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lunedì 27 gennaio 2020

Montagne azzurre

" Quanto distano quelle montagne velate d’azzurro? Quanto è ampia la pianura che si estende sotto la radiosa luce primaverile? È un giorno di marcia, per chi può camminare libero. Un’ora a cavallo, di buon trotto. Per noi sono più lontane, lontanissime, è una distanza infinita. Quei monti non appartengono a questo mondo, al nostro mondo. Perché fra noi e quei monti c’è il filo spinato.
Il desiderio ardente, il battito feroce dei nostri cuori, il sangue che affluisce alla testa, è tutto inutile. Fra noi e la pianura, del resto, c’è il reticolato. Due serie di filo elettrificato, sopra le quali sono poste piccole lampade di un rosso pallido, per indicare che la morte è in agguato su tutti noi, imprigionati in questo rettangolo delimitato da un doppio reticolato e un alto muro bianco. Sempre quella stessa immagine, sempre quella stessa sensazione. Stiamo davanti alle finestre dei nostri blocchi e aneliamo a quella distesa lontana e tentatrice, e il petto ansima per l’ansia e per il senso di impotenza.
Fra me e lei ci sono dieci metri. Mi sporgo fuori dalla finestra, quando provo desiderio per la libertà lontana. Friedel non può fare nemmeno quello, è prigioniera di grado superiore. Io posso ancora muovermi liberamente nel Lager. Lei non può fare nemmeno quello. Abito nel Block a 9, un normale blocco per infermi. Friedel nel 10. Anche nel suo ci sono persone malate, ma non come nel mio. Chi è ricoverato da noi si è ammalato a causa di crudeltà, fame ed eccessivo lavoro. Cause ancora naturali, che portano a malattie naturali, definibili con una diagnosi. Il 10 è il Blocco degli esperimenti. Ci vivono donne che sono state violate da sadici che si autodefiniscono professori, in modi in cui nessuna donna è mai stata violata prima, in ciò che di più prezioso possiedono: la loro essenza di donna, la capacità di diventare madre. Anche una ragazza costretta a subire la feroce lussuria di un bruto soffre, tuttavia l’atto a cui viene sottoposta contro la sua volontà ha origine dalla vita, da una pulsione vivente. Nel Block 10 non sono mossi da un accesso di passione, ma da un delirio politico, un interesse economico.
Siamo consapevoli di tutto ciò, quando guardiamo questa pianura della Polonia meridionale, desiderando di correre sui prati e sui terreni paludosi che ci separano da quei monti Beschidi bluastri all’orizzonte. Ma sappiamo anche altro. Sappiamo che ci attende un’unica fine, un’unica liberazione da questo inferno di filo spinato: la morte ... "

Ultima fermata Auschwitz
Eliazar de Wind
detto Eddy
Traduzione
Dafna Fiano


P.S. 
Sono senza P.C. - appena possibile in questo stesso post racconterò qualcosa in più su Eddy e Friedel

lunedì 6 gennaio 2020

Il vento dell'Epifania

Vi auguro una felice Epifania!

L'Adorazione dei Magi 1585 - Simone De Wobreck - Museo del Castello Ursino Catania

L'Adorazione dei Magi 
1585 
Simone De Wobreck 
Museo del Castello Ursino - Catania

Era pieno inverno. 
Soffiava il vento della steppa. 
E aveva freddo il neonato nella grotta 
Sul pendio della collina.
L'alito del bue lo riscaldava. 
Animali domestici 
stavano nella grotta, 
sulla culla vagava un tiepido vapore.
Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio 
e i grani di miglio, 
dalle rupi guardavano 
assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.
Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero 
e recinti e pietre tombali 
e stanghe di carri confitte nella neve, 
e sul cimitero il cielo tutto stellato.
E lì accanto, mai vista sino allora, 
più modesta d'un lucignolo 
alla finestrella d'un capanno, 
traluceva una stella sulla strada di Betlemme.
Per quella stessa via, per le stesse contrade 
degli angeli andavano, mescolati alla folla. 
L'incorporeità li rendeva invisibili, 
ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.
Una folla di popolo si accalcava presso la rupe. 
Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri. 
E a loro: "Chi siete? " domandò Maria. 
"Noi, stirpe di pastori e inviati del cielo,
siamo venuti a cantare lodi a voi due". 
"Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia".
Nella foschia di cenere, che precede il mattino, 
battevano i piedi mulattieri e allevatori. 
Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo; 
e accanto al tronco cavo dell'abbeverata 
mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.
Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava, 
come granelli di cenere, le ultime stelle. 
E della innumerevole folla solo i Magi 
Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.
Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia, 
come un raggio di luna dentro un albero cavo. 
Invece di calde pelli di pecora, 
le labbra d'un asino e le nari d'un bue.
I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla 
Sussurravano, trovando a stento le parole. 
A un tratto qualcuno, nell'oscurità, 
con una mano scostò un poco a sinistra 
dalla mangiatoia uno dei tre Magi; 
e quello si voltò: dalla soglia, come in visita, 
alla Vergine guardava la stella di Natale.

La stella di Natale - Il dottor Živago
Boris Leonidovič Pasternak

mercoledì 1 gennaio 2020

Ciò che è

Le culture arcaiche attraverso la tradizione ci insegnano che per ogni nuovo inizio è necessario un ritorno al caos primigenio affinché l'ordine costituito si smantelli per dar vita a una nuova forma rigenerata ed ecco che il veliero di Anima Mundi anche quest'anno intraprende il suo viaggio nel tempo, raggiunge il 1957 e tra le pagine di un libro trova il portale d'accesso allo "Spazio beante" che da ciò che ancora non è genera... ciò che è 


Lo distinguiamo dagli altri
come se fosse un cavallino
diverso da tutti i cavalli.
Gli adorniamo la fronte
con un nastro,
gli posiamo sul collo sonagli colorati,
e a mezzanotte
lo andiamo a ricevere
come se fosse
un esploratore che scende da una stella.

Come il pane assomiglia
al pane di ieri,
come un anello a tutti gli anelli: i giorni
sbattono le palpebre
chiari, tintinnanti, fuggiaschi,
e si appoggiano nella notte oscura.

Vedo l'ultimo
giorno
di questo
anno
in una ferrovia, verso le piogge
del distante arcipelago violetto,
e l'uomo
della macchina,
complicata come un orologio del cielo,
che china gli occhi
all'infinito
modello delle rotaie,
alle brillanti manovelle,
ai veloci vincoli del fuoco.

Oh conduttore di treni
sboccati
verso stazioni
nere della notte.
Questa fine dell'anno
senza donna e senza figli,
non è uguale a quello di ieri, a quello di domani?

Dalle vie
e dai sentieri
il primo giorno, la prima aurora
di un anno che comincia,
ha lo stesso ossidato
colore di treno di ferro:
e salutano gli esseri della strada,
le vacche, i villaggi,
nel vapore dell'alba,
senza sapere che si tratta
della porta dell'anno,
di un giorno scosso da campane,
fiorito con piume e garofani.

La terra non lo sa: accoglierà questo giorno
dorato, grigio, celeste,
lo dispiegherà in colline
lo bagnerà con frecce
di trasparente pioggia
e poi lo avvolgerà
nell’ombra.

Eppure
piccola porta della speranza,
nuovo giorno dell’anno,
sebbene tu sia uguale agli altri
come i pani
a ogni altro pane,
ci prepariamo a viverti in altro modo,
ci prepariamo a mangiare, a fiorire,
a sperare.

Ti metteremo
come una torta
nella nostra vita,
ti infiammeremo
come un candelabro,
ti berremo
come un liquido topazio.

Giorno dell'anno nuovo,
giorno elettrico, fresco,
tutte le foglie escono verdi
dal tronco del tuo tempo.

Incoronaci
con acqua,
con gelsomini aperti,
con tutti gli aromi spiegati,
sì,
benché tu sia solo un giorno,
un povero giorno umano,
la tua aureola palpita
su tanti cuori stanchi
e sei,
oh giorno nuovo,
oh nuvola da venire,
pane mai visto,
torre permanente!

Ode al primo giorno dell'anno - Terzo libro delle odi - 1957
Pablo Neruda
Traduzione Alessandra Mazzucco

Auguri per un felice 2020

 Tantissimi auguri a tutti voi!

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