Tra il '700' e l'800 in una Roma ammantata dall'atmosfera festosa della settimana carnascialesca, al numero 418 di via del Corso, le donne in maschera si accomodavano su delle sedie di paglia posizionate sullo scalino di Palazzo Ruspoli, qui, intrattenevano delle interessanti conversazioni amorose, non concesse durante il resto dell'anno, con i giovani cavalieri che passeggiavano nelle vicinanze. Se solo avesse avuto il dono della parola, quante cose avrebbe potuto raccontare quello scalino:
Chi desidera scoprire un segreto, sciogliere od annodare un intrigo, domandare una spiegazione, far una dichiarazione, ec, e non trova tempo né luogo nelle condizioni ordinarie della vita, fa i suoi calcoli sul carnevale. La consuetudine, in quella settimana, concede al sesso, cui si unisce quell'ipocrita aggettivo di debole, una libertà ed un'indipendenza assoluta. Le dico io, che a stare a Roma in quei giorni, si vede se è debole. Le donne, le amiche si riuniscono fra loro, e non vogliono né assistenti né sorveglianti. Non parlo dei mariti, nemmeno a nominarli; ma neppure gli amanti. I primi si rassegnano completamente; e ne ho visti buttarsi sul letto nelle ore del corso, e passarle dormendo. Per i secondi è il momento invece di non dormire, e star con tanto d'occhi. Ma non è da scordarsi il poco usato secondo titolo del Barbiere di Siviglia. Le precauzioni più sono giustificate e più sono inutili. Stante il modo col quale sono fatte le mascherate, è quasi impossibile sapere quello che v'accade. Generalmente s'ha l'idea che una donna mettendosi in maschera, non trascuri per questo di aggiustarsi meglio che può. Per non essere conosciuta non occorre avere né la gobba né un piede da mandarino.
Ma a Roma in carnevalo si pensa altrimenti. Una donna si trasforma in un fagotto, in uno scalda-panni, e non deve aver più forma umana quando va (o andava) a sedere durante il corso sullo scalino del palazzo Ruspoli.
Palazzo Ruspoli, già Gaetani
Il quarto libro del nuovo Teatro dei palazzi in prospettiva di Roma moderna
1699
Alessandro Specchi
Questo scalino, ora scomparso, era un marciapiede lungo il Caffè Nuovo, alto circa 70 centimetri dal piano del Corso. Su di esso stava una fila di sedie di paglia, che venivano ad occupare le signore mascherate. La gente che passeggiava davanti allo scalino, si trovava così ad averle ad un'altezza infinitamente comoda, per far conversazione più o meno intima e segreta, secondo le disposizioni delle parti. È chiaro che v'era un solo ostacolo da superare, a chi desiderasse aver un colloquio con una signora invisibile il resto dell'anno; riconoscerla allo scalino. Mi ricordo in questo genere aver eseguito in certa occasione un vero tour de force di diplomazia. Mi trovavo appunto con un gran desiderio di parlare, un po' con comodo con una signora, alla quale non ero presentato. Riuscii ad essere informato che volendo essa il giovedì grasso andare al famoso scalino, cercava un mantello da uomo, tondo, senza maniche come usavano allora; e tanto m'andai ingegnando, che riuscii a farle giungere nelle mani e scegliere il mio, senza che sapesse di chi fosse. Così la difficoltà d'incontrarla cadde da sé. Questo scalino è dunque il terreno neutro sul quale s'incontrano, s'imbrogliano, o s'accomodano i mille interessi della vita amorosa. Ma per terminare 1'esposizione dei suoi statuti, aggiungerò che non sempre è permesso agli amanti godere di questo scalino, come di nessun altro divertimento carnevalesco. Se la diva, o per puerperio, o per incomodo, o per altro motivo di qualsiasi genere, è costretta a star in casa, neppure il suo fedele deve divertirsi. Mentre il chiasso è al culmine da piazza del Popolo a quella di Venezia, gli è permesso andare a spasso a Campo Vaccino, o a San Pietro o a villa Borghese. E la sera in società, se si vien a sapere che X*** il quale ha la dama a letto con un po' di raffreddore, è stato veduto a ora del corso, solo, a cavallo, fuor di porta Angelica, verbigrazia, le donne dicono: - Che caro giovane quel 1'X***, quello davvero è un buon amico! - E se è presente il loro proprio, e che abbia una coscienza un po' meno illibata, riceve a titolo di rappresaglia un'occhiata nella quale sta scritto: Imparate!
Altro degli statuti è poi che in caso di disgrazia di qualunque specie caduta sulla famiglia di lei come del marito, lui deve sacrificar tutto, la vita, se occorresse, per ripararla. Quest'insieme pare ed è certamente strano, ed altrettanto lontano mille miglia dagli usi del mondo presente; ma nessuno potrà, credo io, preferire il modo attuale a quello d'allora. L'amore che cercando soddisfazioni accetta però i sacrifici; che sostiene indicibili dolori per 1'ineffabile felicità d'un minuto, è bello e nobile; ha in sé, sto per dire, qualche cosa di virtuoso, come ogni dolore volontario virilmente portato. L'amore, invece, al quale si vuol tolta ogni spina, che cosa è? Un'ignobile decadenza morale, ed un più ignobile istinto animalesco. La conseguenza estrema e più comoda di quest' istinto è la mantenuta.... Parlar di mantenute fra noi in quel tempo, era parlar dell'assurdo, dell'incredibile. E quei pochi forestieri che capitavano a Roma con simili compagnie, o che si sapevano aspirare a tali negozi con donne di teatro, ci parevano tipi di stupidità, e non si finiva di riderne e di canzonarli. A poter sollevare il velo che cuopriva i misteri dello scalino, se ne sarebber vedute delle belle. Qualche segno esterno ne traspariva in qua e in là. Mi ricordo d'un giovane (fui presente al fatto) che s'era trattenuto durante tutto il tempo del corso con due di questi fagotti; fattosi sera, venne pregato da loro di accompagnarli a casa: e s'avviarono per San Lorenzo. Traversando lo il palazzo Fiano, a metà del cortile, una delle due mascherine cominciò a suonar a doppio sul giovane; e l'accompagnò a pugni e scappellotti fino a piazza di Pietra. Doveva averla fatta grossa costui.
I miei ricordi - 1899
Massimo d'Azeglio
Uno scalino paraninfo, niente, niente male!
RispondiEliminaChe magnifica foto di apertura! E che deliziosi intrighi sullo scalino. E che belle letture ci proponi.
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