandosi trattasi di un atto di folle ed empia superbia. Al tempo in cui parlavano e bestie e piante e mesi, la merla, vedendo allungarsi i giorni e diminuire alquanto l'intensità del freddo, contenta di vedere fuori di pericolo i suoi merlotti, uscì cantando dal suo nascondiglio, e disse al mese di gennajo, il più rigido dell'anno: Adesso non ho più paura di te. Ma gennajo, adirato contro l'insolente, decise di farla pentire della sciocca proposizione, e quasi che non bastassero i due giorni che ancora gli rimanevano giacché si era ai 28 del mese, se ne fece imprestare uno da febbrajo, che rimase con 28 giorni, e così in questi tre giorni fece un freddo tanto crudo che la merla, per salvarsi, dovette rifugiarsi nei fumaiuoli, dai quali uscì nera. A proposito di questo imprestito fatto da febbrajo, che non ebbe mai più la relativa restituzione, si conserva ancora un dialoghetto vernacolo che in certi luoghi fa parte della Canzone della merla, di cui terrò parola in seguito esso si rammenta ogni anno dai crocchi, nelle sale, ai focolari, e nelle stalle; suona come segue:

Merla: Più non te temi , giannè
adess che i me merli i' ho levè.

Gennajo: Ah si ? Du gh'i' ho
vun l'imprestarò
bianca te se'
negra te farò.

Merla: Più non ti temo, o gennajo
ora che i miei merli li ho allevati.

Gennajo: Ah si? Due li ho
uno me lo farò imprestare,
bianca sei,
nera ti farò.

Per ulteriori informazioni:

lunedì 29 gennaio 2024

Della Merla

Il 29, 30, e 31 gennaio sono ritenuti dalla tradizione " I Tre Giorni della Merla",  i più freddi di tutto l'inverno, e anche se le statistiche effettuate nel corso del tempo non sostengano a pieno questa credenza popolare, la saggezza contadina si spinge oltre per abbracciarne l'aspetto simbolico attraverso numerose leggende. Ma oggi, attraverso le parole di Giovanni Pietro Olina, impariamo qualcosa di più sulla merla:

Merla - Incisione in rame - 1622 - Antonio Tempesta Firenze 1555-1630 e Francesco Villamena Assisi 1566, Roma 1625

Merla - Incisione in rame - 1622 
Antonio Tempesta Firenze 1555-1630 
Francesco Villamena Assisi 1566, Roma 1625

La Merla che latinamente dicesi Merula, è Uccello che ha grandissima convenienza col Tordo, essendo dell’istesso garbo di vita, diverso però nei colore, stanzando negli stessi luoghi, che il suddetto.
Di queste il maschio e tutto negro, morato, col becco giallo tendente al Rossiccio, le zampe l’ha parimente gialle, ma non così accesamente. 
La femmina è di color di fuliggine, e ha la gola, e ’l petto pinticchiato di bianco sudicio, e ’l becco non l'ha così giallo, essendolo in quel poco, che è, più nella parte di sotto, che di sopra, tuttavia Oltr’a detti colori, trovasene di variate da sopraddetti, ò sia per scherzo della natura, come il vedersene qualche volta delle macchiate di biancho, e parte bianche, e parte nere, (che spesso succede,) ò per qualità del Paese dove nasce, come quelle che fanno in Norvegia, che son del tutto bianche, credesi per la vista che loro si rappresenta delle continue nevi, ò pure per natura stessa dell'animale; avenga che gl'Uccelli molti ye ne sijno, che cambijno di colore, secondo la diversità de tempi, trovandovene, massime l'Autunno, di quelle, che tendon in colore, dal giallo al baio, ò sia di castagne, e in quel tempo lasciano il cantare. Sta  come già s'è detto ne gl'istessi luoghi, ch’il Tordo per le macchie, e Albereti, di Cipressi, Ginepri, e simili, godendo l’Estate della frescura de Monti, e altri luoghi, e l’Inverno della Maremma, stando anco nell’istesso tempo ne boschétti de Giardini, e dell’habitato. Cova due volte l'anno, la prima nel finir dell'lnverno, dalla qual poche volte esce a bene, la seconda d’Estate, che gli riesce felicemente: Fa dalle tre alle cinqu’huuoua le quali son tutte macchiate di spruzzature di colori tra verde, e ruggine, suol far il nido nelle fratte, ò in qualch’Arboscello ben folto, formandolo di terra, pelo, e fila d’herba secca, con un ripieno di materia più morbida, Canta al pari del Tordo, e impara agevolmente, insegnandoglisi col fischio diverse canzoni, il suonar della Tromba, e del Tamburo, e simili: v'è anco chi l’avezza à qualche parola: Vive in Campagna di Coccole diverse, e di qualche frutto, com’anco di Bachi, e Cavallette. Voledosene valere per canto, devonsi haver di nido, dandogli per suo mangiare Cuore, Carne, Pan bagnato, e frutti. Pigliansi come già s’è detto del Tordo, Dicesi che gl'acini di melo granato l'amazzin. Nell’uccelliere piccole non se ne deve tener, perseguitando, e dando noia à gl’altri Uccelli. Vive da sei in ott’anni.
Nella figura qui d’incontro dall’intagliator s’è tenuta minor del vero.

Uccelliera, overo, Discorso della natura, e proprietà di diversi uccelli - Della Merla - 1622
Giovanni Pietro Olina


sabato 27 gennaio 2024

Abbiamo lasciato il campo cantando

Esther Hillesum detta Etty nasce un giovedì del 15 gennaio 1914 a Middelburg in Olanda, la sua famiglia è formata dal padre Levie detto Louis, nato ad Amsterdam nel 1880, professore di lingue classiche; dalla madre Rebecca Bernstein detta Riva nata a Potcheb in Russia che nel 1881, per sfuggire a un pogrom, travestita da soldato, arriva ad Amsterdam l'8 febbraio del 1907; dal fratello Jacob detto Jaap, nato a Hilversum il 27 gennaio 1916, medico dell''ospedale israelitico di Amsterdam, e dall'altro fratello Michael detto Mischa, nato a Winschoten il 22 settembre 1920, pianista di grande talento.
Nel 1926 Etty si iscrive al liceo classico di Deventer e nel 1937 alla facoltà di legge di Amsterdam dove alloggia in via Gabriël Metsu 6, nella casa di Hendrik Wegerif detto Han con cui instaura una relazione sentimentale nonostante i 21anni di differenza. Nel 1939 si laurea e si iscrive alla facoltà di lingue slave, ma a causa della guerra deve interrompere il suo percorso di studio.
Il 3 febbraio 1941 Bernard Meylink, studente che vive nella casa di Han, gli presenta Julius Spier psicologo e psicoterapeuta, allievo di Carl Gustav Jung, a cui si deve l'invenzione della psicochirologia che studia il carattere e la personalità delle persone attraverso l'analisi delle mani. Etty diventa inizialmente una paziente di Spier e l'otto marzo del 1941 su suo suggerimento inizia a scrivere un diario, Etty in seguito diviene segretaria dello psicologo e infine l'allieva, l'attrazione tra i due è reciproca nonostante lui abbia il doppio della sua età e nonostante entrambi siano impegnati in una relazione.
Nel 1942 tra maggio e giugno in Olanda vengono emanate le leggi di Norimberga che vietano agli ebrei l'uso dei telefoni, dei trasporti pubblici e la possibilità di contrarre matrimonio con chi ebreo non è.
Il 1 luglio 1942 il campo di Westerbork, creato nel 1939 dal governo olandese con la comunità ebraica per accogliere gli apolidi e i rifugiati ebrei, sotto il comando delle SS., diviene Campo di transito di pubblica sicurezza, dove si selezionano i prigionieri ebrei da mandare ad Auschwitz.
Il 16 luglio, grazie al fratello Jaap e a un membro del Consiglio Ebraico di Amsterdam, Etty viene assunta nel campo di Westerbork come dattilografa nella sezione assistenza alle partenze, ciò le concede una certa libertà che le permette di essere ricoverata presso l'ospedale israelitico a causa di un calcolo biliare, di passare del tempo ad Amsterdam con Julius Spier che muore il 15 settembre 1942 a causa di un tumore al polmone e di partecipare al suo funerale.
Nel giugno 1943 i genitori di Etty e il fratello Mischa vengono internati a Westerbork e il 5 giugno, dopo aver lasciato a Maria Tuinzing gli 11 quaderni del suo diario per consegnarli allo scrittore Klaas Smelik che si sarebbe impegnato a farli pubblicare a fine guerra se lei non fosse sopravvissuta, a Westerbork vi ritorna spontaneamente anche Etty che per seguire il suo destino rifiuta il sostegno degli amici che vogliono nasconderla.
Dal luglio 1943 nessuno può più uscire dal campo di Westerbork e nell'autunno dello stesso anno due lettere di Etty vengono portate fuori clandestinamente e sono pubblicate ad Amsterdam, la prima è datata dicembre 1942 e la seconda 24 agosto 1943.
Il 7 settembre 1943 la famiglia Hillesum, tranne Jaap, sale su un treno diretto ad Auschwitz, Etty riesce a gettare una cartolina dal convoglio che viene ritrovata da dei contadini lungo la linea ferroviaria, la spediscono all'amica a cui è indirizzata e su vi sono scritte le sue ultime parole: « Abbiamo lasciato il campo cantando ».
Tre giorni dopo Levie e Riva muoiono gasati appena arrivati ad Auschwitz, Etty muore il 30 novembre 1943 e suo fratello Mischa il 31 marzo 1944. Jaap deportato a Bergen Belsen nel febbraio 1944, muore il 27 gennaio 1945, dopo la liberazione dell'Armata Russa, sul treno che lo sta portando in salvo.

Etty Hillesum - 1939

Etty Hillesum - 1939

Gli undici quaderni del diario di Etty vengono pubblicati solo nel 1981 dall'editore Gaarlandt ed ecco cosa scrive Etty il 3 luglio del 1942 nel nono e decimo quaderno:

Quaderno 9

3 luglio 1942, venerdì sera, le otto e mezzo. Sono sempre seduta alla medesima scrivania, ma a questo punto dovrei tirare una riga e proseguire su un tono diverso. Dobbiamo trovare posto per una nuova certezza: vogliono la nostra fine e il nostro annientamento, non possiamo più farci nessuna illusione al riguardo, dobbiamo accettare la realtà per continuare a vivere. Oggi, per la prima volta, sono stata presa da un gran scoraggiamento, mi toccherà fare i conti anche con questo, d'ora in poi. E se dobbiamo andare all'inferno, che sia con la maggior grazia possibile! Però, non avevo mai voluto parlarne in modo così esplicito: perché questo stato d'animo, proprio ora? Perché ho una vescica al piede a forza di camminare per la città così calda - perché tanti hanno i piedi distrutti da quando gli è stato proibito di prendere il tram? Per il pallido visetto di Renate che deve andare a scuola a piedi con le sue gambette corte, un'ora all'andata e un'ora al ritorno, nel caldo? Perché Liesl fa la coda e non riesce, ugualmente, a procurarsi le verdure? Per tante e tante ragioni, piccole in sé, ma tutte parti della gran campagna che è in atto per sterminarci. E tutto il resto appare semplicemente grottesco e inconcepibile, per ora - ad esempio il fatto che S. non possa più visitare questa casa, col suo pianoforte e coi suoi libri; o che io non possa più andare a casa di Tide, ecc.
Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall'altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia. La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio - così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov'essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all'ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica. Non è anche questa un'azione per i posteri? L'amico ebreo di Bernard mi aveva fatto chiedere dopo le ultime ordinanze: se non trovavo ancora che dovessero essere ammazzati tutti e preferibilmente tagliati a pezzetti, uno per uno.


Quaderno 10

3 luglio 1942. È vero, ci portiamo dentro proprio tutto, Dio e il cielo e l'inferno e la terra e la vita e la morte e i secoli, tanti secoli. Uno scenario, una rappresentazione mutevole delle circostanze esteriori. Ma abbiamo tutto in noi stessi e queste circostanze non possono essere mai così determinanti, perché
esisteranno sempre delle circostanze - buone e cattive - che dovranno essere accettate, il che non impedisce poi che uno si dedichi a migliorare quelle cattive. Però si deve sapere per quali motivi si lotta, e si deve cominciare da noi stessi, ogni giorno da capo. Una volta mi sentivo in dovere di concepire molti pensieri geniali al giorno, ora mi sento non di rado come una terra incolta su cui non cresce assolutamente niente, ma su cui si stende un cielo alto e tranquillo. Meglio così: in questo momento non mi fiderei di troppi pensieri brillanti, a volte preferisco lasciar riposare la testa, e attendere. Tante cose sono successe dentro di me, in questi ultimi giorni: ora, finalmente, qualcosa s'è cristallizzato. Ho guardato in faccia la nostra misera fine, che è già cominciata nei piccoli fatti quotidiani; e la coscienza di questa possibilità fa ormai parte del mio modo di sentire la vita, senza fiaccarlo. Non sono amareggiata o in rivolta, non sono neppure più scoraggiata o tanto meno rassegnata. Continuo indisturbata a crescere, di giorno in giorno, pur avendo quella possibilità dinanzi agli occhi. Non giocherò più con le parole che creano soltanto malintesi - per esempio: ho chiuso i conti con la vita, non può più succedermi niente, non si tratta di me e della mia distruzione ma del fatto che si distrugga. Così dico qualche volta agli altri, ma non ha molto senso, né riesco a spiegarmi - né importa, del resto. Con « aver chiuso i conti con la vita » voglio dire che la possibilità della morte si è perfettamente integrata nella mia vita; questa è come resa più ampia da quella, dall'affrontare ed accettare la fine come parte di sé. E dunque non si tratta, per così dire, di offrire un pezzetto di vita alla morte perché si teme e si rifiuta quest'ultima, la vita che ci rimarrebbe allora sarebbe ridotta a un ben misero frammento. Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest'ultima. È la prima volta che ho da confrontarmi con la morte. Non ho mai saputo bene come comportarmi con lei, sono vergine nei suoi confronti. Non ho mai visto una persona morta. Che strano: in questo mondo disseminato di milioni di cadaveri io, a ventotto anni, non ne ho ancora visto uno. Qualche volta mi sono chiesta quale fosse il mio atteggiamento nei confronti della morte; in realtà, non me ne sono mai preoccupata per me stessa, non era ancora il momento. E ora la morte è qui, in tutta la sua grandezza - e già è come una vecchia conoscenza che fa parte della vita e che si deve accettare. È tutto cosi semplice. Non c'è bisogno di fare profonde considerazioni. D'un tratto la morte - grande, semplice, e naturale - è entrata quasi tacitamente a far parte della mia vita. E adesso io so che appartiene alla vita.
Ecco, ora posso dormire in pace. Sono le dieci di sera. Oggi non ho combinato molto, ma avevo da fare i conti con i miei piedi pieni di vesciche, dopo quei lunghi giri per la città tanto calda, e con altre piccole miserie simili: ogni cosa doveva essere sofferta e accettata. A un certo punto mi ha preso un
gran scoraggiamento e insicurezza, e sono passata un momento da lui. Aveva mal di testa ed era preoccupato, in genere tutto funziona alla perfezione in quel corpo robusto. Sono stata un momento fra le sue braccia ed era così dolce e caro, quasi malinconico. Credo che per noi incominci una fase nuova, ancora più seria, intensa, e concentrata sulle cose essenziali. Ogni giorno ci si libera di qualche piccolezza. « Il nostro annientamento è vicino, non possiamo più illuderci ». Domani notte dormirò nel letto di Dicky,* S. dormirà al piano di sotto e alla mattina verrà su a svegliarmi. Tutto questo è ancora
possibile. E sapremo ben trovare il modo di aiutarci reciprocamente, nei tempi difficili che verranno.
Un po' più tardi. E se anche non avessi avuto niente da questa giornata - neppure, da ultimo, questo positivo e aperto confrontarmi con la morte -, non dovrei dimenticare quel soldato tedesco kasher* che si trovava al chiosco col suo sacco di carote e cavolfiori. Prima, sul tram, le aveva messo in mano un biglietto, e poi c'era stata quella lettera che dovrò ben leggere una volta: gli ricordava tanto la figlia di un rabbino che lui aveva potuto ancora assistere giorno e notte, sul suo letto di morte. E stasera è andato a farle visita. E quando Liesl me l'ha raccontato, ho saputo all'istante che stasera avrei dovuto pregare anche per quel soldato tedesco. Una delle tante uniformi ha ora un volto. Ci saranno ancora
altri volti su cui potremo leggere e capire qualcosa. E questo soldato soffre anche lui. Non ci sono confini tra gli uomini sofferenti, si patisce sempre da una parte e dall'altra e si deve pregare per tutti. Buona notte.
Da ieri, di colpo, ho molti anni di più, so che la mia vita ha un termine. Non sono più scoraggiata, mi sento più forte. Si diventa più forti se si impara a conoscere e ad accettare le proprie forze e le proprie insufficienze. E tutto così semplice e sempre più evidente per me, vorrei vivere abbastanza a lungo
per farlo capire anche agli altri. E ora, per davvero, buona notte.

Dicky* = Dicky de Jonge. Uno degli amici di Etty
kasher* = « Ritualmente puro » (di cibo), ma nell'uso comune, detto di persona, e come si deve », « per bene ».

Diario 1941‐1943
Etty Hillesum
Traduzione Chiara Passanti

mercoledì 17 gennaio 2024

Vita Antonii

Il 17 gennaio 1787 Johann Wolfgang von Goethe si trova a Roma, partecipa alla Festa di Sant'Antonio Abate, osserva con attenzione il rito della benedizione degli animali che a partire dal 1437 si svolge ogni anno nella chiesa di Sant'Antonio Abate all'Esquilino ubicata in via Carlo Alberto vicino alla basilica di Santa Maria Maggiore, e il giorno dopo nel suo diario di viaggio scrive:

" Ieri, festa di sant'Antonio Abate, abbiamo goduto una divertente giornata.
Faceva il più bel tempo del mondo, durante la notte c'era stato il gelo, e il giorno era sereno e tiepido. È facile constatare che tutte le religioni che hanno allargato i limiti del loro culto o della loro meditazione filosofica, hanno finito col rendere in certa misura partecipi dei favori della spiritualità anche gli animali.
Sant'Antonio, abate o vescovo, è il patrono delle creature a quattro zampe, e la sua festa diventa un saturnale delle bestie normalmente addette a portare la soma, nonché dei loro guardiani e conducenti.
Oggi tutti i padroni debbono restarsene a casa, oppure girare a piedi, e non si manca mai di raccontare qualche brutta storia di signori miscredenti che, avendo obbligato in questo giorno i loro cocchieri ad attaccare gli equipaggi, sono stati puniti con gravi sciagure.
La chiesa sorge su una piazza così vasta da sembrare quasi deserta, ma che nella ricorrenza è animatissima; cavalli e muli, con le criniere e le code intrecciate di nastri vistosi e sovente sfarzosi, vengono condotti davanti a una cappelletta alquanto discosta dalla chiesa, dove un prete, con un grande aspersorio in mano e una fila di secchi e tinozze d'acqua benedetta dinanzi a sé, annaffia senza risparmio i vispi animali, a volte raddoppiando maliziosamente d'energia per incitarli.
Cocchieri devoti portano ceri grandi e piccoli, i signori inviano elemosine e doni, affinché per tutto l'anno le preziose e utili bestie siano preservate da ogni guaio.
Asini e bestiame cornuto, oggetto di non minori cure per i proprietari, beneficiano di questa distribuzione di grazie per la parte loro destinata.
Ci concedemmo poi il piacere d'una lunga passeggiata sotto quel cielo così benigno, circondati da oggetti del massimo interesse, cui stavolta dedicammo, però, poca attenzione, indulgendo senza ritegno all'allegria e agli scherzi. "

Viaggio in Italia
Johann Wolfgang von Goethe
Traduzione Emilio Castellani

Benedizione dei cavalli - 1823 - Antoine Jean Baptiste Thomas

Benedizione dei cavalli
1823
Antoine Jean Baptiste Thomas 

Asini, bovi, cavalli utili al lavoro dei campi insieme ad agnelli, pecore, capre, conigli, galline, maiali, mucche, oche, cani e gatti, parati a festa, arrivano dalla campagna circostante, accompagnati dagli allevatori e dai contadini con cui condividono un rapporto simbiotico di sopravvivenza, e tra le carrozze dei nobili brulicano nel piazzale della chiesa in attesa di essere aspersi con l'acqua santa per ben augurare un anno produttivo e sostanzioso in quel passaggio che dalla posa invernale porta al fermento primaverile.
Il 17 gennaio 1702 l'ambasciatore dell'imperatore d'Austria, per evitare la ressa antistante alla chiesa di Sant'Antonio Abate all'Esquilino fa benedire i suoi cavalli in una delle cappelle di Sant’Eligio de’ Ferrari e provoca così una contesa tra le due comunità religiose che auspicano per sé il servizio della benedizione.
La questione si risolve solo nel 1831 con il Cardinale Vicario che attribuisce il rito benedizionale alla chiesa di Sant'Antonio Abate all'Esquilino, pena, la sospensione a divinis, per chi non rispetti l'ufficialità della decisione.
Nel XX secolo per questioni di ordine pubblico e di traffico la tradizione rituale della benedizioni degli animali passa alla chiesa di Sant’Eusebio all'Esquilino tra via Napoleone III e piazza Vittorio.

Sant'Antonio Abate - 1664 - Francisco de Zurbarán

San Antonio Abate
1664
Francisco de Zurbarán

Sant'Antonio, padre del monachesimo e protettore degli animali da fattoria, di quelli domestici, degli allevatori e dei contadini, nasce a Coma, l'odierna Qumans in Egitto, intorno al 251 da madre e padre cristiani, ha una sorella più piccola che affida a una comunità di vergini dopo la morte dei genitori che avviene quando lui ha 18 anni. Dona i loro averi ai poveri e si stabilisce fuori dal villaggio per condurre in solitudine una vita casta, umile, dedicata al lavoro e alla preghiera.
Proviamo a conoscerlo meglio con le parole del suo discepolo e biografo, Atanasio di Alessandria,  che in " Vita Antonii" racconta del diavolo:

"... che odia il bene ed è invidioso, non sopportò di vedere in un giovane tale proposito di vita e incominciò a mettere in opera anche contro di lui i suoi intrighi abituali.
Per prima cosa cercò di distoglierlo dall’ascesi ispirandogli il ricordo delle ricchezze, la sollecitudine per la sorella, l’affetto per i parenti, l’amore per il denaro, il desiderio di gloria, il piacere di un cibo svariato e ogni altro godimento della vita. Infine gli suggeriva il pensiero di come sia aspra la virtù e quali fatiche richieda e gli metteva dinanzi la debolezza del corpo e la lunghezza del tempo.
Insomma risvegliò nella sua mente una grande tempesta di pensieri, perché voleva distoglierlo dalla sua giusta decisione.
Ma come il Nemico si vide debole di fronte al proposito di Antonio e vide che era piuttosto lui a essere vinto dalla fermezza di Antonio, respinto dalla sua grande fede e abbattuto dalle sue continue preghiere, allora confidò in quelle armi che si trovano presso l'ombelico e se ne gloriò - sono queste le prime insidie contro i giovani -. Assale così il giovane turbandolo di notte, molestandolo di giorno al punto che quelli che lo vedevano si accorgevano della lotta che si combatteva tra i due.
L’uno, infatti, suggeriva pensieri impuri, l'altro li scacciava con le preghiere; l'uno lo eccitava, l’altro, come arrossendo di vergogna, dava forza al suo corpo mediante la fede e i digiuni.
Il diavolo, sciagurato, di notte assumeva anche l'aspetto di una donna e ne imitava il comportamento in tutte le maniere, con il solo intento di sedurre Antonio. Ma questi, pensando a Cristo e meditando sulla nobiltà che l’uomo possiede grazie a lui e sulla qualità spirituale dell’anima, spegneva il fuoco della sua seduzione.
Di nuovo il Nemico gli suggeriva la dolcezza del piacere, ma Antonio, come adirato e addolorato, pensava alla minaccia del fuoco e al tormento del verme, opponeva questi pensieri alle tentazioni del Nemico e passava attraverso di esse senza patirne danno.

Il santo per seguire il suo percorso spirituale si allontana dal villaggio:

Dopo aver dato ordine a un suo amico di portargli del pane a lunghi intervalli di tempo, entrò in un sepolcro, chiuse la porta e rimase là dentro, solo. Ma il Nemico, che non sopportava la cosa, perché temeva che in breve tempo il deserto divenisse una città di asceti, una notte entrò nel sepolcro con una moltitudine di demoni e lo percosse a tal punto da lasciarlo steso a terra, incapace di parlare.
Antonio, poi, assicurava che la sofferenza era talmente grande da fargli dire che le percosse inflitte da
uomini non avrebbero mai potuto causare tale tormento.
Per disposizione della divina Provvidenza - il Signore, infatti, non distoglie mai il suo sguardo da quanti
sperano in lui - il giorno seguente giunse quel suo amico a portargli il pane. Come aprì la porta, vide che Antonio giaceva a terra come morto; lo prese, lo trasportò alla casa del Signore, nel villaggio, e lo adagiò a terra.
Molti parenti e la gente del villaggio stavano seduti attorno ad Antonio come presso un morto. Ma verso mezzanotte questi rientrò in se stesso, si svegliò e come vide che tutti dormivano e che solo quel suo amico era sveglio, gli fece cenno di venire accanto a lui e lo pregò di prenderlo di nuovo e di riportarlo ai sepolcri, senza svegliare nessuno.

Sant'Antonio bastonato dai diavoli - 1423 - Stefano di Giovanni di Consolo detto Sassetta - Pinacoteca Nazionale - Siena

Sant'Antonio bastonato dai diavoli
1423
Stefano di Giovanni di Consolo detto Sassetta
Pinacoteca Nazionale - Siena

Nel 285 si sposta sul Pispir nelle vicinanze del Mar Rosso:

Sempre più risoluto nel suo proposito, si diresse verso la montagna. Al di là del fiume trovò un fortino abbandonato, pieno di serpenti perché non era più abitato da tempo; qui si trasferì e stabilì la sua dimora.
I serpenti, come se qualcuno li inseguisse, se ne fuggirono subito. Antonio sbarrò l’ingresso e depositò i pani sufficienti per sei mesi - i tebani hanno questa usanza e spesso i pani si conservano per un anno intero. All'interno aveva l’acqua e rimase là dentro l’eremo solo, come se fosse disceso in un santuario, senza uscire e senza vedere nessuno di quelli che venivano da lui.
Per molto tempo perseverò nella sua ascesi, ricevendo il pane che gli veniva calato dall’alto, dal tetto, solo due volte all’anno.

Qui:

Passò così circa vent’anni, da solo, nella vita ascetica; non usciva e si faceva vedere raramente.
Poi, siccome molti desideravano ardentemente imitare la sua vita di ascesi, e poiché erano venuti altri suoi amici e avevano forzato e abbattuto la porta, Antonio uscì come un iniziato ai misteri da un santuario e come ispirato dal soffio divino. Allora per la prima volta apparve fuori dal fortino a quelli che erano venuti a trovarlo.
Ed essi, quando lo videro, rimasero meravigliati osservando che il suo corpo aveva l'aspetto abituale e non era né ingrassato per mancanza di esercizio fisico, né dimagrito a causa dei digiuni e della lotta contro i demoni. Era tale e quale l'avevano conosciuto prima che si ritirasse in solitudine. E anche il suo spirito era puro; non appariva né triste, né svigorito dal piacere, né dominato dal riso o dall'afflizione.
Non provò turbamento al vedere la folla; non gioiva perché salutato da tanta gente, ma era in perfetto equilibrio, governato dal Verbo, nella sua condizione naturale.
Il Signore, per opera sua, guarì molti dei presenti che pativano nel loro corpo e liberò altri dai demoni.
Il Signore concedeva ad Antonio il dono della parola e così consolava molti che erano afflitti, riconciliava altri che erano in lite e a tutti ripeteva che nulla di quanto è nel mondo deve essere preferito all’amore per Cristo.
Parlando e ricordando i beni futuri e l’amore che ha mostrato per noi uomini il Dio che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, convinse molti ad abbracciare la vita solitaria. E così apparvero dimore di solitari sui monti e il deserto divenne una città di monaci che avevano abbandonato i loro beni e si erano iscritti nella cittadinanza dei cieli.

Visione di Sant'Antonio - Tavoletta toscana del '400 - Pinacoteca Vaticana

Visione di Sant'Antonio
Tavoletta toscana del '400
Pinacoteca Vaticana

I suoi seguaci sono numerosi e nel 305 si accampano ai piedi del monte dove vive e formano il primo nucleo di quello che sarà il monastero Deir Amba Antonius a Fayyum:

Un giorno uscì e tutti i monaci gli vennero incontro e lo pregarono di tenere loro un discorso. Ed egli rivolse loro queste parole in lingua egiziana.
«Le Scritture sono sufficienti alla nostra istruzione, ma è bello esortarci vicendevolmente nella fede e incoraggiarci con le nostre parole. Voi, dunque, come figli, portate al padre quello che sapete e ditemelo; io più anziano di voi, vi affiderò quello che so e che ho imparato dall’esperienza. Per prima cosa sia questo lo sforzo comune a tutti: non cedere all’indolenza dopo che abbiamo iniziato, non scoraggiarci nelle fatiche e non dire: “Da molto tempo pratichiamo l'ascesi”; piuttosto, accresciamo il nostro zelo come se incominciassimo ogni giorno. L'intera vita dell’uomo è brevissima a paragone dei secoli futuri, tutto il nostro tempo è niente di fronte alla vita eterna. Ogni cosa nel mondo viene venduta secondo il suo prezzo e scambiata con altre cose che sono di pari valore, ma la promessa della vita eterna si compra a un bassissimo prezzo. Sta scritto: I giorni della nostra vita sono settanta anni, ottanta se vi sono le forze e la maggior parte è pena e fatica. Quand'anche avessimo perseverato nell'ascesi tutti gli ottanta o i cento anni, non regneremo per cento anni, ma, invece di cento anni, regneremo nei secoli dei secoli e, dopo aver lottato sulla terra, non è sulla terra che otterremo l'eredità, ma riceveremo la promessa nei cieli e, deposto il corpo corruttibile, ne riceveremo uno incorruttibile.

Nel 311 va ad Alessandria per supportare i cristiani:

In seguito la Chiesa subì la persecuzione di Massimino. Quando i santi martiri furono condotti ad Alessandria, Antonio lasciò la sua dimora solitaria e li seguì dicendo: «Andiamo anche noi a combattere, se saremo chiamati, o a contemplare quelli che combattono».
Desiderava ricevere il martirio, non voleva però consegnarsi di sua iniziativa e serviva i confessori condannati nelle miniere e nelle prigioni. Grande era il suo zelo in tribunale nell'incoraggiare quelli che erano chiamati a sostenere la lotta, nell'assisterli quando rendevano testimonianza e nell’accompagnarli fino alla morte.
Il giudice, allora, vedendo il coraggio di Antonio e dei suoi compagni e il loro zelo in quest’opera, proibì ai monaci di mostrarsi in tribunale e di abitare in città.
Quel giorno a tutti gli altri sembrò opportuno nascondersi, Antonio invece se ne preoccupò così poco che lavò la sua tunica e l'indomani se ne stette bene in vista in un luogo elevato di fronte al tribunale e si fece vedere apertamente dal prefetto.
Tutti ne furono stupiti; il prefetto, passando di là dopo l’udienza, lo notava, ma Antonio stava là senza paura, mostrando quale sia lo zelo di noi cristiani.
Pregava di poter subire anche lui il martirio, come ho già detto, e sembrava rattristarsi di non avere potuto testimoniare la propria fede; ma il Signore lo custodiva per il bene nostro e degli altri, perché divenisse maestro di molti nella vita ascetica che aveva appreso dalle Scritture.
Tanti, anche solo al vedere il suo modo di vivere, si sforzavano di imitarne la condotta. Com’era sua abitudine, dunque, si metteva nuovamente al servizio dei confessori e, come se fosse incatenato con loro, affrontava ogni fatica per servirli.

E poi nel 312:

Quando cessò la persecuzione e il beato vescovo Pietro subì il martirio, Antonio partì e si ritirò di nuovo nella sua dimora solitaria; stava là e viveva ogni giorno il martirio della coscienza e combatteva le battaglie della fede. Praticava una grande ascesi con più forte vigore; digiunava continuamente, portava una veste con il pelo di capra all’interno e la pelle all'esterno, e ne fece uso fino alla morte. Non si lavava né il corpo né i piedi con l’acqua, l’immergeva nell’acqua solo se vi era necessità.
Nessuno lo vide mai nudo, se non dopo la morte, quando fu sepolto.

si stabilisce sul Monte Interiore:

Antonio, come se fosse ispirato da Dio, amò quel luogo. Era il posto indicatogli da chi gli aveva parlato sulla riva del fiume.
2. All’inizio ricevette dei pani dai suoi compagni di viaggio e restò solo sul monte; nessun'altro stava con lui. Ormai considerava quel posto come casa sua.
3. I saraceni stessi, vedendo lo zelo di Antonio, passavano di proposito per quella via ed erano contenti di potergli portare dei pani;
4. dalle palme ricava un povero e frugale sostentamento. Poi, quando i fratelli vennero a conoscenza del luogo, come figli che si ricordano del padre, provvidero a mandargli dei viveri;
5. ma Antonio, vedendo che alcuni dovevano affrontare fatiche e disagi per procurargli il pane, volle risparmiare anche questa fatica ai monaci. Rifletté e chiese ad alcuni di quelli che venivano a trovarlo di portargli una zappa, una scure e un po' di frumento.
6. Quando gli portarono queste cose, esplorò i dintorni della montagna e, trovato un piccolo campo adatto alla coltivazione, cominciò a lavorarlo e, dato che il fiume gli forniva acqua in abbondanza per irrigarlo, cominciò a seminare. Così fece ogni anno e in questo modo si procurò il pane, ben contento di non infastidire nessuno e di non essere di peso agli altri in nulla.
7. In seguito, vedendo che altri ancora venivano da lui, si mise a coltivare anche alcun ortaggi perché chi veniva a trovarlo ricevesse qualche conforto dopo la fatica di quel difficile cammino.
8. All’inizio le bestie del deserto, che veniva per l’acqua, danneggiavano spesso le sue sementi e le sue colture, 
9. ma Antonio prese dolcemente una di queste bestie e a tutte disse: «Perché mi fate del male mentre io non ve ne faccio? Andatevene e nel nome del Signore non avvicinatevi mai più a questo posto ». E da quel momento, come spaventate dal suo ordine, non si avvicinarono più.

Nel 355 un anno prima della morte:

Una volta gli ariani, mentendo, dissero che Antonio aveva le loro stesse idee, ma egli si indignò e si stupì quando venne a saperlo.
Poi, su richiesta dei vescovi e di tutti i fratelli, scese dal monte; venne ad Alessandria e condannò pubblicamente gli ariani dicendo che la loro eresia era l'ultima e precedeva la venuta dell’Anticristo.
Insegnava al popolo che il Figlio di Dio non è una creatura e che non è stato creato dal nulla, ma che è il Verbo eterno e Sapienza della sostanza del Padre. « Perciò è un’empietà dire: “Vi fu un tempo in cui non esisteva” perché il Verbo è sempre esistito insieme al Padre. Non abbiate dunque nessun rapporto con gli empi ariani. Non vi è infatti comunione tra la luce e le tenebre. Voi che custodite la vera fede siete cristiani, quanti invece affermano: “Il Figlio che viene dal Padre, il Verbo di Dio, è una creatura”, non differiscono in nulla dai pagani che adorano la creatura al posto del Dio che l'ha creata. Credete che tutta la creazione si indigna contro di loro perché annoverano tra le creature il Creatore e Signore di tutto, nel quale tutte le cose sono state fatte».

Nello stesso anno:

La fama di Antonio giunse fino agli imperatori. Non appena Costantino Augusto e i suoi figli, gli Augusti Costanzo e Costante, ebbero notizie dei prodigi compiuti da Antonio, gli scrivevano come a un padre e lo pregavano di rispondere.
Ma Antonio non tenne in gran conto le loro lettere, né provò piacere al riceverle; rimase tale e quale prima che le scrivessero.
Quando gli portavano le lettere, chiamava i monaci e diceva: «Perché vi meravigliate se un imperatore ci scrive? È un uomo! Meravigliatevi piuttosto che Dio abbia scritto la legge per gli uomini e abbia parlato loro per mezzo di suo Figlio».
Non voleva ricevere quelle lettere perché diceva che non sapeva rispondere a lettere di quel genere, ma tutti i monaci lo spingevano a rispondere dicendo che gli imperatori erano cristiani e che non bisognava scandalizzarli con un rifiuto; e allora Antonio permise che gliela leggessero.
E rispose felicitandosi perché adoravano Cristo e offrendo alcuni consigli per la loro salvezza; li esortava a non dare importanza alle cose presenti, ma a ricordare il giudizio futuro e a riconoscere che solo Cristo è il re vero ed eterno.
Li pregava di amare gli uomini e di aver cura della giustizia e dei poveri. Ed essi si rallegravano nel ricevere le sue lettere. Così era amato da tutti e tutti desideravano averlo come padre.

La scelta di sant'Antonio:

I fratelli volevano costringerlo a restare presso di loro perché lì portasse a compimento la sua vita, ma Antonio non accettò per diversi motivi che lasciò capire pur senza dirli, e soprattutto per questo: gli egiziani, quando muore un uomo virtuoso e specialmente quando muoiono i santi martiri, amano dare sepoltura ai loro corpi avvolgendoli in lenzuola di lino e non li nascondono sotto terra, ma li dispongono su dei lettucci e li conservano nelle loro case; credono, in questa maniera, di onorare quelli che sono morti.
Antonio aveva spesso pregato i vescovi di ammonire il popolo circa quest'uso e aveva dissuaso i laici e ammonito le donne dicendo che quest’usanza non era né lecita, né santa.
«Le tombe dei patriarchi e dei profeti, infatti, sono conservate ancora oggi e il corpo del Signore fu deposto in un sepolcro e una pietra, posta all’ingresso, lo nascose fino a che risuscitò il terzo giorno».
Con queste parole dimostrava che quelli che, dopo la morte, non nascondono i corpi dei defunti, anche se fossero santi, trasgrediscono la legge. Che cosa c’è, infatti, di più grande e di più santo del corpo del Signore?
Molti, dopo averlo sentito, decisero di seppellire sotto terra i loro morti e ringraziavano il Signore per aver ricevuto questo sapiente insegnamento.

Sul finire della sua vita:

Antonio, conoscendo tale usanza e temendo che facessero così anche per il suo corpo, salutò i monaci che stavano fuori del monte e si affrettò a partire. Entrò nella parte interna della montagna, là dove abitava di solito, e pochi mesi dopo si ammalò. Chiamò allora i suoi compagni - erano due che abitavano con lui nella parte interna della montagna e che da quindici anni conducevano vita ascetica e lo servivano poiché era molto anziano - e diceva loro:
2. «Io, come sta scritto, me ne vado per la via dei padri. Vedo che il Signore mi chiama. Voi siate
vigilanti, non lasciate che la vostra lunga ascesi si perda, ma preoccupatevi di tener viva la vostra
sollecitudine come se cominciaste soltanto adesso.
3. Conoscete le insidie dei demoni, sapete quanto sono feroci eppure deboli. Non temeteli, dunque, ma respirate sempre Cristo e abbiate fede in lui. Vivete come se doveste morire ogni giorno, vigilate su voi stessi e ricordate le esortazioni che avete udite da me.
4. Non abbiate alcun rapporto con gli scismatici, nessun rapporto con gli eretici ariani: sapete come
anch’io li evitassi a motivo della loro dottrina avversa a Cristo ed eretica.
5. Cercate piuttosto, anche voi, di unirvi innanzitutto al Signore e poi ai santi perché, dopo la vostra morte, vi accolgano nelle dimore eterne come amici e familiari. A questo pensate e riflettete. 
6. E se mi volete bene e vi ricordate di me come di un padre, non permettete che il mio corpo sia portato in Egitto per metterlo in qualche casa. È per questo motivo che sono rientrato sulla montagna e sono venuto qui. 
7. Sapete anche come cercavo sempre di convincere quelli che così facevano e come li ammonivo a desistere da quest'uso. Seppellite voi il mio corpo, nascondetelo sotto terra e osservate quello che vi ho detto, cosicché nessuno, tranne voi soli, conosca il luogo dove è deposto.
8. Nel giorno della risurrezione dai morti io lo riceverò incorrotto dal Salvatore. Dividevi le mie vesti. Al vescovo Atanasio date una delle mie vesti di pecora e il mantello su cui mi stendevo; me l’aveva dato nuovo e io l'ho consumato;
9. al vescovo Serapione date l’altra pelle di pecora; voi tenete la veste di pelo. E ora, figlioli, addio! Antonio se va e non è più con voi».

Grotta  in cui Sant'Antonio visse il suo eremitaggio - Nei pressi del monastero a lui dedicato - Egitto

Grotta  in cui Sant'Antonio visse il suo eremitaggio
Nei pressi del monastero a lui dedicato - Egitto

17 gennaio 356 nel deserto della tebaide:

Dopo queste parole i fratelli lo abbracciarono. Antonio sollevò i piedi e, come vedesse degli amici venire da lui, pieno di gioia per la loro presenza - giaceva sdraiato con il volto radioso - spirò e fu riunito ai suoi padri.
I fratelli, secondo l’ordine ricevuto, lo avvolsero in un lenzuolo e lo seppellirono nascondendo il suo corpo sotto terra. Nessuno fino a oggi sa dove sia nascosto, tranne quei due monaci.
Ciascuno di quelli che hanno ricevuto la pelle di pecora del beato Antonio e il suo mantello consumato custodisce queste vesti come un grande tesoro. Quando le guardano, è come se vedessero Antonio e, quando le indossano, è come se portassero con gioia i suoi ammonimenti.

Morte di Sant'Antonio - Tavoletta toscana del '400 - Pinacoteca Vaticana

Morte di Sant'Antonio
Tavoletta toscana del '400
Pinacoteca Vaticana

Lieta Festa di Sant'Antonio Abate!

P.S. Sabato scorso mi è arrivato il nuovo P.C., ordinato direttamente alla casa madre, dopo averlo montato e dopo aver caricato programmi, articoli, foto ecc. ecc., sullo schermo compare una maschera che mi invita a inserire il cavo di alimentazione, ma il cavo di alimentazione era già inserito, per cui ho dovuto rimpacchettare il tutto e rispedirlo al mittente. A presto.

sabato 6 gennaio 2024

Vertep e Kolyadki

La stagione natalizia 2023, con la legge promulgata il 28 luglio scorso da Volodymyr Zelenskyi per salvaguardare l'identità e la cultura nazionale del suo popolo, ha visto gli ortodossi ucraini rinunciare al calendario giuliano, adottare il gregoriano e unirsi ai cristiani cattolici nella celebrazione della nascita di  Gesù il 25 dicembre, data ricavata dagli studi, effettuati dal teologo Ippolito Romano tra il 203 e il 204  d.C. (Vedi Natale), e dallo storico cronologo Sesto Giulio Africano nel 221 d.C., (Vedi Annuntiatio Beatae Mariae Virginis), basati sul vangelo di Luca e confermati dai Rotoli del Mar Morto.
Oggi insieme vediamo arrivare i Re Magi con i loro doni il cui simbolismo caratterizza il ruolo di Cristo con l'oro, (Vedi Il Re dei re)che, sia esso grezzo o forgiato in altari, candelabri, monete, è attributo dei re, l'incenso peculiare della divinità e la mirra distintivo della morte. 

Epifania 2024 - L'arrivo dei Re Magi

Incenso

Incenso

Carboncino

Diffusore d'incenso

Diffusore d'incenso

Diffusore d'incenso

Diffusore d'incenso

Ma andiamo a scoprire due tradizioni ucraine della stagione natalizia

Il вертеп/Vertep, con il significato, dall'antico slavo, di caverna, grotta, luogo misterioso, segreto o, da vertitysia, con il senso di vorticare in riferimento ai raggi che ruotano intorno alla stella cometa, è una forma di sacra rappresentazione teatrale in cui la cultura dotta si unisce a quella popolare che si tramanda oralmente di generazione in generazione per mettere in scena la Natività con 10 - 40 marionette che, manovrate da un un unico vertepnyk - marionettista, impersonano la Sacra Famiglia, gli angeli, due contadini, l'ebreo, Erode con il suo servo, la morte, i pastori, i pellegrini, il polacco, i Re Magi, Satana, i soldati russi, gli zingari, gli animali, ed elementi contemporanei, come il cosacco zaporoziano ai tempi di Caterina II.
Tutti i protagonisti sono inseriti in una scenografia che riproduce uno stabile in cui al piano inferiore si vede l'esibizione folkloristica, in quella superiore la rivelazione religiosa e in alcune varianti è compreso un ulteriore piano, il più basso, dedicato alla morte.
Il Vertep risale al XVI secolo e nella seconda metà del XVIII raggiunge un notevole picco di popolarità, la sceneggiatura, il carattere dei personaggi e i loro costumi vengono sempre più delineati e arricchiti dagli studenti dell'Accademia Kyivan Mohyla e lo spettacolo itinerante si muove di casa in casa e nei villaggi di Baturyn, Mizhhiria e Sokyryntsi, nel XIX secolo questa manifestazione artistica vede un calo di interesse da parte del pubblico che ritorna nel XX secolo con il vertep zhyvyi - grotta dal vivo che ripropone la tradizione attraverso l'interpretazione di attori in carne e ossa che con il loro dinamismo coinvolgono emotivamente gli spettatori in un connubio di presente e passato che diffonde la cultura ucraina all'Avant-Garde Teatro Ucraino di Toronto, al Teatro Drammatico di Lviv, al Molodyi Teatr di Les Kurbas, al New Generation Theatre di Cleveland. I bambini non sono da meno e recitano i testi del Vertep che possono essere accompagnati da i колядкi/kolyadki - canti natalizi, sulla nascita di Gesù, sulle storie bibliche che lo riguardano e sui santi, diffusi nella Rus' di Kiev mescolanza di principati dell'Europa orientale e settentrionale, eseguiti nel periodo che va dalla festa di San Nicola a quella del battesimo di Gesù, e nati dall'evoluzione dell'uso rituale che se ne faceva per descrivere le credenze sulla creazione, sul mondo e sulla natura.

вертеп - Vertep

вертеп - Vertep

Lieta Epifania e grazie a voi tutti per gli auguri di Natale e di Capodanno!

A breve il reel sull'arrivo dei Re Magi 

P. S. L'Epifania tutte le feste porta via ma la stagione natalizia si conclude la domenica del Battesimo di Cristo e il 2 febbraio con la candelora, come da tradizione, si ripongono gli addobbi.

Per ulteriori informazioni: