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mercoledì 6 aprile 2022

Atto di forza

Strage a Bucha - Ucraina 2022

Strage a Bucha - Ucraina 2022

Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz nasce il 1° giugno del 1780 a Breslavia, vive durante il regno di Federico Guglielmo III, diventa membro dello Stato maggiore russo e generale dell'esercito prussiano; è l'autore di un saggio sulla guerra che viene fatto dalla pubblicazione postumo dalla moglie tra il 1832 e il 1837 poiché lui muore nel 1831 a causa del colera.
Il corposo libro di Clausewitz è un'opera incompiu divisa in 8 volumi da molte accademie militari è stato adottato come molte accademie di testo in quanto è considerato uno dei più trattati di militare; tra i suoi estimatori televisivi Edward Luttwak, romeno naturalizzato statunitense, consulente strategico del Governo degli Stati Uniti d'America che  pochi giorni fa in una nota trasmissione ", zero dunque siamo per Luttwak, come zero eravamo quando, seguendo sempre il suo pensiero, mangiavamo il gelato a Rimini mentre dall'altra parte dell'Adriatico a Sarajevo si moriva sotto le bombe, e si domanda perché non offriamo i nostri carri armati all'Ucraina invece di temere le ritorsioni russe.  , riferendosi agli italiani, ha detto: "dire che sono pacifista equivale a essere uno zero perché non si fa niente
Edward Luttwak dimostra davvero di aver capito e tutto di essere un grande polilogo che sostituisce l'analisi con le opinioni personali e ignora le vie traverse, che appartengono a tutti gli Stati, che non sono lui di dominio pubblico e che di certo a non deve essere palesato.
Comunque sia nel primo capitolo del suo testo, Clausewitz, in 28   risponde  alla domanda "Che cosa è la guerra?" 
Ecco qui sotto il secondo e il terzo:


" 2. Definizione

Non daremo della guerra una grave definizione scientifica; ci atterremo alla sua forma elementare: il combattimento singolare, il duello.
La guerra non è che un duello su vasta scala. La moltitudine di duelli particolari di cui si compone, considerata nel suo insieme, può rappresentarsi con l'azione di due lottatori. Ciascuno di essi vuole, un mezzo della propria forza fisica, costringere l'avversario a piegarsi alla propria volontà; suo scopo immediato è di abbatterlo e, con ciò, rende impossibile ogni ulteriore resistenza.
La guerra è dunque un atto di forza che ha per scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà. La forza si arma delle invenzioni delle arti e delle scienze per misurare contro la forza. Essa è accompagnata da un diritto insignificante, che meritano appena di essere nominato, alle quali si dà il nome di diritto delle genti , ma che non hanno diritto di affirne l'energia. La forza intesa nel suo senso fisico (poiché all'infuori dell'idea di Stato e di Legge non vi è forza morale) è dunque il mezzo; lo scopo è di imporre la nostra volontà al nemico.
Per raggiungere con sicurezza tale scopo occorre che il nemico sia posto nella impossibilità di difendersi; e questo è, per definizione, il vero obbiettivo dell'atto di guerra; esso rappresenta lo scopo, e lo respinge, in certo qual modo, come alcunché di non appartenere alla guerra propriamente detta.

3. Impeego assoluto della forza

Gli spiriti umani potrebbero immaginare che esistono metodi tecnici per disarmare o abbattere l'avversario senza infliggergli troppe ferite e che sia questa la finalità autentica dell'arte militare. Per quanto seducente ne sia l'apparenza, occorre eliminare tale errore poiché, in questione così pericolose come la guerra, sono appunto gli errori risultanti da bontà d'animo quelli maggiormente perniciosi. Poiché l'impiego della forza fisica in tutta la sua portata non esclude affatto la cooperazione dell'intelligenza, colui che impiega tale forza senza restrizione, senza risparmio di sangue, acquista il sopravvento sopra un avversario che non faccia altrettanto e gli detta in conseguenza la propria legge;ed entrambi i principi di azione tendono così verso l'assoluto, senza trovare altri limiti che nei contrappesi insiti in essi. 
È così che la questione dev'essere considerata: e rappresenta uno sforzo non solo vano, ma illogico, il lasciare da parte l'elemento forza per avversione a esso. Se le guerre fra nazioni civili sono meno crudeli e devastatrici di quelle fra i selvaggi, ciò deriva dalle singole condizioni sociali degli Stati e da quelle degli Stati considera nei reciproci rapporti. La guerra nasce da queste condizioni e da questi rapporti sociali che la determinano, la limitata, la moderata; ma tali modifiche non sono inerenti alla guerra, possono nascere solo elementi contingenti: mai si può includere un principio moderatore nell'essenza della stessa guerra, senza commettere una vera assurdità. 
La lotta fra gli uomini si fonda su due diversi elementi: il sentimento ostile e l'intenzione ostile . Nella nostra definizione della guerra ci siamo basati sul secondo perché più generale; non possiamo infatti pensare all'odio, anche il più selvaggio, quello che si avvicina all'istinto, separandolo dall'intenzione ostile, mentre esistono spesso intenzioni ostili non accompagnate, o almeno non accompagnate, da inimicizia preconcetta. Presso i popoli barbari predominano i progetti sulla riflessione; ma questa differenza non deriva dalla natura intima della barbarie o della civiltà, bensì dalle circostanze, dalle istituzioni, ecc. che l'accompagnano.Non esiste necessariamente in ogni singolo caso, ma la si nel maggior numero dei casi. In una parola, le più violente passioni possono accendersi anche fra i popoli più civili. Si vede quindi come sia lungi dal vero il figurarsi la guerra fra Stati civili come un semplice e razionale atto di governo, e il considerarla come avulsa da ogni passione, sì che, in definitiva, non abbia bisogno dell'azione fisica delle masse di combattenti , e possa far calcolo soltanto sui loro rapporti astratti, sì da ridurre la guerra a una specie di operazione algebrica.
La teoria cominciava però a incamminarsi su questa strada, quando i fenomeni delle recenti guerre rettificarono le idee. La guerra, essendo atto di violenza, ha necessarie attinenze col sentimento; se essa non ne trae origine, vi farà capo tuttavia più o meno, a seconda non del grado di civiltà, ma della grandezza e durata degli interessi in conflitto.
È chiaro che se i popoli civili non uccidono i prigionieri, non distruggono città e villaggi, ciò deriva dal fatto che l'intelligenza ha in essi parte maggiore nella condotta della guerra e ha loro rivelato l'esistenza di mezzi d'impiego della forza più efficaci di quelli derivanti dalle manifestazioni brutali dell'istinto.
L'invenzione della polvere, il perfezionamento delle armi da dimostrare già idoneo che la tendenza alla distruzione dell'avversario, in un concetto della guerra, non è stato in realtà stornata, o alterata, dal progresso civile.
Confermiamo dunque: la guerra è un atto di forza, all'impiego della quale non esistono limiti : i belligeranti si impongono legge mutualmente; ne risulta un'azione reciproca che logicamente deve condurre all'estremo. Ecco dunque un primo rapporto di azione reciproca e un primo criterio illimitato, cui l'analisi ci conduce. "

Della Guerra
Carl Philipp Gottlieb von Clausewitz
Traduzione - Ambrogio Bollati ed Emilio Canevari

P.S. Il colore verde nel testo segnala il corsivo nell'originale

1 commento:

  1. In poche parole meglio non fare la guerra.
    Davvero molto interessante, complicato in certi punti ma molto chiaro nel complesso.
    La vita umana non può essere usata come se si stesse giocando ad una partita a scacchi. Eppure sembra come se si giocasse con essa. Terribile davvero. Grazie Sciarada e complimenti per questo tuo bellissimo e colto post. Grazie e notte serena.

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