" Nelle belle sere dell’autunno passato una grande stella rossa fu veduta per più mesi brillare sull’orizzonte meridionale del cielo; era il pianeta Marte, che si accostava per qualche tempo alla Terra in una delle sue apparizioni, solite a ripetersi ad intervalli di 780 giorni. Nella schiera degli otto pianeti principali Marte occupa, per volume, il penultimo luogo; il solo Mercurio è più piccolo di lui. Ma in certe posizioni, in cui egli ritorna ad intervalli di sedici anni, Marte può avvicinarsi alla Terra più dell’usato, brillando più di ogni altro pianeta, Venere sola eccettuata; ed in tali contingenze tanto arde di luce rossa, da meritare il nome, che i Greci gli diedero, di Pyrois (infocato). Nei tempi ormai per sempre passati, quando si pretendeva di leggere in cielo l’avvenire degli umani eventi, queste grandi apparizioni di Marte erano lo spavento dei popoli, e davano molto da fare agli astrologi, ai quali incombeva il compito, non sempre facile, di studiare l’influsso del pianeta sulle vicende guerresche e sulle costellazioni politiche del momento. Anche ora la grande apparizione testè avvenuta di Marte ha destato il pubblico interesse; ma per una ragione ben diversa. Oggi è nata presso alcuni la speranza, che da osservazioni diligenti fatte sulla sua superficie con giganteschi telescopi, si possa ottenere quando che sia la soluzione di un gran problema cosmologico; arrivar cioè a sapere, se i corpi celesti possano dirsi sede di esseri intelligenti, o, almeno, di esseri organizzati ... "
La vita sul pianeta Marte
Giovanni Virginio Schiaparelli
Giovanni Virginio Schiaparelli
Congiunzione Luna - Marte 27 luglio 2018
Il passaggio di testimone tra il mese di luglio e quello di agosto avviene sotto il segno di Marte che, se il giorno dell'eclissi era in congiunzione con la luna, la notte tra il 31 luglio e il 1° agosto ha raggiunto la minima distanza dalla Terra, 57.590.630 chilometri, per brillare in tutta la sua bellezza nell'oscurità del cielo.
Marte alla minima distanza dalla Terra - 57.590.630 chilometri - notte tra il 31 e il 1° agosto 2018
Vi lascio con la descrizione del pianeta rosso fatta dal nostro Giovanni Virginio Schiaparelli nel 1893; una descrizione lunga, ma che può essere interessante per chi è appassionato di astronomia, buona lettura:
" ... nella sua generale topografia Marte non presenta alcuna analogia colla Terra. Un terzo della sua superficie è occupato dal gran Mare Australe, che è sparso di molte isole, e spinge entro ai continenti golfi e ramificazioni di varia forma; al suo sistema appartiene un’intiera serie di piccoli mari interni, dei quali l'Adriatico ed il Tirreno comunicano con esso per ampie bocche, mentre il Cimmerio, quello delle Sirene, e il Lago del Sole non hanno con esso relazione che per mezzo di angusti canali. Si noterà nei quattro primi una disposizione parallela, che certo non è accidentale, come pure non senza ragione è la corrispondente positura delle penisole Ausonia, Esperia ed Atlantide. Il colore dei mari di Marte è generalmente bruno misto di grigio, non sempre però di uguale intensità in tutti i luoghi, nè nel medesimo luogo è uguale in ogni tempo. Dal nero completo si può scendere al grigio chiaro ed al cinereo. Tal diversità di colore può aver origine da varie cause, e non è senza analogia anche sulla Terra, dove è noto che i mari delle zone calde sogliono essere più oscuri che i mari più vicini al polo. Le acque del Baltico, per esempio, hanno un color luteo chiaro, che non si osserva nel Mediterraneo. E così pure nei mari di Marte si vede il colore farsi più cupo quando il sole si avvicina alla loro verticale e l’estate comincia a dominare in quelle regioni.
Tutto il resto del pianeta fino al polo Nord è occupato dalle masse dei continenti, nelle quali, salvo alcune aree di estensione relativamente piccola, predomina il colore aranciato, che talvolta sale al rosso più cupo, altre volte scende al giallo ed al biancastro. La varietà di questa colorazione è in parte d’origine meteorica, in parte può dipendere dalla diversa natura del suolo, e sulle sue cause ancora non è possibile appoggiare ipotesi molto fondate. Neppure è nota la causa di questo predominio delle tinte rosse e gialle sulla superficie del vecchio Pyrois. Alcuno ha creduto di attribuire questa colorazione all’atmosfera del pianeta, attraverso alla quale si vedrebbe colorata la superficie di Marte, come rosso diventa un oggetto terrestre qualsiasi, veduto a traverso vetri di tal colore. Ma a ciò si oppongono più fatti, fra gli altri questo, che le nevi polari appajono sempre del bianco più puro, benchè i raggi di luce da esse derivati attraversino due volte l’atmosfera di Marte sotto una grande obliquità. Noi dobbiamo dunque concludere che i continenti marziali ci appajono rossi e gialli, perché tali veramente sono.
Oltre a queste regioni oscure e luminose, che noi abbiamo qualificato per mari e continenti, e la cui natura ormai non lascia luogo che a poco dubbio, alcune altre ne esistono, veramente poco estese, di natura anfibia, le quali talvolta ingialliscono e sembrano continenti, in altri tempi vestono il bruno (anche il nero in certi casi) e assumono l’apparenza dei mari; mentre in altre epoche la loro colorazione intermedia lascia dubitare a qual classe di regioni esse appartengano. Quasi tutte le isole sparse nel Mare Australe e nel Mare Eritreo appartengono a questa categoria, così pure le lunghe penisole chiamate Regioni di Deucalione e di Pirra, e in contiguità del Mare Acidalio le regioni sognate coi nomi di Baltia e di Nerigos. L’idea più naturale e più conforme all’analogia sembra quella di supporre in esse vaste lagune, su cui variando le profondità dell’acqua si produca la diversità del colore, predominando il giallo in quelle parti dove la profondità del velo liquido è ridotta a poco od anche a niente, e il colore bruno più o meno oscuro nei luoghi dove le acque sono tanto alte da assorbire molta luce e da rendere più o meno invisibile il fondo. Che l’acqua del mare o qualsiasi acqua profonda e trasparente veduta dall’alto appaja tanto più oscura quanto maggiore è l’altezza dello strato liquido, e che le terre in confronto di esse appajano chiare sotto l’illuminazione del Sole, è cosa nota e confermata da certissime ragioni fisiche. Chi viaggia nelle Alpi spesso ha occasione di convincersene, vedendo dalle cime neri come l’inchiostro stendersi sotto i suoi piedi i profondi laghetti di cui sono seminate, in confronto dei quali luminose appajono anche le rupi più nereggianti percosse dal sole.
Non senza fondamento adunque abbiamo finora attribuito alle macchie oscure di Marte la parte di mari e quella di continenti alle aree rosseggianti che occupano quasi i due terzi di tutto il pianeta, e troveremo più tardi altre ragioni che confermano tal modo di vedere. I continenti formano nell’emisfero boreale una massa quasi unica e continua, sola eccezione importante essendo il gran lago detto Mare Acidalio, del quale l’estensione pare mutarsi secondo i tempi e connettersi in qualche modo colle inondazioni che dicemmo prodotte dallo sciogliersi delle nevi intorno al polo boreale. Al sistema del Mare Acidalio appartiene senza dubbio il lago temporario denominato Iperboreo ed il Lago Niliaco: quest’ultimo ordinariamente separato dal Mare Acidalio per mezzo di un istmo o diga regolare, la cui continuità soltanto nel 1888 fu vista interrompersi per qualche tempo. Altre macchie oscure minori si trovano qua e là nella parte continentale, le quali potrebbero rappresentare dei laghi, ma non certo laghi permanenti come i nostri; tanto sono variabili d’aspetto e di grandezza secondo le stagioni, al punto da scomparire affatto in date circostanze. Il Lago Ismenio, quello della Luna, il Trivio di Caronte e la Propontide sono i più cospicui e i più durevoli. Ve ne sono di piccolissimi, quali il Lago Meride e il Fonte di Gioventù, che nella loro maggiore appariscenza non superano i 100 o 150 chilometri di diametro e contano fra gli oggetti più difficili del pianeta.
Tutta la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso da una rete di numerose linee o strisce sottili di color oscuro più o meno pronunziato, delle quali l’aspetto è molto variabile. Esse percorrono sul pianeta spazi talvolta lunghissimi con corso regolare, che in nulla rassomiglia l’andamento serpeggiante dei nostri fiumi; alcune più brevi non arrivano a 500 chilometri, altre invece si estendono a più migliaja, occupando un quarto ed anche talvolta un terzo di tutto il giro del pianeta. Alcuna di esse è abbastanza facile a vedere, e più di tutte quella che è presso l’estremo limite sinistro delle nostre carte, designata col nome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamente difficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesi attraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la loro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300 chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse non arriva a 30 chilometri.
Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte, di cui tanto si è parlato. Per quanto si è fino ad oggi potuto osservare, sono certamente configurazioni stabili del pianeta; la Nilosirte è stata veduta in quel luogo da quasi cent’anni, ed alcune altre da trent’anni almeno. La loro lunghezza e giacitura è costante, o non varia che entro strettissimi limiti; ognuna di esse comincia e finisce sempre fra i medesimi termini. Ma il loro aspetto e il loro grado di visibilità sono assai variabili per tutte da un’opposizione ad un altra, anzi talvolta da una settimana all’altra; e tali variazioni non hanno luogo simultaneamente e con ugual legge per tutte, ma nel più dei casi succedono quasi a capriccio, od almeno secondo regole non abbastanza semplici per essere subito intese da noi. Spesso una o più diventano indistinte od anche affatto invisibili, mentre altre loro vicine ingrossano al punto da diventar evidenti anche in cannocchiali di mediocre potenza. La prima delle nostre carte presenta tutte quelle che sono state vedute in una lunga serie di osservazioni; essa tuttavia non corrisponde all’aspetto di Marte in alcuna epoca, perchè generalmente soltanto poche sono visibili di un tratto.
Ogni canale (per ora chiamiamoli così) alle sue estremità sbocca o in un mare, od in un lago, od in un altro canale, o nell’intersezione di più altri canali. Non si è mai veduto uno di essi rimaner troncato nel mezzo del continente, rimanendo senza uscita e senza continuazione. Questo fatto è della più alta importanza. I canali possono intersecarsi fra di loro sotto tutti gli angoli possibili; ma di preferenza convergono verso le piccole macchie cui abbiamo dato il nome di laghi. Per esempio sette se ne veggono convergere nel Lago della Fenice, otto nel Trivio di Caronte, sei nel Lago della Luna, sei nel Lago Ismenio.
Tutto il resto del pianeta fino al polo Nord è occupato dalle masse dei continenti, nelle quali, salvo alcune aree di estensione relativamente piccola, predomina il colore aranciato, che talvolta sale al rosso più cupo, altre volte scende al giallo ed al biancastro. La varietà di questa colorazione è in parte d’origine meteorica, in parte può dipendere dalla diversa natura del suolo, e sulle sue cause ancora non è possibile appoggiare ipotesi molto fondate. Neppure è nota la causa di questo predominio delle tinte rosse e gialle sulla superficie del vecchio Pyrois. Alcuno ha creduto di attribuire questa colorazione all’atmosfera del pianeta, attraverso alla quale si vedrebbe colorata la superficie di Marte, come rosso diventa un oggetto terrestre qualsiasi, veduto a traverso vetri di tal colore. Ma a ciò si oppongono più fatti, fra gli altri questo, che le nevi polari appajono sempre del bianco più puro, benchè i raggi di luce da esse derivati attraversino due volte l’atmosfera di Marte sotto una grande obliquità. Noi dobbiamo dunque concludere che i continenti marziali ci appajono rossi e gialli, perché tali veramente sono.
Oltre a queste regioni oscure e luminose, che noi abbiamo qualificato per mari e continenti, e la cui natura ormai non lascia luogo che a poco dubbio, alcune altre ne esistono, veramente poco estese, di natura anfibia, le quali talvolta ingialliscono e sembrano continenti, in altri tempi vestono il bruno (anche il nero in certi casi) e assumono l’apparenza dei mari; mentre in altre epoche la loro colorazione intermedia lascia dubitare a qual classe di regioni esse appartengano. Quasi tutte le isole sparse nel Mare Australe e nel Mare Eritreo appartengono a questa categoria, così pure le lunghe penisole chiamate Regioni di Deucalione e di Pirra, e in contiguità del Mare Acidalio le regioni sognate coi nomi di Baltia e di Nerigos. L’idea più naturale e più conforme all’analogia sembra quella di supporre in esse vaste lagune, su cui variando le profondità dell’acqua si produca la diversità del colore, predominando il giallo in quelle parti dove la profondità del velo liquido è ridotta a poco od anche a niente, e il colore bruno più o meno oscuro nei luoghi dove le acque sono tanto alte da assorbire molta luce e da rendere più o meno invisibile il fondo. Che l’acqua del mare o qualsiasi acqua profonda e trasparente veduta dall’alto appaja tanto più oscura quanto maggiore è l’altezza dello strato liquido, e che le terre in confronto di esse appajano chiare sotto l’illuminazione del Sole, è cosa nota e confermata da certissime ragioni fisiche. Chi viaggia nelle Alpi spesso ha occasione di convincersene, vedendo dalle cime neri come l’inchiostro stendersi sotto i suoi piedi i profondi laghetti di cui sono seminate, in confronto dei quali luminose appajono anche le rupi più nereggianti percosse dal sole.
Non senza fondamento adunque abbiamo finora attribuito alle macchie oscure di Marte la parte di mari e quella di continenti alle aree rosseggianti che occupano quasi i due terzi di tutto il pianeta, e troveremo più tardi altre ragioni che confermano tal modo di vedere. I continenti formano nell’emisfero boreale una massa quasi unica e continua, sola eccezione importante essendo il gran lago detto Mare Acidalio, del quale l’estensione pare mutarsi secondo i tempi e connettersi in qualche modo colle inondazioni che dicemmo prodotte dallo sciogliersi delle nevi intorno al polo boreale. Al sistema del Mare Acidalio appartiene senza dubbio il lago temporario denominato Iperboreo ed il Lago Niliaco: quest’ultimo ordinariamente separato dal Mare Acidalio per mezzo di un istmo o diga regolare, la cui continuità soltanto nel 1888 fu vista interrompersi per qualche tempo. Altre macchie oscure minori si trovano qua e là nella parte continentale, le quali potrebbero rappresentare dei laghi, ma non certo laghi permanenti come i nostri; tanto sono variabili d’aspetto e di grandezza secondo le stagioni, al punto da scomparire affatto in date circostanze. Il Lago Ismenio, quello della Luna, il Trivio di Caronte e la Propontide sono i più cospicui e i più durevoli. Ve ne sono di piccolissimi, quali il Lago Meride e il Fonte di Gioventù, che nella loro maggiore appariscenza non superano i 100 o 150 chilometri di diametro e contano fra gli oggetti più difficili del pianeta.
Tutta la vasta estensione dei continenti è solcata per ogni verso da una rete di numerose linee o strisce sottili di color oscuro più o meno pronunziato, delle quali l’aspetto è molto variabile. Esse percorrono sul pianeta spazi talvolta lunghissimi con corso regolare, che in nulla rassomiglia l’andamento serpeggiante dei nostri fiumi; alcune più brevi non arrivano a 500 chilometri, altre invece si estendono a più migliaja, occupando un quarto ed anche talvolta un terzo di tutto il giro del pianeta. Alcuna di esse è abbastanza facile a vedere, e più di tutte quella che è presso l’estremo limite sinistro delle nostre carte, designata col nome di Nilosyrtis: altre invece sono estremamente difficili, e rassomigliano a tenuissimi fili di ragno tesi attraverso al disco. Quindi molto varia è altresì la loro larghezza, che può raggiungere 200 od anche 300 chilometri per la Nilosirte, mentre per altre forse non arriva a 30 chilometri.
Queste linee o strisce sono i famosi canali di Marte, di cui tanto si è parlato. Per quanto si è fino ad oggi potuto osservare, sono certamente configurazioni stabili del pianeta; la Nilosirte è stata veduta in quel luogo da quasi cent’anni, ed alcune altre da trent’anni almeno. La loro lunghezza e giacitura è costante, o non varia che entro strettissimi limiti; ognuna di esse comincia e finisce sempre fra i medesimi termini. Ma il loro aspetto e il loro grado di visibilità sono assai variabili per tutte da un’opposizione ad un altra, anzi talvolta da una settimana all’altra; e tali variazioni non hanno luogo simultaneamente e con ugual legge per tutte, ma nel più dei casi succedono quasi a capriccio, od almeno secondo regole non abbastanza semplici per essere subito intese da noi. Spesso una o più diventano indistinte od anche affatto invisibili, mentre altre loro vicine ingrossano al punto da diventar evidenti anche in cannocchiali di mediocre potenza. La prima delle nostre carte presenta tutte quelle che sono state vedute in una lunga serie di osservazioni; essa tuttavia non corrisponde all’aspetto di Marte in alcuna epoca, perchè generalmente soltanto poche sono visibili di un tratto.
Ogni canale (per ora chiamiamoli così) alle sue estremità sbocca o in un mare, od in un lago, od in un altro canale, o nell’intersezione di più altri canali. Non si è mai veduto uno di essi rimaner troncato nel mezzo del continente, rimanendo senza uscita e senza continuazione. Questo fatto è della più alta importanza. I canali possono intersecarsi fra di loro sotto tutti gli angoli possibili; ma di preferenza convergono verso le piccole macchie cui abbiamo dato il nome di laghi. Per esempio sette se ne veggono convergere nel Lago della Fenice, otto nel Trivio di Caronte, sei nel Lago della Luna, sei nel Lago Ismenio.
L’aspetto normale di un canale è quello di una striscia quasi uniforme nera o almeno di colore oscuro simile a quello dei mari, in cui la regolarità del generale andamento non esclude piccole diversità di larghezza e piccole sinuosità nei due contorni laterali. Spesso avviene che tal filetto oscuro, mettendo capo al mare, si allarghi in forma di tromba, formando una vasta baja, simile agli estuari di certi fiumi terrestri: il Golfo delle Perle, il Golfo Aonio, il Golfo dell’Aurora, e i due corni del Golfo Sabeo sono così formati dalla foce di uno o più canali sboccanti nel Mare Eritreo o nel Mare Australe. L’esempio più grandioso di tali golfi è la Gran Sirte, formata dalla vastissima foce della Nilosirte già nominata; questo golfo non ha manco di 1800 chilometri di larghezza e quasi altrettanti di profondità nel senso longitudinale, e la sua superficie è di poco minore che quella del golfo di Bengala. In questi casi si vede manifestamente la superficie oscura del mare continuarsi senza apparente interruzione in quella del canale; quindi, ammesso che le superficie chiamate mari siano veramente espansioni liquide, non si può dubitare che i canali siano di esse un semplice prolungamento a traverso delle aree gialle, o dei continenti.
Che del resto le linee dette canali siano veramente grandi solchi o depressioni delle superficie del pianeta destinate al passaggio di masse liquide, e costituiscano su di esso un vero sistema idrografico, è dimostrato dai fenomeni che in quelli si osservano durante lo struggersi delle nevi boreali. Già dicemmo che queste, nello sciogliersi appaiono circondate da una zona oscura, formante una specie di mare temporario. In tale epoca i canali delle regioni circostanti si fanno più neri e più larghi, ingrossando al punto da ridurre, in un certo momento, ad isole di poca estensione tutto le aree gialle comprese fra l’orlo della neve e il 60° parallelo nord. Tale stato di cose non cessa, se non quando le nevi, ridotte ormai al loro minimo di estensione, cessano di struggersi. Si attenuano allora le larghezze dei canali, scompare il mare temporario, e le aree gialle riprendono l’estensione primitiva. Le diverse fasi di questa grandiosa operazione si rinnovano ad ogni giro di stagioni ed i loro particolari si son potuti osservare con molta evidenza nelle opposizioni 1882, 1884, 1886, quando il pianeta presentava allo spettatore terrestre il suo polo boreale. L’interpretazione più naturale e più semplice è quella che abbiam riferito, di una grande inondazione prodotta dallo squagliarsi delle nevi; essa è interamente logica, e sostenuta da evidenti analogie con fenomeni terrestri. Concludiamo pertanto, che i canali son tali di fatto, e non solo di nome. La rete da essi formata probabilmente fu determinata in origine dallo stato geologico del pianeta, e si è venuta lentamente elaborando nel corso dei secoli. Non occorre suppor qui l’opera di esseri intelligenti; e malgrado l’apparenza quasi geometrica di tutto il loro sistema, per ora incliniamo a credere che essi siano prodotti dell’evoluzione del pianeta, appunto come sulla Terra il canale della Manica e quello di Mozambico ... "
Che del resto le linee dette canali siano veramente grandi solchi o depressioni delle superficie del pianeta destinate al passaggio di masse liquide, e costituiscano su di esso un vero sistema idrografico, è dimostrato dai fenomeni che in quelli si osservano durante lo struggersi delle nevi boreali. Già dicemmo che queste, nello sciogliersi appaiono circondate da una zona oscura, formante una specie di mare temporario. In tale epoca i canali delle regioni circostanti si fanno più neri e più larghi, ingrossando al punto da ridurre, in un certo momento, ad isole di poca estensione tutto le aree gialle comprese fra l’orlo della neve e il 60° parallelo nord. Tale stato di cose non cessa, se non quando le nevi, ridotte ormai al loro minimo di estensione, cessano di struggersi. Si attenuano allora le larghezze dei canali, scompare il mare temporario, e le aree gialle riprendono l’estensione primitiva. Le diverse fasi di questa grandiosa operazione si rinnovano ad ogni giro di stagioni ed i loro particolari si son potuti osservare con molta evidenza nelle opposizioni 1882, 1884, 1886, quando il pianeta presentava allo spettatore terrestre il suo polo boreale. L’interpretazione più naturale e più semplice è quella che abbiam riferito, di una grande inondazione prodotta dallo squagliarsi delle nevi; essa è interamente logica, e sostenuta da evidenti analogie con fenomeni terrestri. Concludiamo pertanto, che i canali son tali di fatto, e non solo di nome. La rete da essi formata probabilmente fu determinata in origine dallo stato geologico del pianeta, e si è venuta lentamente elaborando nel corso dei secoli. Non occorre suppor qui l’opera di esseri intelligenti; e malgrado l’apparenza quasi geometrica di tutto il loro sistema, per ora incliniamo a credere che essi siano prodotti dell’evoluzione del pianeta, appunto come sulla Terra il canale della Manica e quello di Mozambico ... "
La vita sul pianeta Marte
Giovanni Virginio Schiaparelli
Peccato aver perso anche questo! C'era nuvolosità e non ho visto nulla. Forse più tardi avrei potuto ma la stanchezza ha vinto.
RispondiEliminaBellissime foto SCiarada!
Ciaoooo
Wow bellissimo articolo. Più tardi ripasso è lo leggo con calma. Grazie pubblichi sempre cose interessanti^^
RispondiEliminaDopo la bellissima descrizione della Luna dell'ultima volta, ora trovo quella di Marte! Interessantissimo e ricco di spunti. Grazie!
RispondiEliminaUn abbraccio e buon weekend cara! :)