martedì 28 febbraio 2017

" C'è un treno che parte alle 7.40 ... " - Insieme raccontiamo 18

C'è un treno che parte alle 7.40 al diciottesimo binario di  Insieme raccontiamo. All'incipit di Patricia si può aggiungere un finale composto da 200/300 battute o 200/ 300 parole e un'immagine legata in qualche modo al treno. Buon divertimento. 


Battisti nelle cuffiette cantava “c’è un treno che parte alle 7,40...”

Forse non erano proprio le 7,40 però il treno era lì, fermo come un cannibale vorace pronto a inghiottire chiunque gli si avvicinasse troppo. Pauroso, eppure invitante.

Doveva smettere di guardarlo e prendere una decisione. Salire o no?

Patricia Moll


Mise un piede  sul gradino e fece per salire ma, un fischio la distolse dall'appoggiare anche l'altro e rimase in equilibrio precario su una sola gamba, girò la testa e vide uno sbuffo di fumo bianco fuoriuscire da un fumaiolo nero antracite, incuriosita scese, riacquistò una posizione stabile e percorse tutta la piattaforma svoltando poi a sinistra per raggiungere il binario su cui sostava una vecchia locomotiva a vapore tirata a lucido, il fumaiolo sbuffò di nuovo come se volesse salutarla, si avvicinò e su un volantino pubblicitario attaccato  alla prima carrozza lesse :
 " Se ami la lentezza e pensi che il viaggio sia più importante della meta, sali e accomodati, non rimarrai delusa. "
Salì e si fermò sul vestibolo fin quando le bielle cominciarono a muoversi producendo il tipico rumore dei treni alimentati a carbone, Battisti adesso cantava:

" Che ne sai di un bambino che rubava 
e soltanto nel buio giocava 
e del sole che trafigge i solai, che ne sai 
e di un mondo tutto chiuso in una via 
e di un cinema di periferia 
che ne sai della nostra ferrovia, che ne sai ... "

Entrò nell'abitacolo semi vuoto, si sedette sul cuscino adagiato sul sedile di legno, si appoggiò alla spalliera, incrociò le braccia, stese le gambe e guardò fuori dal finestrino; lo spettacolo stava iniziando con il paesaggio complice dei suoi pensieri.

230 parole

Sciarada Sciaranti

lunedì 20 febbraio 2017

Carnevale al circo

Febbraio - Il piccolo pagliaccio
20, lunedì


Tutta la città è in ribollimento per il carnevale, che è sul finire, in ogni piazza si rizzan baracche di saltimbanchi e giostre, e noi abbiamo sotto le finestre un circo di tela, dove dà spettacolo una piccola compagnia veneziana, con cinque cavalli. Il circo è nel mezzo della piazza, e in un angolo ci son tre carrozzoni grandi, dove i saltimbanchi dormono e si travestono; tre casette con le ruote, coi loro finestrini e un caminetto ciascuna, che fuma sempre; e tra finestrino e finestrino sono stese delle fasce da bambini. C’è una donna che allatta un putto, fa da mangiare e balla sulla corda. Povera gente! Si dice saltimbanco come un’ingiuria; eppure si guadagnano il pane onestamente, divertendo tutti; e come faticano! Tutto il giorno corrono tra il circo e i carrozzoni, in maglia, con questi freddi; mangian due bocconi a scappa e fuggi, in piedi, tra una rappresentazione e l’altra, e a volte, quando hanno già il circo affollato, si leva un vento che strappa le tele e spegne i lumi, e addio spettacolo! debbon rendere i denari e lavorar tutta la sera a rimetter su la baracca. Ci hanno due ragazzi che lavorano; e mio padre riconobbe il più piccolo mentre attraversava la piazza: è il figliuolo del padrone lo stesso che vedemmo fare i giochi a cavallo l’anno passato, in un circo di piazza Vittorio Emanuele. È cresciuto, avrà otto anni, è un bel ragazzo, un bel visetto rotondo e bruno di monello, con tanti riccioli neri che gli scappan fuori dal cappello a cono. È vestito da pagliaccio, ficcato dentro a una specie di saccone con le maniche, bianco ricamato di nero, e ha le scarpette di tela. È un diavoletto. Piace a tutti. Fa di tutto. Lo vediamo ravvolto in uno scialle, la mattina presto, che porta il latte alla sua casetta di legno; poi va a prendere i cavalli alla rimessa di via Bertola; tiene in braccio il bimbo piccolo; trasporta cerchi cavalletti, sbarre, corde; pulisce i carrozzoni, accende il fuoco, e nei momenti di riposo è sempre appiccicato a sua madre. Mio padre lo guarda sempre dalla finestra, e non fa che parlar di lui e dei suoi, che han l’aria di buona gente, e di voler bene ai figliuoli. Una sera ci siamo andati, al circo; faceva freddo, non c’era quasi nessuno; ma tanto il pagliaccino si dava un gran moto per tener allegra quella po’ di gente: faceva dei salti mortali, s’attaccava alla coda dei cavalli, camminava con le gambe per aria, tutto solo, e cantava, sempre sorridente, col suo visetto bello e bruno; e suo padre che aveva un vestito rosso e i calzoni bianchi, con gli stivali alti e la frusta in mano, lo guardava; ma era triste. Mio padre n’ebbe compassione, e ne parlò il dì dopo col pittore Delis, che venne a trovarci. Quella povera gente s’ammazza a lavorare e fa così cattivi affari! Quel ragazzino gli piaceva tanto! Che cosa si poteva fare per loro? Il pittore ebbe un’idea. - Scrivi un bell’articolo sulla Gazzetta, - gli disse, - tu che sai scrivere: tu racconti i miracoli del piccolo pagliaccio e io faccio il suo ritratto; la Gazzetta la leggon tutti, e almeno per una volta accorrerà gente. - E così fecero. Mio padre scrisse un articolo, bello e pieno di scherzi, che diceva tutto quello che noi vediamo dalla finestra, e metteva voglia di conoscere e di carezzare il piccolo artista; e il pittore schizzò un ritrattino somigliante e grazioso, che fu pubblicato sabato sera. Ed ecco, alla rappresentazione di domenica, una gran folla che accorre al circo. Era annunziato: Rappresentazione a beneficio del pagliaccino; del pagliaccino, com’era chiamato nella Gazzetta. Mio padre mi condusse nei primi posti. Accanto all’entrata avevano affisso la Gazzetta. Il circo era stipato; molti spettatori avevano la Gazzetta in mano, e la mostravano al pagliaccino, che rideva e correva or dall’uno or dall’altro, tutto felice. Anche il padrone era contento. Figurarsi! Nessun giornale gli aveva mai fatto tanto onore, e la cassetta dei soldi era piena. Mi padre sedette accanto a me. Tra gli spettatori trovammo delle persone di conoscenza. C’era vicino all’entrata dei cavalli, in piedi, il maestro di Ginnastica, quello che è stato con Garibaldi; e in faccia a noi, nei secondi posti, il muratorino, col suo visetto tondo, seduto accanto a quel gigante di suo padre... e appena mi vide, mi fece il muso di lepre. Un po’ più in là vidi Garoffi, che contava gli spettatori, calcolando sulle dita quanto potesse aver incassato la Compagnia. C’era anche nelle seggiole dei primi posti, poco lontano da noi, il povero Robetti, quello che salvò il bimbo dall’omnibus, con le sue stampelle fra le ginocchia, stretto al fianco di suo padre, capitano d’artiglieria, che gli teneva una mano sulla spalla. La rappresentazione cominciò. Il pagliaccino fece meraviglie sul cavallo, sul trapezio e sulla corda, e ogni volta che saltava giù, tutti gli battevan le mani e molti gli tiravano i riccioli. Poi fecero gli esercizi vari altri, funamboli, giocolieri e cavallerizzi, vestiti di cenci e scintillanti d’argento. Ma quando non c’era il ragazzo, pareva che la gente si seccasse. A un certo punto vidi il maestro di ginnastica, fermo all’entrata dei cavalli, che parlò nell’orecchio del padrone del circo, e questi subito girò lo sguardo sugli spettatori, come se cercasse qualcuno. Il suo sguardo si fermò su di noi. Mio padre se ne accorse, capì che il maestro aveva detto ch’era lui l’autore dell’articolo, e per non esser ringraziato se ne scappò via, dicendomi: - Resta, Enrico; io t’aspetto fuori. - Il pagliaccino, dopo aver scambiato qualche parola col suo babbo, fece ancora un esercizio: ritto sul cavallo che galoppava, si travestì quattro volte, da pellegrino, da marinaio, da soldato, da acrobata, e ogni volta che mi passava vicino, mi guardava. Poi, quando scese, cominciò a fare il giro del circo col cappello da pagliaccio tra le mani, e tutti ci gettavan dentro soldi e confetti. Io tenni pronti due soldi; ma quando fu in faccia a me, invece di porgere il cappello, lo tirò indietro, mi guardò e passò avanti. Rimasi mortificato. Perché m’aveva fatto quello sgarbo? La rappresentazione terminò, il padrone ringraziò il pubblico, e tutta la gente s’alzò, affollandosi verso l’uscita. Io ero confuso tra la folla, e stavo già per uscire, quando mi sentii toccare una mano. Mi voltai: era il pagliaccino, col suo bel visetto bruno e i suoi riccioli neri, che mi sorrideva: aveva le mani piene di confetti. Allora capii. - Voresistu - mi disse - agradir sti confeti del pagiazzeto? - Io accennai di sì, e ne presi tre o quattro. - Alora, - soggiunse - ciapa anca un baso. - Dammene due -, risposi, e gli porsi il viso. Egli si pulì con la manica la faccia infarinata, mi pose un braccio intorno al collo, e mi stampò due baci sulle guance, dicendomi: - Tò, e portighene uno a to pare.

Cuore
Edmondo De Amicis


Circo
1957

martedì 14 febbraio 2017

Uno sguardo verso il cielo

Lo so che è ancora presto, ma che ne dici? Proviamo solo per un attimo a volgere lo sguardo verso il cielo?
Non è poi così tanto lontano come sembra ... E tra una miriade di palloncini colorati potremmo scorgere un luccichio che per te parla d'amore e per me d'amicizia. Sì amica mia, insieme, solo per un attimo, possiamo volgere lo sguardo verso il cielo ...
 

Che non sarei più rimasto con lei le dissi.
(Lei camminò al mio fianco fino al mio appartamento).
Che non l’avrei più abbracciata le dissi.
(Lei pose le mie braccia sulle sue spalle).
Che non l’avrei più ascoltata le dissi.
(Lei versava le sue parole nella mia bocca).
Che non avrei fatto l’amore con lei le dissi.
E adesso riposa qui sopra il mio petto.

Sesta strada
José María Fonollosa

Grazie a tutti per la vicinanza, grazie di cuore e da cuore a cuore buon San Valentino


giovedì 2 febbraio 2017

Ti sentirò nel soffio del vento e tra le onde del mare

Accanimento terapeutico ... con questa frase finisce la tua vita terrena Gianfrà' ? A quanto pare la tempesta questa volta non ha ceduto il passo al sereno, questa volta è arrivato un uragano ancora più devastante che non ha lasciato scampo. La nostra nave è naufragata e la catastrofe tra la furia dei marosi non ha permesso che ci ritrovassimo.
Mi prendo il tempo necessario per curare le mie ferite Gianfrà',  per arginare lo squarcio del mio cuore  e poi tornerò a sentirti nel soffio del vento e tra le onde del mare.


Il naufragio 
1805
Joseph Mallord William Turner
Tate Gallery - Londra

" ... In verità si prenda questo mio corpo chi vuole, se lo prenda pure, non è affatto me stesso ... e mi si sfondi pure la lancia, o mi si sfondi la pancia quando ha da essere, perché di sfondarmi l'anima neanche Giove è capace ... "

Moby Dick
Herman Melville
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