Oggi, giorno della Commemorazione dei Defunti, vi porto nella Cocincina Orientale del Vietnam e vi faccio conoscere il Reverendo Padre Guerlach, un missionario che nel 1885 con il suo Giornale di Viaggio ci spiega le pratiche mortuarie dei Ba-Hnars con la Maug kiek - Notte dei morti, la festa del Mute kiek - Entrare tra i morti in cui si costruisce la kon-ngai - statua del defunto lunga più o meno 55 centimetri e ci fa dare un'occhiata anche al Khal que me ba - Invocazione con sacrificio tipica degli Hagu per scongiurare le disgrazie derivanti dall'ira dei morti.
Nella descrizione di Guerlach troviamo anche il pianto rituale e le lamentazioni, il cibo e il banchetto, la danza, l'acqua e il vino, la terra, il fuoco e il fumo, e la zucca.
E non vi venga in mente che tutto ciò sia stato rubato agli antichi egizi, agli antichi greci, agli antichi romani o agli antichi celti... non ce la posso fà'. ;)
Serena Commemorazione dei Defunti
" Per maggiore chiarezza e semplicità, prendiamo un ricco pagano, nel momento in cui rende l'ultimo sospiro.
Seguiremo attenti tutte le operazioni che precedono, accompagnano e seguono le esequie. Termineremo col mute kiek, che mette fine a tutte le osservazioni ...
Entriamo dunque nella casa del morto.
Appena egli ha dato l’ultimo respiro i parenti danno i lamenti e fanno sentire sopra un ritmo smisurato i canti funebri, usati in tale circostanza. Le persone del villaggio e gli amici recansi tosto nella casa mortuaria, per partecipare a quel concerto di gemiti che durerà fin dopo la sepoltura. Per aiutare i piagnoni, coi gong e coi tam-tam suonano un’aria lugubre, in armonia colle parole. Esaminiamo ora da vicino come acconciano il morto. Lavano prima il corpo, poi gli socchiudono la bocca (fra poco ne saprete il perché). Gli passano sotto il mento e gli annodano sul capo un barbazzale, formato con quindici o venti brandelli di tela chiamata brai beutah. Le braccia distese lungo le cosce, sono legate attorno al cadavere, fino alle reni. Le gambe irrigidite, sono strette l’una contro l’altra, tengono i piedi riuniti, legando fortemente i due pollici. Tutte queste fasciature sono composte, come il barbazzale, di molti brandelli del brai beutah. Vestono il cadavere d’un bel languti, d’una piccola veste senza maniche e gli mettono al collo molte fila di perle. In questo frattempo vengono uccisi un bufalo, un maiale, ecc., e si preparano le giarre di vino. Fatte le prime offerte agli spiriti, gli astanti mangiano e bevono a fianco del morto. Ogni membro della famiglia e gli amici prendono un pezzo di carne, ed empiono di vino un tubetto di bambù. Introducono il cibo e versano il vino nella bocca del cadavere dicendo: “ Tu sei morto, io ti do un po’ di cibo e un po’ di vino. Non farci alcun male; sia buono con noi e concedine lunga vita. “
Poi gettano via il tubo, non osando più servirsene. Vicino al morto mettono una piccola tazza di terra, zappe, perle, ecc.; tutti questi oggetti sono poi chiusi col cadavere in una sola e stessa stuoia avvoltolata e legata intorno al corpo. La notte e una parte del giorno seguente sono spese in queste diverse occupazioni. Il dì dopo la morte, verso mezzodì o l’un'ora, si fanno i funerali. Il cadavere, posto sopra una barella, è portato al cimitero, seguito dai parenti che piangono e dai selvaggi che percuotono i gong e i tam - tam. Molte persone accompagnano portando le armi del defunto, e molti altri oggetti che gli saranno offerti e deposti sulla tomba. Il feretro è già stato mandato al cimitero. Chiudono in esso il cadavere colla sua spada e col suo coltello. I pianti continuano mentre si riempie la fossa, e sul sepolcro mettono una piccola marmitta di terra, una piccola tazza, un teulòpe (zucca ) pieno d'acqua, una pipa, una balestra, le frecce chiuse in una piccola sporta, chiamata kruh, e molti altri oggetti secondo la fortuna di colui che si seppellisce e l'amore de' suoi parenti. Nello stesso giorno fabbricano un tetto per riparare il sepolcro dalla pioggia. Terminato il mortorio ognuno torna a casa sua e attende alle sue solite occupazioni. Però alcuni amici si fermano per sei notti coi più stretti parenti del defunto, per lenire il loro dolore e vegliare sopra di essi. I selvaggi infatti sogliono, alla morte di una persona amata, darsi in braccio a violenze che possono produrre tristi effetti. Gli uni battono con la testa principalmente contro le colonne della casa; altri si feriscono colle loro armi; quindi gli amici stanno sempre ai fianchi dei parenti del defunto e non lasciano loro sotto mano quello che può danneggiarli. Passati i maug kiek (notte dei morti), gli stranieri, rimasti coi parenti, ritornano alle loro case e restituiscono le armi che avevano custodito perché il padrone non avesse avuto a volgerle contro sé stesso. Ogni sera dal giorno del seppellimento, uno degli stretti parenti andrà a piangere sulla tomba. Ora sarà il padre, ora la sposa, o il figlio del morto; che dimostreranno così il loro dolore. Dopo essersi per qualche tempo lamentati, verseranno acqua nella piccola tazza, poi, accendendo il fuoco a lato della tomba, fumeranno nella stessa pipa del morto. Infine ponendosi alla testa del cadavere, soffieranno nel fornello della pipa e col tubo pigeranno il fumo, che si crederà scendere nella bocca del defunto. Al principio d’ogni mese lunare faranno la cerimonia del glomm por. Fin dal mattino, portansi al cimitero, deponendo sul sepolcro una foglia di banano contenente riso, gueuxongs o granchiolino di mare e carne di maiale e di gallina. Un piccolo foro è praticato in terra, dov’è la testa del cadavere. In quel foro versano vino di miglio o di mais, supponendo che scenda nella bocca del parente o dell’amico defunto. Tutto questo si fa alla buona fra lamenti funebri, e al suono del tamburo e dei tam-tam.
Il glomm por è religiosamente osservato in principio d’ogni mese lunare, fino al dì anniversario della morte, in cui si celebra il mute kiek che letteralmente vuol dire entrare tra i morti. Questa festa è annunciata qualche tempo prima, per dare ai parenti e agli amici tutto l’agio di fare i loro apparecchi, poiché accorreranno in numero, spinti dalla bramosia di prender parte al banchetto. Di solito portano una giarra di vino e una gallina per desinare a bocca e borsa con la famiglia del morto. In tale occasione, si uccidono tante bestie quante se ne uccisero nel giorno della sepoltura. Il primo tetto provvisorio è sostituito da un fabbricato più sodo e più bello. Questo tetto è formato da molte graticciate sovrapposte, tra le quali si mette uno strato di foglie secche, oppure lunghe erbe dia. La parte superiore spesso è coperta di un tessuto più compatto chiamato dranh o guenome. Il seunang (sepolcro) di cui vi mando lo schizzo trovansi nel cimitero di Kon-Derei.
Seunang - Sepolcro dei Ba-Hnars
Mi ha colpito per la forma del suo tetto coprendone il guenome la metà, mentre negli altri, proteggeva appena il culmine. Finito l’edifizio, si fabbrica una statua di legno che rappresenta il defunto. Questa statua o kon-ngai è lunga circa 55 centimetri. Gli occhi son fatti con due perle azzurrognole, i capelli in fili di foglie d’ananas cadono sulle spalle. Alle orecchie si attaccano gop o pendenti di stagno, il collo è caricato di collane di perle di vetro. Se la statua raffigura una donna, le mettono un habane, piccola pezza di tela che si stringe alle reni e scende fino alle ginocchia. Quando il kon-ngai rappresenta un uomo, indossa il keupene o languti.Questo simulacro è posto sotto il tetto del sepolcro. Le braccia sono protese avanti e portano bastoncini di bambù nelle quali i selvaggi hanno imbroccato piccoli pezzi di carne. La mano destra contiene parimenti alcuni cibi, la sinistra stringe un cereo. La pipa del morto è collocata davanti al kou-ngai, col suo tubo appoggiato al petto. Le carni offerte sono chiuse in tubi di bambù, e sospese sopra la tomba. Per ultimo, il vino è versato in un piccolo buco scavato in terra come pel glomm por. Intorno al seunang mangiano, bevono, piangono e ballano, al suono dei tam-tam e dei tamburi. Spesse volte le danze sono accompagnate da gesti osceni e da immoralità dirette a distarre e divertire il hiek. Finalmente, intorno alla tomba, si fa un recinto, nel quale si piantano banani, canne da zuccaro e patate. Nessuno però avrà mai l’ardire di mangiare i frutti prodotti da quegli alberi. In mezzo del recinto, appendono una gallina viva che tosto romperà i suoi fragili legami. Se fugge nella foresta, ogni cosa va a secondo; ma se rientra nel villaggio, allora la cercano solleciti e le scagliano frecce. Quella poverina, uccisa che sia, viene lasciata in pasto ai corvi o agli sciacalli del bosco. Dopo la cerimonia del mute kiek, il morto può riposare tranquillo, perché nessuno più penserà a lui, essendo terminati gli onori che se gli dovevano tributare. Se la tomba rovina, a niuno corre l’obbligo di ripararla, e con tutta probabilità non la si riparerà giammai. Il culto dei mani dura un anno, e poi chi n’ha avuto, n’ha avuto ... Qualche volta però si faranno anche sacrifizii ai mani dei parenti, quando si vorrà allontanare una disgrazia attribuita alla loro collera: del khal que me ba, in uso specialmente presso gli Hagu. Eccone un esempio. Un selvaggio compera un buffalo o un bue e vuole condurlo al suo villaggio; ma egli ha un bel tirare la corda passata nel muso della bestia, questa sta immobile. Perché tanta ostinatezza di star ferma? Certo perché i parenti del compratore chiedono un sacrifizio e non vogliono lasciar partire il buffalo finché l’offerta non sarà fatta. Quindi il selvaggio non istà in forse!
Khal que me ba - Invocazione degli Hagu
Cercasi un bambù flessibile che dividono in quattro sezioni nella parte maggiore della sua lunghezza. Ciò fatto, piantano l’altra estremità nel terreno, poi, ricurvando i frammenti divisi li conficcano nella terra. Sul vertice di questo apparato primitivo, egli mette una zucca contenente vino di miglio o di mais, due tubetti per bere e alcuni pezzi di carne, infilati in due bastoncini. I tubi e i bastoncini, uno pel padre, l’altro per la madre. Ogni cosa è abbellita con brugioli di bambù. L’operatore evoca indi i mani de’ suoi parenti, avvertendo di nominare prima la madre, I selvaggi chiamano questa invocazione khal que me ba. Il compratore supplica prima i suoi genitori di muoversi a pietà di lui; “Eu me ba igne, ih manat que igne bieu! O mia madre, o mio padre, deh! Miserere di me. Vedete il mio impiccio! Ho comprato un buffalo, si incaponisce a non volermi seguire, perché voi lo tenete fermo. Anima di mia madre, anima di mio padre, io vi chiamo. Venite a bevere di questo vino, a mangiare di questa carne che vi offro. Lasciatevi commuovere e comandate al mio buffalo di seguirmi. “Finita la sua preghiera, il selvaggio se ne va lasciandovi la sua offerta che poi si divideranno i corvi. Se il buffalo si ostina a non muoversi, viene abbandonato, perché i mani non sono placati.
Adoriamo i segreti consigli del Signore. Quam investigabiles viae ejus! Intanto, soffriamo e preghiamo; per mezzo della croce e dei patimenti Gesù ha salvato il mondo.
... Qui finisco il mio giornale, essendo stanco del lavoro e poi la febbre è ritornata co’ suoi calori. Alcuni forti accessi che mi assalgono, mi fecero accorto, come io non era ancora avvezzato al clima. Ma prima di giungere a questo risultamento, doveva passare tre anni d’arci miseria. Uno è già passato; ne rimangono due. Viva la croce, viva anche la gioia, Hilarem datorem diligit Deus. "
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Posti liberi 5
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Giorni sospesi: 25 dicembre
Ai problemi tecnici del mio P. C. si aggiungono quelli di chi lo deve riparare per cui credo che non lo rivedrò tanto presto.
Abbraccio a tutti!
Dai Sciary che ce la fai, incominciamo pure noi a mischiare tutto nel calderone, non circostanziamo, semplifichiamo il lavoro di ricerca, giudichiamo il passato e utilizziamo la parola rubare con tutte le similitudini culturali. Bella l'amica mia, il giornale di Guerlach è una chicca che potevi trovare solo tu.
RispondiEliminaNon ci posso credere
RispondiEliminaInteressante 'sto viaggio.
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